
Lo sguardo antropologico di Chloé Zhao – Songs My Brothers Taught Me
Chloé Zhao è al vertice della sua carriera. Non solo per il grandioso successo di Nomadland ma anche per l’attesissimo Eternals, blockbuster firmato Marvel che uscirà l’anno prossimo. Ma prima della sua ascesa, poco più che trentenne, Chloé Zhao ha esordito alla regia con Songs My Brothers Taught Me (2015), film coraggioso che ebbe una discreta risonanza all’interno del milieu indipendente, oggi rilanciato da Mubi. Bisogna recuperarne la visione per rintracciare alcuni aspetti costanti del suo stile e della sua ricerca. Nei suoi lavori, tra i quali si annovera anche The Rider (2017), la regista affina uno sguardo documentaristico e antropologico – che lei stessa definisce «giornalistico» – il quale esplora spazi culturali o comportamenti sociali situati oltre i margini della società. Senza mai ridursi ad un’osservazione mimetica e naturalistica del reale, il suo cinema vuole sublimare con forza drammatica e poetica la dimensione esistenziale e introspettiva di personaggi che si muovono dentro realtà aberranti. Del resto, la stessa cineasta ha dichiarato: «un regista di documentari non può fare a meno di usare la poesia per raccontare una storia».

In Songs My Brothers Taught Me il suo sguardo antropologico indaga e racconta al tempo stesso. Esso è capace di scavalcare frontiere politiche e barriere culturali per introdursi quasi indiscretamente dentro un’altra realtà etnica: la Pine Ridge Reservation del Sud Dakota, cioè la più grande riserva indiana del Nord America, dove è confinata la comunità dei Lakota Sioux. Questa altro non è che un’alterità assoluta: il “fuori” indagato da una visuale libera da filtri ideologici, etnocentrici, e da deformazioni politiche e socioculturali. L’impresa del film è di riuscire a restituire – con l’artificio della finzione e grazie all’impiego di attori non professionisti – una realtà nella sua autenticità, anche se disperata e misera, spesso a limiti della sopravvivenza. L’esperienza della Pine Ridge Reservation, dove la regista ha anche vissuto per diverso tempo, ha segnato profondamente la sua poetica tanto da ispirare pure il successivo film The Rider.

Isole di resistenza situate nel territorio americano, le riserve indiane godono di una propria autonomia amministrativa. Nella Pine Ridge Reservation vige una duratura politica proibizionista che vieta l’assunzione di alcol, perché ritenuto la causa dei crimini e del disagio sociale; contro tale proibizione si è sviluppato il contrabbando che proviene dalla città limitrofa di Whiteclay. Questo scenario è fedelmente ricostruito nel film, facendo comprendere come l’alcol sia diventato una sorta di cancro metastatico che ha provocato danni sociali irreparabili. La Pine Ridge Reservation è fra l’altro il luogo più povero degli Stati Uniti.
Da una prospettiva strettamente antropologica, la riserva sembra aver perduto l‘integrità culturale per contaminarsi con modelli esterni di carattere globalizzante. Del resto, nonostante l’impressione sia di trovarsi altrove, siamo sempre negli Stati Uniti. Pertanto elementi tipici della cultura consumistica e globalizzata sono perfettamente acquisiti dai nativi americani, come la passione per l’automobile, la musica rap, l’abbigliamento hip-hop, la boxe, la presenza di supermarket. Così, grazie allo sguardo di Chloé Zhao, da cellula periferica dell’Occidente – dove si è innestata una malsana modernizzazione – la riserva diventa piuttosto un punto d’osservazione privilegiato per cogliere le contraddizioni che riguardano il nostro tempo come l’emarginazione sociale, la crisi economica, la disoccupazione, il crimine, il suicidio giovanile. Un altro aspetto antropologico interessante è la conservazione di una fisionomia selvaggia e primitiva: fenomeni come il rodeo, la centralità della figura del cowboy – che verranno descritti ancora meglio in The Rider – oppure la sopravvivenza di una trasmissione orale sul personaggio storico-mitologico Crazy Horse, segnano l’appartenenza a una cultura arcaica, rurale, che esprime un legame simbolico e intimo con la natura e col mondo animale.

Ma Songs My Brothers Taught Me non è solo un’inchiesta sulla condizione di degrado in cui riversa la Pine Ridge Reservation. Spesso il punto di vista della regista converge fino a confondersi con quello soggettivo dei due giovani protagonisti. Al centro c’è, infatti, la storia di due fratelli segnati dalla morte del padre: Jashaun è una bambina di undici anni che si affaccia alla complessità del mondo adulto; John lavora nel traffico illegale di alcolici e riflette se abbandonare o no la sua terra. Si cresce in fretta nella riserva, e si bruciano le tappe: si fuma marijuana, si beve, ci si ammala e ci si disperde in una quotidianità molle, rarefatta, sempre identica. John è un vinto, imprigionato senza scampo nella spirale perversa della lotta per la sopravvivenza. L’unica soluzione per lui potrebbe essere la fuga, l’evasione, l’abbandono delle proprie radici identitarie per costruirsi un futuro a Los Angeles. Ma tutto è incerto.

In un certo senso, Songs My Brother Taught Me è il rovesciamento di Nomadland: se quest’ultimo ritrae una forma di esistenza errante, on the road, senza dimora fissa eccetto un vecchio furgone, il film d’esordio mette in scena la paralisi di una terra sconfinata, in bilico fra dentro e fuori, dove niente sembra accadere. In entrambe le opere, però, vi è lo stesso sfondamento di uno sguardo antropologico che sconfina dalla normalità e dalla coscienza piccolo borghese, per entrare nel territorio sconosciuto dell’alterità e della differenza. Ma per raccontare la differenza occorre saper ascoltare: ecco la polifonia eccezionale dei film di Chloé Zhao, i quali sanno registrare e intrecciare una molteplicità di storie, esperienze e testimonianze per restituire umanità e verità a una vita fuori dagli schemi ma gremita di desideri, di malinconia, di incanti e di sofferenza.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista