
Cos’è The Northman – Eggers, Skarsgård e Dafoe all’anteprima del Cinema Troisi
«I will avenge you, father. I will save you, mother. I will kill you, Fjölnir».
Nella serata romana del 1° aprile, tra lampi temporaleschi e schiarite improvvise, si è tenuta nell’accogliente cornice del Cinema Troisi l’anteprima nazionale di The Northman, terzo approdo cinematografico di Robert Eggers: l’iniziativa è nata dalla collaborazione del Troisi con la Universal Pictures – colosso cinematografico che ha reso possibile la proiezione gratuita del film, così come la presenza in sala di Eggers e dell’attore protagonista Alexander Skarsgård.
La chiamata alle armi non poteva essere più convincente: centinaia e centinaia di appassionati hanno guadato il Tevere per assistere all’unicità di un evento dal respiro internazionale, atteso da molti come la terza venuta del Profeta – sulla scorta delle alte aspettative che The VVitch (2015) e The Lighthouse (2019) hanno saputo creare nel corso degli anni. A moderare l’incontro c’era il giovane regista Andrea De Sica, che in un inglese funzionale è riuscito a instradare una gradevole conversazione sul film con Eggers e Skarsgård – di cui riporto qui sotto gli estratti più interessanti, tradotti in italiano per una fruizione più diretta.

De Sica: «Questo è il tuo terzo film: per diversi elementi è un film diverso dai precedenti, più improntato sull’azione. Si nota la commistione tra action movie vecchia scuola e l’ambientazione in spazi molto aperti, che ricordano i luoghi dove si svolgono le leggende. Ho poi notato che i tuoi film sono sempre ambientati nel passato, in un tempo lontano. Cosa si nasconde dietro questa scelta?».
Eggers: «Mi piace esplorare chi siamo e dove siamo diretti partendo dal luogo da cui veniamo. La cosa più eccitante, per me, è aprire la porta che ci consente di comprendere come ragionassero nel passato, in modo tale da avvicinare a noi queste popolazioni passate fino a poterci riconoscere in loro. Mi piace rappresentare uno specifico mindset – ma senza giudizio, senza applicarvi le regole della moralità contemporanea».
De Sica: «Alexander, in questo film hai dovuto trasformare la tua forma fisica e, in generale, si tratta di un film che da un punto di vista fisico è stato molto impegnativo, girato nel gelo, tra Islanda e Irlanda del Nord. Qual è stata la tua esperienza da questo punto di vista?».
Skarsgård: «Il mio personaggio è un berserker, un guerriero vichingo. Era quindi fondamentale avere quel tipo di fisico: ho dovuto spendere mesi e mesi ad allenarmi e a mangiare molto. Girare il film è stato incredibile, ma durissimo: Robert utilizza una sola macchina da presa, a differenza del classico action movie che ne prevede almeno tre. Avevamo sequenze da quattro o cinque minuti in cui dovevamo razziare un villaggio, e lo facevamo senza mai staccare la macchina da presa. Era ovviamente molto faticoso, significava che dovevamo entrare nella “berserker rage”, nello stato adrenalinico, e mantenerlo costante… a volte anche per 28 volte di fila. (Ride). Era una danza tra attore e macchina da presa. Quel che ci ha veramente distrutti psicologicamente e fisicamente sono stati i casi in cui la scena sembrava perfetta, ma per qualche piccolo dettaglio andava girata di nuovo».

Eggers: «Come quando si è rotto un rain deflector, e la sequenza appariva troppo sfumata».
Skarsgård: «Quella sequenza l’abbiamo girata 24, 25 volte. (Ridono). Alle 4:30 del mattino Robert ci ha detto: “Ok, ce l’abbiamo”. Eravamo stanchissimi, avevamo mantenuto lo stato adrenalinico per ore e ore e quando ci siamo fermati eravamo distrutti. Mi sono spogliato ed ero già in macchina per andarmene… quando è arrivato un assistente a bussarmi sul finestrino. La scena andava girata di nuovo perché l’immagine era sfocata. Sono sceso dalla macchina, mi sono messo di nuovo addosso i vestiti bagnati, abbiamo risalito la collina per fare tutto da capo. È stato devastante. A un certo punto mi sono chiesto: “Ma Rob aveva pianificato tutto ciò?”, perché in quella scena dovevo essere furioso. Penso che riconoscerete la scena: quella rabbia non è finta!».
De Sica: «(Riferendosi a Eggers) Guardando i tuoi film sembra di trovarsi in un’epoca antecedente alla civilizzazione, primitiva. Cosa pensi della magia e della superstizione? Sia in questo film che in The VVitch è un elemento importante».
Eggers: «Questo è il modo in cui loro vedevano il mondo, e di conseguenza è il modo in cui lo metto in scena. Al contempo però potrebbe essere un sogno, un’allucinazione, una visione estatica… nel momento in cui si verifica uno di questi fenomeni e poi ci si crede, diventa automaticamente vero. Il sistema teologico della mitologia nordica era tale per cui fra la popolazione non esistevano atei. Odino è reale quanto un sasso, o quanto l’acqua che scorre. E così io rappresento questi elementi. Faccio un esempio tratto da The VVitch: spesso la gente pensa che in quell’epoca pre-moderna si bruciassero donne a causa della misoginia rivolta nei loro confronti. Il fatto è che erano così misogini che nella loro visione del mondo quelle donne erano davvero streghe».
De Sica: «In quest’epoca di piattaforme digitali sembra che tutti abbiano una formula per arrivare in un modo preciso al pubblico di riferimento, che è una cosa che mi spaventa un po’. Per quanto riguarda questo film, quale pubblico cerchi di raggiungere?»
Eggers: «Questo film è così costoso che è indirizzato a tutti».
A questo punto, la conversazione viene interrotta da un ospite speciale che in pochi si aspettavano. Emerge dalle poltrone vellutate del Troisi il volto, e poi il corpo, di Willem Dafoe – che strappa un applauso scrosciante alla sala e scambia qualche parola col pubblico. Così termina la presentazione: le luci si spengono, lo schermo si accende e il protagonista della serata diventa The Northman.

