
Villa Malaparte: da “Il disprezzo” di Jean-Luc Godard agli spot di Louis Vuitton
Elemento inconsueto nella natura incontaminata di Punta Massullo, nella parte orientale dell’isola di Capri, la villa di Curzio Malaparte appare, da lontano, come il relitto di una nave abbandonata dalla furia del mare in tempesta sulla scogliera. Lunga 54 metri ma larga solo 10, Casa Malaparte è un parallelepipedo rotto da una mirabile scalinata che le si arrampica sul dorso, portando al tetto-terrazza aperto sul mare. L’unico elemento di decoro è il “ricciolo” bianco che camuffa e, allo stesso tempo, sostiene la canna fumaria, proteggendo gli ospiti da eventuali sguardi indiscreti.

“Una casa come me”: lo scrittore e l’architetto di Villa Malaparte
Tinta d’un colore rosso accesso ed in pieno stile razionalista, la villa è in voluto contrasto con le altre magioni capresi: «Nessuna colonnina romanica, nessun arco, nessuna scaletta esterna, nessuna finestra ogivale, nessuno di quegli ibridi connubi tra stile moresco, romanico, gotico e secessionista»1 scrive lo scrittore pratese nel 1940, in un testo intitolato Ritratto di pietra.
L’abitazione fu eretta alla metà degli anni Trenta in un terreno acquistato in seguito all’esilio antifascista a Lipari2, grazie anche ai permessi per costruire che Malaparte ottenne tramite l’amicizia con Galeazzo Ciano (allora Ministro degli Esteri ed appassionato frequentatore di Capri insieme alla moglie Edda).

A differenza di quanto erroneamente riportato da varie fonti, che attribuiscono la progettazione a Adalberto Libera – architetto razionalista che costruì molto a Roma e dintorni, come il Palazzo dei Congressi dell’EUR – recenti acquisizioni di documenti e lettere testimoniano che il progetto della villa è in realtà interamente attribuibile allo stesso Malaparte, che agì da direttore effettivo dei lavori. Il già citato Ritratto di pietra conferma il divorzio consumatosi fra fra architetto e committente:
«Qui nessuna casa appariva. Io ero dunque il primo a costruire una casa in quella natura. E fu con timore reverente che mi accinsi alla fatica, aiutato non da architetti, o da ingegneri (se non per le questioni legali, per la forma legale), ma da un semplice capomastro, il migliore, il più onesto, il più intelligente, il più probo, fra quanti abbia mai conosciuti. Piccolo di statura, silenziosissimo, poverissimo di gesti e di parole, l’occhio nero coperto da una palpebra lenta e prudente e saggia, Mastro Adolfo Amitrano cominciò col tastare la roccia con la mano…»3

IN BIANCO E NERO: piante, prospetto e sezione del progetto originale di Adalberto Libera / A COLORI: Prospetto N.E. attuale
Libera si occupò tuttavia dei cavilli burocratici e dei contatti con gli uffici tecnici e quelli con la soprintendenza per la tutela ambientale, ottenendo in pochissimo tempo – fra i mesi di gennaio e marzo 1934 – le licenze edilizie4, ma il “maledetto toscano” disconosce provocatoriamente all’architetto anche la paternità putativa della sua splendida residenza caprese nel suo romanzo più famoso, La pelle, dove così presenta al generale Rommel (che gli fa visita a Capri) la sua casa di punta Massullo:
«…poi, prima di andarsene, mi domandò se avessi comprato la casa già fatta, o se l’avessi disegnata e costruita io. Gli risposi – e non era vero – che avevo comprato la casa già fatta. E con un ampio gesto della mano, indicandogli la parete a picco di Matromania, i tre scogli giganteschi dei Faraglioni, la penisola di Sorrento, le isole delle Sirene, le lontananze azzurre della costiera di Amalfi, e il remoto bagliore dorato della riva di Pesto, gli dissi: “Io ho disegnato il paesaggio”».5

Malaparte battezzò la Villa “Casa come me”: eccetto l’aiuto del capomastro locale, tutto – interni e mobili inclusi – fu concepito dal versatile scrittore. Alcune soluzioni adottate sono delle vere e proprie invenzioni architettoniche, come, ad esempio, l’esoterica intuizione di lasciare una finestra aperta sull’orizzonte nella parete del grande camino del salone: proprio qui convergono i quattro elementi della tradizione cosmogonica, poichè alla terra del pavimento pietroso e accidentato, aspro come i cretti di Burri, si uniscono il fuoco, l’acqua e l’aria evocati dalla fiamma del camino attraverso la quale, oltre il varco ritagliato nel fondo, si spalancano il mare ed il cielo infinito.

