
Filmmaker 2020 | Transfert per Kamera – La città del teatro sconfinato
Le luci si sono spente nella sala virtuale del Filmmaker Festival, nella sua quarantesima edizione interamente online sulla piattaforma MyMovies, che anche quest’anno ha saputo regalarci stralci di vita, miseria, splendore e storie straordinarie (Filmmaker 2020 – Un festival prezioso su MyMovies). Per la sezione Teatro sconfinato l’ultimo giorno di Festival è andato in scena La città del teatro. Ma come può un film andare in scena? Filmmaker, con il progetto Transfert per Kamera – titolo ispirato dall’omonimo film di Alberto Grifi sul laboratorio multimediale di Aldo Braibanti – crea una strana corrispondenza tra il cinema del reale e il teatro di ricerca.

Nell’estate 2020 cinque registi distintisi negli anni scorsi a Filmmaker partecipano a Santarcangelo Festival 2050, misurandosi, ciascuno, con una delle performance in scena. Daniela Nicolò e Enrico Casagrande, fondatori di Motus e direttori artistici di Santarcangelo 2050, hanno perseguito in questa edizione del festival la linea drammaturgica dello sconfinamento tra arti – cinema e teatro – e la possibilità di immaginare utopicamente un nuovo territorio, ancora inesplorato, di scambio e contaminazione, ibridazione e incontro.
Il progetto di Transfert per Kamera, curato da Luca Mosso e Matteo Marelli, coprodotto da Riccione TTV Festival e Santarcangelo Festival, è vero e proprio fronte di cinema d’assalto che indaga la commistione tra cinema e arti performative, con un format ancora sconosciuto. Dall’incontro tra teatro e cinema sono nati dei lavori che, oltre a cogliere in flagrante la nascita e lo sviluppo di una forma teatrale, non sono mere versioni cinematografiche né documentazioni filmate: la macchina da presa diventa corpo/occhio partecipante, e l’immagine audiovisiva si muove “verso” l’operazione teatrale, girandole intorno o immergendosi in essa, alla ricerca di un dialogo.

Riccardo Giacconi si confronta con l’enigmatico Se respira en el jardín como en un bosque di El Conde de Torrefiel, una relazione tra due persone che alternano i ruoli di attore e spettatore. Giacconi, con la telecamera, rompe il grado zero del teatro intervenendo nella relazione: non filma dunque lo spettacolo, ma la sua esplicita interferenza in esso, mantenendo visibili e presenti camera da presa e microfono. Non si tratta di documentazione, ma di mimesi artistica.
Enrico Maisto dialoga istintivamente con I sommersi e i salvati, ultima parte del progetto Se questo è Levi, di Fanny & Alexander, facendo leva sulla corrispondenza tra un cinema del reale aperto all’imprevisto e il metodo dell’eterodirezione sviluppato dalla compagnia (leggi anche la nostra intervista a Chiara Lagani, fondatrice di Fanny & Alexander). La personificazione di Primo Levi non avviene tanto nel corpo dell’attore ma nello sguardo degli spettatori, e il lavoro si basa proprio sull’idea di testimonianza attiva del pubblico, sulla valenza politica dell’atto di guardare. Lo spettacolo postula la responsabilità dello sguardo dello spettatore: si guarda e si viene guardati, perché è qualcosa che ci “riguarda”. Questa presa di coscienza (ci) chiama a diventare attori e parti in causa. Fanny & Alexander lavora sull’annullamento della distanza tra pubblico e atto scenico, e Maisto lascia la “scena” invisibile alla macchina, filmando invece le persone attraverso primi piani in cui si riverbera la potenza del fuoricampo.

Leandro Picarella si è accosta a Family affair, di ZimmerFrei, in modo da non interferire con la presenza degli attori non professionisti che, in scena, interagiscono con delle immagini proiettate su schermi che compongono un affresco corale sul tema della famiglia contemporanea. Attraverso un posizionamento sempre aperto a ciò che accade durante la performance, irrompono azioni spontanee e impreviste, come alcuni bambini che si muovono sulla scena.
Chiara Caterina, filmando la performance Sorry, But I Feel Slightly Disidentified… di Benjamin Kahn, si concentra sulla meticolosità del gesto che viene messo in scena, traducendolo in uno spazio intimo ed estremamente ravvicinato al nostro sguardo. La performer Cherish Menzo agisce sugli stereotipi del nostro immaginario collettivo, decostruendoli per e con il pubblico. Per tradurre questo linguaggio con la camera da presa, la filmmaker diluisce la fluidità del movimento in una serie di piani in super slow motion, da cui fuoriesce un movimento potenziato, altrimenti invisibile all’occhio umano.
Maria Giovanna Cicciari prosegue la ricerca sul rapporto tra corpo in movimento e immagine in movimento seguendo Virgilio Sieni nelle sue lezioni-spettacoli, Quattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza, un momento di incontro fra i cittadini e la danza nello spazio pubblico senza barriere finzionali: immergendosi dentro la performance e muovendosi liberamente fra i corpi dei danzatori, crea una sintonia tra corpi e sguardo dei danzatori e dello spettatore.ro

Categorie e parametri sono contenitori comodi dal punto di vista dell’ordine critico e teorico, ma il mondo in cui viviamo – con i suoi rischi e le sue potenzialità – richiede a critici, teorici, artisti, registi, di porsi come sperimentatori nei confronti dell’ibridazione e della liquidità mediale. Traslando questo approccio di (con)fusione all’attivismo e all’attività creatrice, il valore stesso del cinema e del teatro come ritualità collettiva può essere rifunzionalizzato e restituito all’uso nel momento storico di riferimento. La telecamera diventa – esattamente come una Chiesa o un teatro all’italiana – un dispositivo di messa in scena di un rito, senza togliere la bellezza, l’unicità, la possibilità della performance. «Umanizzare la macchina» scrive Braibanti, «strapparla ai tentacoli insidiosi dell’alienazione e riportarla dentro di noi», perché «L’importante – sentiamo dire a Primo Levi – è andare al di là del proprio individuo».
Questa trasformazione dell’arte cerca e trova un’isola che non c’è, una nuova dimensione di permanenza alla performance, che quasi per definizione è invece effimera. Se ogni forma di documentazione frammentaria o neutra è comunque testimonianza, il progetto Transfert per Kamera riesce però a ricreare il tempo unicamente presente e il contatto partecipativo di un evento che nasce per essere vissuto, e non per essere visto. In un periodo di “pandemia cinematografica”, dove tutto diventa cinema, La città del teatro definisce una nuova prospettiva, immaginando uno spazio di ricerca ancora inesplorato che rende però vivido e possibile l’urgente e imprescindibile commistione dello spettacolo dal vivo con i New e Old Media.

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