L’incipit del film ci proietta in una dimensione atavica, in una terra di eroi e traditori. Ci troviamo nel X secolo, in territori scandinavi. Re Aurvandil fa ritorno al suo regno dopo una campagna militare sanguinosa: ad attenderlo con ansia e gioia ci sono suo figlio Amleth e la regina Gudrún. Amleth – nome irrorato di lampi shakespeariani e riferimenti alla mitologia vichinga – è ormai cresciuto, e re Aurvandil comincia a prepararlo alla futura gestione del regno. L’omicidio del re da parte di suo fratello Fjölnir capovolge sin dai primi minuti la narrazione: Amleth è costretto ad abbandonare la madre per imbarcarsi da solo sui mari ghiacciati, con in mente una sola parola – vendetta.
Il percorso del protagonista, obbligato a rinascere dalle ceneri di un lutto, sembra inizialmente seguire le tappe del più classico dei manuali di scrittura cinematografica: questo perché, in fondo, quella di Eggers è una narrazione incentrata sulla materia del mito, dal modello del quale è stata ricavata a suo tempo la formula narrativa del cinema classico. È dunque nella dialettica tra forma e innovazione che The Northman assume progressivamente consistenza, piuttosto che nell’originalità espositiva che aveva caratterizzato The VVitch e The Lighthouse.

Amleth – privato di una famiglia e del regno paterno – vuole vendicare l’onore infangato del re e cresce così nella bestialità di un odio inestinguibile: il maggiore riferimento caratteriale dei berserker, d’altra parte, è quello riguardante il loro legame con il regno animale e, in particolare, con lupi e orsi. La furia omicida che li pervade nel corso degli scontri armati si rifrange in sfumature di vario genere all’interno della narrazione, ponendo l’accento a più riprese sulla caratterizzazione primordiale dei personaggi. A questo utilizzo della simbologia animale si sovrappongono poi figure archetipiche classiche e scandinave: streghe, guerrieri, demoni e valchirie popolano le lande desolate di un’Islanda sfiorata dagli Dei, sporcando di sangue le spade e danzando tra la vita e la morte.
Quel che appare ben presto evidente a chi aveva già dimestichezza con i precedenti filmici di Eggers, però, è il processo di semplificazione che coinvolge l’intera struttura narrativa. Se da un lato è possibile apprezzare le capacità coreografiche del regista – così come un cast che vanta numerose stelle del firmamento cinematografico (da notare il ritorno di Björk al cinema), o la spettacolarità della trasposizione dell’immaginario mitologico nordico sul grande schermo – dall’altro non si può ignorare l’indebolimento del potere evocativo dei personaggi, che (salvo la regina Gudrún) confermano ad ogni occasione l’immobilità dei loro propositi fondanti.

Si tratta, d’altra parte, di una scelta programmatica. Eggers già nella presentazione diceva che «questo film è così costoso che è indirizzato a tutti»; le condizioni d’esistenza della realizzazione di The Northman sono decisamente diverse da quelle del tipico prodotto del cinema autoriale. Quel che ne consegue è che lo spettatore non possa avvicinarsi al film con lo stesso sguardo che aveva rivolto a The Lighthouse. Si può dire in conclusione che Eggers abbia diretto quasi un blockbuster, che se valutato in quanto tale può essere fonte di piacevoli soddisfazioni – ma che non può essere accostato del tutto ai precedenti capitoli della sua breve esperienza registica.
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