Michele Masneri ha raccontato la villa in un reportage dettagliatissimo per «Il Foglio», Citofonare Malaparte, soffermandosi anche sugli elementi di design – otto in particolare – che furono pensati da Malaparte stesso. Negli interni le forme minimaliste ed essenziali fanno da protagoniste, e gli unici elementi decorativi presenti sono le maioliche dipinte da Alberto Savinio, pittore e scrittore di cui Malaparte era ammiratore e collezionista6: alcune tele degli anni Venti dell’artista sembrano una immediata anticipazione di quegli ambienti, in quanto a spazialità, dislocazione delle ampie finestrature, o nel marcato profilo delle modanature delle finestre, quasi cornici di un quadro la cui rappresentazione è lo splendido panorama di Capri.

Villa Malaparte tra settima arte e spot pubblicitari
Nel 1963, Villa Malaparte fu il metafisico fondale de Il disprezzo (Le mèpris), trasposizione (meta)cinematografica firmata da Jean Luc Godard, vate della Nouvelle Vague cinematografica francese, dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, pubblicato quasi dieci anni prima (1954). Paul Javal è uno scrittore che accetta, per guadagnare qualcosa in più, di riscrivere alcune scene di un adattamento dell’Odissea diretto da Fritz Lang (che recita nella parte di sé stesso), finendo però per ferire l’affascinante moglie che gradualmente si aliena, avvicinandosi di contro al produttore del film.

Il dramma della separazione coniugale di Paul (interpretato dal grandissimo Michel Piccoli, scomparso il 12 maggio 2020 e ne Il disprezzo proprio al suo primo film) e Camille (Brigitte Bardot) nasce all’interno delle mura domestiche romane, per poi deflagrare nei vasti spazi del set cinematografico dove si gira l’Odissea, fino a raggiungere il suo culmine nella dolce brezza mediterranea che accarezza i duri gradini e le aspre mura di Villa Malaparte. La fine della fiducia reciproca, del sentimento e dunque del matrimonio è decretata dalla simbolica discesa finale che fonde la scalinata del tetto-terrazza alla passeggiata di roccia lungo tutta la scogliera, fino al mare, dove Paul e Camille si separano per sempre.

Tra le molte apparizioni della villa nella cultura visiva, non possiamo poi non citare il film La pelle di Liliana Cavani del 1981, tratto dal libro semi-autobiografico dello stesso Malaparte, con Mastroianni nei panni del protagonista. Quella scalinata dai tratti surreali è tanto cinematica che nel 2016 ha poi costituito la sigla di apertura per i film in concorso al Festival di Cannes. Nel manifesto ufficiale, invece, campeggia la scelta simbolica un fotogramma de Il disprezzo, un film sulla creazione di un film. Si spiegava sul sito del Festival, citando la stessa frase di Bazin recitata all’inizio della pellicola: «È tutto là. I passi, il mare, l’orizzonte: l’ascesa di un uomo verso il suo sogno, in una calda luce di Mediterraneo che diventa oro. Il “cinema sostituisce il nostro sguardo fisso con un mondo in armonia coi nostri desideri”».

