
WandaVision – Episodio 6 – Accento
Attenzione: la recensione contiene spoiler dell’episodio 6 | La tentazione dello spettatore è sempre quella di guardare troppo in là, di mettersi in punta di piedi per scorgere oltre la barriera dello spazio-tempo correndo così il rischio di non porre attenzione ai dettagli sui quali i narratori pongono l’accento. La serie Marvel WandaVision migliora ad ogni settimana (e questo episodio 6 non è da meno) ma questo non deve stupire. Sarebbe sbagliato aspettarci di meno da una serie che ha scelto di uscire settimanalmente nell’epoca in cui vengono rilasciate intere stagioni in un giorno solo. Se WandaVision però continua a migliorare lo si deve a un “trucco”, nel sesto episodio più che mai chiaro, che gioca proprio con le tentazioni di chi guarda gli episodi e spera di andare oltre la barriera del visibile. Spoiler: farebbe la fine di Visione.

Pietro è tornato ed è il Quicksilver dei film degli X-Men che abbiamo imparato ad amare al cinema (ora ancora più adorabile in veste di zio) mentre Tommy e Billy rispettano il copione imposto dal decennio in corso (gli anni ‘90 ma anche i primi anni del 2000) citando apertamente serie come Full House (Gli amici di papà in Italia), serie tra l’altro dove hanno esordito le celeberrime gemelle Olsen, sorelle della ormai ben più nota Elizabeth. Ma l’accento è posto ancora una volta sui fumetti, quei fumetti che rendono, per chi li conosce, WandaVision la migliore serie metatestuale sulla piazza al momento. Pietro esibisce fieramente il proprio outfit dei fumetti classici così come Tommy e Billy, sebbene quest’ultimi si fermino più che altro alla semplice citazione. Halloween – sempre più l’erede anglosassone-protestante del carnevale europeo-cattolico – è l’occasione per mettere in mostra i “veri” sé stessi, per calare la maschera mentre la si indossa. E siccome le feste in maschera rispondono alla necessità sociale di lasciar cadere regole e convenzioni, ecco che assistiamo a una vera e propria carnevalata, vale a dire un ribaltamento di tutto ciò che, anche nella finzione, “dovrebbe essere” (non ce ne voglia Hume).

L’accento è posto sul senso di inquietudine, su quella dissonanza tra realtà e finzione che emerge nei momenti in cui Wanda si ricorda di vivere o aver vissuto. Peccato che la punizione per la vita sia il ricordo della morte. L’accento è posto sui dettagli che tengono viva l’attenzione degli spettatori tra un episodio e l’altro o tra un film e l’altro. Per esempio, che fine ha fatto l’accento di Pietro? E quello di Wanda (quest’ultima poi una polemica molto cara ai fan dai tempi di Civil War)? Un morto può morire due volte? Perché i due fratelli sembrano avere ricordi e vissuti diversi? Tutti dettagli che in realtà non sono altro che un dialogo aperto e attivo tra narratori e spettatori sul concetto stesso di finzione e che si svolge più o meno così: non importa quanto finti siano i personaggi dentro la cupola (di Wanda o del MCU), ciò che conta è che ci siamo già affezionati e per noi sono e saranno per sempre reali. Fuori dalla cupola invece l’esistenza è noiosa e probabilmente poco interessante. Avere le risposte e le spiegazioni non ci basta e averle troppo presto può esserci fatale. Ecco il trucco di WandaVision: un chiasmo cioè un incrocio dove la tentazione di scoprire la verità è subito stemperata da un paesaggio piatto, anonimo e sempre uguale a sé stesso, mentre la finzione (ammesso sia solo quello, una finzione) è strutturata, dettagliata, sempre in cambiamento e complessa e per questo più reale. Qui cade l’accento.

È anche e soprattutto una questione qualitativa. Le vicende fuori dalla cupola, per quanto importanti, finora soddisfano poco e sono obiettivamente poco interessanti. E quando la realtà non basta, allora l’unica cosa che rimane da fare è mischiarla con la finzione. Ponendo l’accento, ora più che in altri episodi, sull’attesa.
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