
The Good Lord Bird – Il peccato originale dell’America
Passata in sordina nel mare di comunicazione audiovisiva che ha investito buona pare dell’anno da poco conclusosi, The Good Lord Bird, produzione Showtime e Blumhouse ispirata all’omonimo romanzo di James McBride, è senza dubbio uno dei prodotti seriali più riusciti di quel panorama definito normalmente “quality“ (in America troppo spesso sinonimo di “cable“) che negli ultimi anni ha più deluso che regalato titoli da primi posti nelle classifiche. Sulla carta, The Good Lord Bird aveva tutti gli elementi per diventare il prodotto più discusso degli ultimi mesi: Ethan Hawke – qui produttore e autore, oltre che principale interprete – interpreta John Brown, il fanatico religioso e attivista dei diritti civili ante litteram la cui morte viene ricordata come la causa scatenante della Guerra Civile americana; eppure, nonostante il movimento Black Lives Matter e tutta l’impalcatura mediatica che ha circondato le ultime elezioni presidenziali, un titolo così dirompente ha saputo porsi in una nicchia, dimostrando che la vera qualità è tale proprio quando non è urlata.

Partiamo da qualche caratteristica formale del prodotto: la serie è composta da sette episodi pensati per riempire l’ora televisiva tradizionale, punteggiando una narrazione classicamente seriale nei primi sei e fortemente addensata nell’ultimo episodio, lirico e intenso, sorta di punto d’arrivo ideale del racconto orizzontale magistralmente messo in scena. In tutto questo, se è vero che l’edizione italiana – arrivata su Sky – titola The Good Lord Bird – La storia di John Brown, il personaggio di Ethan Hawke è sì centrale per lo svolgersi del racconto, ma il tutto ci viene mostrato attraverso il punto di vista di Henry (uno straordinario Joshua Caleb Johnson), ragazzino afroamericano che per quasi tutta la serie (e per quasi tutti i personaggi) viene identificato come una ragazza (Onion, in originale).

Il punto di vista di Onion ci dice molto su come è pensata la vicenda di John Brown: non un’esegesi, non una celebrazione, bensì un incontro che si inaugura nella forzatura della liberazione da una schiavitù non percepita e si consolida episodio per episodio, dimostrando come il personaggio interpretato da Hawke trascenda l’uomo per farsi insegnamento. La serie veicola un racconto che è fatto della stessa sostanza con cui è amalgamata la tradizione afroamericana, che parte dalla radicalità del messaggio religioso intrecciata alla materialità di un mondo forgiato da terra, sangue e sudore, in cui la condizione di schiavitù è vista solo a partire da chi quella condizione non la vive più.
Per capire al meglio come questo sguardo paradossale sia messo in forma durante i sette episodi di The Good Lord Bird si può guardare all’uso che la serie fa della musica: praticamente nessun brano si dà da voce che non sia nera, persino canzoni scritte o rese famose da musicisti bianchi (Bob Dylan e Johnny Cash tra gli altri) e la ricerca della musica diegetica, cantata dai protagonisti, va a scavare in una tradizione lirica statunitense che è il sistema linfatico della mitologia alla base della nazione. The Wayfaring Stranger, ad esempio, risale al 1858 e nei suoi versi («I’m going there to see my Father/And all my loved ones who’ve gone on/I’m just going over Jordan/I’m just going over home») troviamo la chiave di lettura delle azioni non solo di John Brown, ma di tutte le persone che lo seguono, ricavando attraverso l’intreccio sonoro un tessuto coerente di idealismo radicato nella più sincera anima degli Stati Uniti.
Curiosamente, nella serie non sentiamo mai l’unica canzone esistente nel canzoniere americano dedicata a John Brown – John Borwn’s Body -, inno degli abolizionisti e di tutti gli attivisti per i diritti civili: questo ci dice molto di come la serie voglia presentarci la vita e soprattutto la morte del personaggio interpretato da Ethan Hawke, rendendo The Good Lord Bird non una celebrazione, bensì un ritratto collettivo degli Stati Uniti e del loro modo di intendere la civiltà. «This country was made by white men for white men», sentiamo dire con tono paternale da un avvocato in un segmento deflagrante del sesto episodio e a questa concezione fissista viene ad opporsi ogni azione di John Brown, tanto che la sua morte ci viene negata dall’immagine, ne siamo privati, perché quello spettacolo – il peccato originale di un’America che ha regolarmente ucciso i suoi liberatori – è uno spettacolo per i bianchi che ancora vedono differenza nel colore della pelle delle persone o nei vestiti che indossano.

The Good Lord Bird vuole dunque servirsi del formato seriale – che è il naturale formato dell'”epica” statunitense fin dall’origine della Frontiera e dei suoi miti – per restituire un’immagine che non sia orientata alla semplice (ri)costruzione del personaggio di John Brown, ma che metta in forma il mondo che l’ha reso possibile, proiettandolo sullo schermo attraverso una recitazione sempre al limite del più coerente overacting, a partire dall’interpretazione di Ethan Hawke, candidato ai Golden Globe per questo prodotto. Se tra i riferimenti dichiarati della serie spiccano il cinema e il linguaggio di Tarantino – e sicuramente la crudeltà delle immagini ne è squisitamente figlia – proprio questo spostamento di focus dai personaggi al mondo che li ha creati permette di raccontare la Storia senza la tentazione di salvarla con il potere maieutico dell’audiovisivo.

Il motivo per cui The Good Lord Bird non è diventato un manifesto seriale delle battaglie civili degli ultimi mesi sta proprio in questi elementi di forte paradosso, che ne rendono immensamente efficace la dimensione poetica. Se la battaglia di John Brown oggi ci sembra imprescindibile, la serie ce la racconta anche come spietata, fanatica, suicida e, soprattutto, fallimentare. «If John Brown did not end the war that ended slavery, he did at least begin the war that ended slavery», con queste parole la serie prodotta da Showtime e Blumhouse – da evidenziare la particolare partecipazione di quest’etichetta sempre più intraprendente – si pone come prequel ideale della marea di prodotti che hanno raccontato la Guerra Civile, restituendo al conflitto quella natura contraddittoria che il mito ha più volte cercato di nascondere.

Se all’apparenza The Good Lord Bird sembra schierarsi nei confronti di Brown e della sua crociata, quest’effetto si dà come ricercato meccanismo di costruzione del “mitologico”, attraverso una sorta d’emanazione del visibile – o meglio, del percettibile – che parte dal personaggio di John Brown e contagia lo sguardo di chi non è perso nell’immutabilità di un vecchio mondo, trasformando la serie, più che in un discorso sul razzismo di per sé, in una messa in forma plastica del passaggio generazionale radicato nelle forme culturali della tradizione, verso una loro lettura sincera, autentica, radicale, definitivamente etica.
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