
Alain Delon – Samurai interiore, personaggio segreto
[Alain] Delon è un personaggio segreto, ripiegato su sé stesso, introverso in maniera inimmaginabile. È della razza di coloro che conservano la loro gioventù intatta e la freschezza della loro adolescenza. Ha conservato l’universo della sua infanzia con le sue passioni taciturne e le sue mitologie. Esiste in lui un gusto per l’autodistruzione pienamente romantico, un gusto romanzesco per la morte.
Jean-Pierre Melville
L’uomo con il cappello è imperturbabile, lo sguardo malinconico ma penetrante; sembra circondato da un alone di gloriosa e disperata solitudine. È un killer che uccide su commissione. Un samurai, una tigre che si aggira per le periferie parigine in attesa di incrociare il proprio destino e abbandonarsi ad esso senza remore alcuna.

L’anno è il 1967. Il film, nel titolo originale, Le Samourai appunto, e segna l’incontro tra due personalità di spicco del cinema francese dell’epoca: Jean-Pierre Melville e Alain Delon. Introversi, a loro modo oscuri, amanti della notte e delle armi, uniti dalle stesse convinzioni politiche. La pellicola sarà uno snodo cruciale per la carriera di entrambi. Un sodalizio destinato a durare altri cinque anni e due film, prima della morte prematura del regista. È qui che Melville crea Delon, come faceva notare qualche anno fa Le Monde. Il regista riesce a dare respiro a tutto ciò che sinora il bell’attore aveva (in parte) represso, dà voce alla solitudine e ai demoni interiori di Alain. Dall’infanzia abbandonata nella campagna francese, senza punti di riferimento, alla fuga appena diciasettenne per arruolarsi in marina e conoscere finalmente il mondo.
La guerra in Indocina e l’espulsione dall’esercito, l’arrivo a Parigi, la vita bohemienne e i mille lavori, le “belle di notte” pronte a dare un tetto e un pasto al giovane ribelle. L’improvviso e casuale, nel 1957, incontro con il Cinema. Questo raccontano le pagine giovanili di quel vero e proprio romanzo di formazione che è la vita di Delon. Una vita ricca, traboccante di meraviglia e al contempo austera e solitaria, segnata sempre, come ebbe modo di dire l’attore stesso, dalle lacrime dell’infanzia. Non sorprende quindi che Melville veda in Alain, dietro quegli occhi azzurri dalle linee orientali, l’ideale interprete per il suo samurai assassino.

In una carriera costellata di ruoli importanti e significativi, Le Samourai si ritaglia un ruolo di primo piano. Il registro utilizzato dall’attore è quello della semplicità e della sottrazione, l’anima quasi intrappolata nel corpo, con pochissimi e rapidi movimenti degli occhi a suggerire un tumulto e una malinconia interiore che non trova requie. Una sorta di punto zero umano che riesce a cancellare qualsiasi inflessione o slancio vitale che possano definirlo, guidato soltanto da una forza interiore invisibile. A questo glaciale capolavoro seguirà a breve giro Le Circle Rouge (I senza Nome) e Notte sulla Città.

Il primo, summa del cinema Melvilliano tutto, è sublime noir che non si racconta, va vissuto per poi perdersi nei suoi silenzi e nella meraviglia della sua costruzione. Alain ancora a livelli altissimi, continua a lavorare di sottrazione per dare forma e sostanza a un personaggio che pare un eroe tragico, votato alla sconfitta e alla morte. Il secondo, in apparenza opera minore, ma in realtà vera e propria quadratura del cerchio e al contempo elegia funebre di un genere (il Polar) e un artista (Melville) al capolinea della sua esperienza umana e filmica. Il nostro per l’occasione passa dall’altra parte della barricata, nel ruolo di un commissario cinico e disilluso.
Bastano solo tre ruoli a raccontare la carriera di un attore? No, certamente ed è impossibile non fare un veloce salto indietro e più precisamente al 1960. Anno di grazia per Delon in cui il suo destino si compie due volte. Prima il ruolo della “canaglia”, strappato con forza e convinzione per lo splendido Delitto in Pieno Sole, da un libro di Patricia Highsmith e poi l’incontro con quello che è stato maestro di vita e arte al pari di Melville: Luchino Visconti. Visconti lo sceglie come interprete del suo pugile, romantico e violento, per quel capolavoro senza tempo che risponde al nome di Rocco e i suoi fratelli. I due replicheranno a teatro e due anni dopo al cinema né il Gattopardo. Purtroppo, sfuma per sempre la possibilità di un terzo incontro cinematografico nel biopic dedicato a Proust che Luchino intendeva girare prima di morire. Alain raccoglierà comunque la sfida anni dopo, consegnandoci una delle sue interpretazioni più intense e commosse di sempre con Un amore di Swann tratto dall’opera dello scrittore francese, nella parte del Barone di Charlus.
Un ruolo che presagisce in qualche modo anche il declino di Delon di lì a poco. Quei “fantasmi” di cui parla Charlus, saranno gli amori irrimediabilmente perduti, le ambizioni tradite che come fiamme sono destinate a spegnersi e scomparire sotto il peso delle stagioni e dei cambiamenti. Le ultime interpretazioni prima del ritiro si sono consumate tra televisione e teatro, sempre più distante dal sistema cinema che un tempo lo osannava e in cui oggi stenta a riconoscersi. Restano però ancora vivi e pulsanti, dopo tanti anni, quei frammenti immortali di storie che l’attore ci ha regalato, simbolo di un’epoca e di un modo di fare cinema che non si ripeterà più.
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