
Fear City – Come New York sconfisse le cinque famiglie di Cosa Nostra
New York, anni ottanta: la metropoli americana, cuore pulsante della East Coast e degli interi Stati Uniti, è in mano alla criminalità organizzata, che la tiene in pugno in un clima di violenza: la Fun City è diventata Fear City. La Mafia si divide in cinque famiglie, tutte di origine italiana: Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese; i clan, storicamente spesso in guerra tra di loro, sembrano ora collaborare, andando a creare un’enorme struttura criminale che, partendo dalle tradizionali attività illegali di spaccio, prostituzione e racketing, arriva fino all’infiltrazione in business milionari, che spaziano in ogni aspetto dell’economia.
Fear City: New York vs The Mafia, nuova miniserie Netflix in tre episodi diretta da Sam Hobkinson, racconta questo periodo dal punto di vista delle forze dell’ordine, ricostruendo il gigantesco lavoro di indagine, e il successivo processo, che porteranno all’arresto di numerosi tra i membri più importanti della mafia newyorchese, ridimensionandone notevolmente il potere, e alla rivoluzione nei metodi di accusa contro la criminalità organizzata. Il documentario è composto da interviste a figure coinvolte nella vicenda, includendo forze dell’ordine ed ex criminali, immagini e video d’archivio, registrazioni e documenti dell’indagine e ricostruzioni di alcuni momenti salienti.
Il tema trattato non può che portare a mente i film di Scorsese, e in generale il cinema di gangsters che ha portato alla fama, spesso romanticizzandoli, i cosiddetti wiseguys, e ascoltando le intercettazioni di numerosi criminali dell’epoca è impressionante sentire la similitudine di linguaggio e atteggiamento col Joe Pesci di Goodfellas. Fear City punta però ad approfondire invece l’altra – meno glamour – faccia della medaglia, inquadrando il complesso lavoro di investigazione in una piuttosto classica cornice da documentario true crime, affidandosi nei momenti più cinematografici a uno stile che si rifà di più a Mindhunter, con la sua estetica di registratori a nastro, bui uffici dell’FBI e colonna sonora anni ’70.
Le forze dell’ordine, divise e disorganizzate, si trovavano incapaci di confrontarsi con una criminalità estremamente organizzata e gerarchizzata, riuscendo ad effettuare arresti solamente nei confronti dei soldati, i sostituibili, il livello più basso delle famiglie, arrivando raramente a intaccare i capitani e soprattutto i boss e i loro vice. La rivoluzione arriverà con l’applicazione del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (RICO) Act, legge federale scritta dieci anni prima da G. Robert Blakey, professore della Cornell University che appare tra gli intervistati, senza però essere stata ancora compresa e utilizzata. La legge RICO permette l’incriminazione di un’intera organizzazione criminale per i reati commessi da singoli elementi della stessa, a patto che sia dimostrabile l’effettivo collegamento tra i vari membri delle famiglie.
Buona parte della serie si concentra quindi sul monumentale lavoro di raccolta prove e, dato il clima di omertà che rendeva insufficiente il numero di informatori, questo venne effettuato principalmente mediante intercettazioni, installando cimici in case, automobili e ritrovi dei criminali. Le spiegazioni e ricostruzioni di questo pericoloso e delicato lavoro sono tra i momenti più affascinanti, con operazioni che, tra finti tecnici telefonici e pedinamenti su furgoncini dai vetri oscurati, mostrano la verità dietro i classici delle spy stories. La parte più sconvolgente rimane però il quadro che lentamente emerge dall’ascolto di questi chilometri di nastri: le Five Families, mediante l’infiltrazione e il controllo di numerosi sindacati, sono coinvolti in ogni aspetto dell’economia, stabilendo i prezzi e prendendo larghe percentuali nei trasporti, nei porti e soprattutto nell’edilizia, effettuando affari milionari nel boom edilizio anni Ottanta. La chiave di tutto sarà la conferma dell’esistenza della Commissione, un vero e proprio consiglio dei boss esistente dai tempi di Lucky Luciano, che permetterà di dimostrare il collegamento tra i vari membri delle cinque famiglie e portarle a processo.
L’ultimo episodio si occupa proprio del memorabile processo e, oltre alla classica importanza della giuria nel sistema giudiziario americano, è interessante vedere il ruolo di Rudolph “Rudy” Giuliani, all’epoca procuratore federale a New York, la cui fama come volto dell’intero processo, anche per le sue origini italiane, sarà un elemento importante nella successiva nomina a sindaco della Grande Mela; in seguito farà parte del team di avvocati del presidente Donald Trump, a sua volta citato per il ruolo del “Concrete Club” mafioso nella costruzione della Trump Tower.
Fear City: New York vs The Mafia, nonostante qualche passo falso nelle ricostruzioni e nello stile, che potrebbero far pensare al true crime più dedito alla spettacolarizzazione, è un prodotto interessante e ben realizzato, che racconta la realtà di un momento storico che conosciamo principalmente attraverso lo sguardo più o meno romantico del cinema, sostituendo gli wiseguys di Scorsese con il punto di vista delle forze dell’ordine e del loro straordinario lavoro, legislativo e di indagine.
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