
Plasmare le forme del visibile – Intervista a Bertrand Mandico
Ospite al Ravenna Nightmare Film Festival 2020 con un cortometraggio – The Return of Tragedy – in cui mostra al meglio lo stile della sua ricerca tra grammatica di genere, materia filmica e corpo attoriale, Bertrand Mandico è uno dei registi visionari meglio accolti dalla critica dopo il suo film di esordio, Les garçons sauvages, premiato a Venezia 74 alle Giornate della Critica. In quest’intervista, Mandico ci ha parlato del suo approccio al cinema, ai generi cinematografici e all’evoluzione dell’industria.
Si ringrazia Francesco Gamberini e Anna Cesario per il supporto linguistico.
Partiamo con un aspetto che mi incuriosisce molto: nel tuo lavoro, sembri appropriarti dei generi (letterari e cinematografici) con estrema consapevolezza, utilizzandoli come materia pulsante con cui plasmare il discorso. Come ti poni nei confronti del cinema di genere contemporaneo?
Il genere, per me, è più un gusto che un insieme di codici. Mi sento più a mio agio a immaginare storie che hanno il sapore del genere, piuttosto che applicare le ricette del genere. Codici e molle mi annoiano, congelano il genere in un accademismo ripetitivo, un’orologeria e una combinazione di formule, non c’è da stupirsi. Mi piace l’idea della mutazione e della talea dei generi. Cerco di creare narrazioni e immagini specifiche per ogni film che distribuisco (ma sempre con un retrogusto evocativo). Io profumo di genere, ma cerco di fabbricare prototipi.

Quanto pensi si possa ancora evocare lo spettro del “postmoderno”?
Il postmodernismo è inevitabile. Il postmodernismo è la capacità di dosare ciò che si è ingerito, è l’arte di digerire e distillare… È avanzare e rinnovarsi nella propria creazione, assumendo la cultura del passato e la propria conoscenza. L’artista incolto, ispirato e brillante, probabilmente esiste. Ma da parte mia, non essendo né ignorante né amnesico e molto appassionato di ogni genere di opere, non mi privo di mordere le mie influenze e di assumere questo atto vorace. Qualunque sia la cultura (o sottocultura) del passato che viene evocata, è la trasformazione che conta, l’alchimia creativa. Ma curiosamente, mi sentirò incapace di fare un remake, questo è il limite del mio rapporto con il “postmodernismo”.
La situazione industriale attuale ha portato a un necessario freno delle produzioni mondiali, congelando completamente il mercato americano e scoperchiando l’enorme ferita che i mercati interni europei hanno sempre nascosto. Qui in Italia questo si sente fortemente, ma in Francia c’è una forte affezione per le produzioni nazionali. Come ti vedi nel contesto industriale?
Mi sembra di avanzare in apnea. Sto terminando quello che avevo iniziato e intrapreso prima del lockdown, tentando di adattarmi al trascorrere dei mesi e agli ostacoli. Per il momento mi vedo come un sottomarino. Ma prima o poi dovrò tornare in superficie, quando le onde saranno passate. Credo che, più che mai, la finzione e la fantasia sfrenata potranno trovare un posto importante nel panorama cinematografico. Perché la realtà ha superato la finzione. La finzione dovrà superare se stessa. Direi addirittura che la caricatura è diventata realtà.

Sembra ormai che il discorso sui gender sia un must della rappresentazione audiovisiva contemporanea: certi player ne fanno addirittura una questione d’identità che sfocia nel logorroico. Tu scegli di affrontare il tema tornando al narrativo, rendendolo un aspetto del percorso di trasformazione (anche letterale) tanto dei personaggi quanto del racconto. Pensi si tratti di diversi sguardi politici e commerciali o è una questione di onestà?
Il mio rapporto con il “gender/genere” è insito nella natura delle storie che metto in scena. E questo coincide con le mie stesse domande, le mie convinzioni interiori e altri dati personali che sono di ordine intimo… Considero i racconti di finzione, i film, come un terreno favorevole per giocare con il “gender/genere”. Quindi per me è una questione di slancio naturale.
La corporeità sembra essere un elemento cardine del tuo approccio, tanto dal punto di vista contenutistico – pensiamo al corpo delle attrici, in continua trasformazione – quanto da quello espressivo: parlaci della tua scelta di girare in analogico in un momento storico in cui il digitale punta a una mimesis quasi indistinguibile.
Grazie alla sua chimica, la pellicola è in grado di catturare la carnagione e la dimensione magnetica degli esseri umani. Il digitale non fa altro che restituire le immagini ed invitare chi le utilizza a creare immagini fittizie illimitate in post-produzione. Per quanto mi riguarda, devo creare tutto sul set, e ho bisogno di essere limitato per inventare e trovare la mia libertà. Ho bisogno di inscrivere i corpi delle attrici e degli attori in un ambiente davvero irreale. Di provocare la loro pelle e la loro carne, in modo che una reazione avvenga davanti alla telecamera. Allora l’incarnazione del racconto è possibile.

Dopo la fortuna critica del tuo esordio, verso quali orizzonti stai guardando?
Io tesso una specie di ragnatela, sto finendo un lungometraggio, western/eroico fantasy dove si parlerà delle anime dei morti, dell’ecologia e di un mondo femminile. Sto preparando un progetto sulla barbarie e l’invecchiamento… Vado dove il sole tramonta, per prolungare il crepuscolo.
Sembra esserci molto fermento oggi da parte di pubblico e critica verso quegli autori che sanno proporre un approccio sinceramente viscerale – Artaud direbbe “crudele” – della rappresentazione. Cosa possiamo aspettarci?
Confido nel pubblico e nella critica per ampliare l’orizzonte cinematografico. E per rendere possibili nuovi generi cinematografici rendendoli popolari.

Come ti vedi nel contesto in mutazione del mercato audiovisivo?
Costante e proteiforme.
Pensi ti troveremo al lavoro per qualche piattaforma?
Una piattaforma come partner finanziario sì, perché no, purché non ci siano restrizioni artistiche. Ma tengo più alla la proiezione in sala che all’edizione DVD… Mi piace questo tipo di trinità per i film: Sala cinematografica – festival / Supporto fisico – oggetto / Distribuzione di massa…
Ritieni che ce ne sia una che rispecchia la tua visione del racconto filmico?
Quella che mi finanzierà un domani…

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