
A LabArca, il sole splende per Molli
Con incedere lento, la Molli cauta avanza. Sembra incerta, scossa, come risvegliata da un pesante torpore. È in dormiveglia, il limbo tra l’alba del giorno e il dominio audace della notte. Con voce graffiante e cupa, il dialetto delle fabbriche milanesi durante il boomalternato a inflessioni meridionali, Marion “Molly” Tweedy ci racconta del primo spasimante, e i ricordi si affastellano uno dopo l’altro.
A LabArca, Arianna Scommegna diffonde una malinconia feroce e disarmante. La sua Molli, nel silenzio della stanza da letto, non è mai realmente sola: in uno spazio teatrale modesto, perfetto nella sua intimità, l’attrice conversa animatamente e interagisce in modo lucido con i corpi in penombra. Amica di vecchia data, racconta stancamente le vicissitudini ormai lontane: i tradimenti, il sesso che è “una necessità per loro”, le compensazioni materiali effimere, il viso senza rughe e la freschezza delle lolite seducenti. Tra la blasfemia e l’erotismo logoro di una donna che trae una gioia istantanea nel sentirsi desiderata, ritorna il pozzo profondo negli occhi della Molli quando ripensa al suo Leopold Bloom, Poldi, Poldi che “sa come si trattano le donne”.
Il monologo solletica gli istinti e accarezza la compassione: la femme fatale dal vestito di seta bronzea fa autoironia dipingendosi tra giovinetti inesperti, uomini aitanti, corpi nudi vestiti di un solo calzino; eppure il dramma è alle porte, non bussa ma spia, si diluisce nella nebbia e attraversa lo spioncino trasformandosi in goccioline che scrosciano tutte assieme. Improvvisamente, il sarcasmo cinico e la battuta sprezzante diventano lacrime. Arianna Scommegna piange e commuove in un istante, rivelando in quegli occhi di buio tutta la solitudine che lei aveva esorcizzato e noi soltanto intuito.
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L’articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2018 sul sito http://inchiostro.unipv.it/.
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