La misteriosa e provocatoria costruzione, che vuole essere un testamento ideale e materiale del suo stesso architetto, è stata fotografata anche da Karl Lagerfeld nel libro per Steidl Casa Malaparte. E’ proprio l’unione di un design atipico e moderno alla posizione isolata e immersa nella natura più remota a rendere la nostra villa caprese la location ideale per diverse campagne pubblicitarie.
L’inusuale e straordinaria armonia tra natura e architettura è il paradigma visuale perfetto per lo spot di presentazione della fragranza UOMO di Ermenegildo Zegna, diretto da Jonas Åkerlund nel 2014. Così come nella campagna primaverile di Saint Lauren 2018, diretta da Nathalie Canguilhem, la modella Kate Moss è ripresa sulla monumentale scala della villa, immersa nel mozzafiato paesaggio caprese.
Del 2019 è invece lo spot Coeur Battant di Louis Vuitton, con protagonista Emma Stone e diretto da Nicolas Loir. ll design degli interni e le vertiginose linee della scalinata creano un’ambientazione sontuosa e sospesa nel tempo, che trascende la semplice funzione di sfondo divenendo, anzi, perno narrativo e immaginifico.
Casa Malaparte, architettura “parlante” che attrae magneticamente l’occhio e la macchina da presa, è però anche tra le più inaccessibili: l’abitazione fu e rimane privata, chiusa al pubblico se non per iniziative culturali. Era volontà dello scrittore creare una «fondazione denominata “Curzio Malaparte” al fine di creare una casa di ospitalità, di studio e di lavoro per gli artisti cinesi in Capri», ma gli eredi impugnarono il testamento ed adibirono la villa a centro di produzione culturale e sede di incontri di architettura e design.
Tuttavia, spingendo lo sguardo oltre l’orizzonte dell’isola di Capri, è possibile scorgere la meta della parabola architettonica malapartiana, che da Punta Massullo si conclude simbolicamente sulla vetta del Colle Spazzavento, dove sorge il monumento funebre voluto dai pratesi nel 1961: la pietra, solitaria e spigolosa, si staglia severa nel vento dell’Appennino toscano, controcanto alla poesia di mare che fu la sua casa in mezzo al più azzurro Tirreno.

Note:
1 Curzio Malaparte, Ritratto di pietra, riportato in M. Talamona, Casa Malaparte, Clup, Milano 1990, p. 82.
2A causa di certe pungenti e ambigue allusioni al regime presenti nel suo pamphlet in francese Technique du coup d’État.
3 Curzio Malaparte, Ritratto di pietra, riportato in M. Talamona, Casa Malaparte, op.cit., p.82.
4 Il progetto è presentato al Comune di Capri nel marzo del 1938: ottiene rapidamente l’approvazione della commissione edilizia comunale, poi il nulla osta della soprintendenza a Napoli ed, infine, nel mese di maggio dello stesso anno, il documento di approvazione del Ministero dell’Educazione nazionale. La licenza è firmata direttamente da Bottai (confratello libero muratore di Malaparte). La dettagliata ricostruzione delle fasi qui accennate è stata condotta da Marida Talamona (M. Talamona, Lo scrittore e l’architetto, in Adalberto Libera Opera completa, ediz. Electa, Milano 1989, p. 236).
5 Curzio Malaparte, La pelle, Mondadori, Milano 1978 (ristampa in: Oscar classici moderni, 1991), p. 196. La prima pubblicazione è del 1949 (per i tipi milanesi di Aria d’Italia), ma l’episodio narrato è ambientato nel 1942, quando la villa era già finita ed abitata dallo scrittore toscano.
6 Si ha notizia di un quadro di Savinio posseduto da Malaparte nella casa di Capri (cfr. M. Talamona, op. cit. nota 108, p. 63). Dal pittore, Malaparte si fece anche disegnare una lira greca da utilizzare come decoro per le maioliche del pavimento nel proprio studio (Ibidem, p. 48).
Bibliografia e fonti:
- Talamona Marida, Casa Malaparte, New York: Princeton Architectural Press, 1996.
- Pettena Gianni, Casa Malaparte, Capri, Le lettere, 1999.
- Ferrari Mario, Adalberto Libera, Casa Malaparte a Capri 1938–1942, Bari: Ilios, 2008.
- Lagerfeld, Karl, Casa Malaparte. Gottingen: Steidl, 2015.
- https://www.econote.it/2011/11/30/il-difficile-rapporto-tra-architettura-e-natura-casa-malaparte-a-capri/;
- https://www.capri.it/it/e/villa-malaparte-tra-mito-e-cinema;
- http://www.archidiap.com/opera/casa-malaparte/;
- https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Malaparte;
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