
Buio – Luci e ombre di realtà incerte
«Dreams are my reality / the only kind of fantasy» canta Richard Sanderson, mentre sulle note della canzone un padre intrattiene le tre figlie con cui vive. Ma qual è il sogno e quale la realtà? La fantasia è un’ arma a doppio taglio e quando si oltrepassa il limite e il sogno diventa incubo? Sono domande a cui Emanuela Rossi cerca di rispondere con il suo lungometraggio d’esordio, Buio, disponibile sulla piattaforma online di Mymovies fino al 21 maggio.
Stella (Denise Tantucci), Luce e Aria sono tre sorelle costrette a vivere recluse in casa. Loro padre (Valerio Binasco) è l’unico ad uscire per procurare il cibo, rischiando ogni giorno la vita in un mondo distrutto e devastato da un’eruzione solare. Alle ragazze è severamente vietato lasciare la casa poiché, a quanto racconta il padre, le donne sono destinate a soccombere non appena entrano in contatto con la luce solare. A Stella e alle sue sorelle resta, dunque, solo il ricordo di un mondo che non esiste più e che si devono scordare.
Una favola dark, ma anche un dramma, quello della donna che viene spogliata di ogni diritto e valore e rivestita con abiti demodé che la imprigionano in schemi e dogmi che vorrebbero proteggerla, e al contrario la vessano e la puniscono. L’educazione e le regole imposte da un padre padrone sono l’unico stile di vita possibile; studiare, allenarsi, mai giocare ed intrattenersi con sgualciti ricordi di un passato all’aria aperta e in libertà. Si vive giorno per giorno, nell’attesa dell’unica cosa che conta, il rientro dell’eroico padre esausto che ha combattuto e ucciso uomini per accaparrarsi un pasto frugale per le piccole, deboli ed indifese figlie. E se nella routine si presentasse una falla? Se la sopravvivenza venisse messa a rischio? Allora l’inferiore e fragile donna – giovane donna, di donne adulte non se ne vede neppure l’ombra – dovrebbe esporsi al rischio e al sacrificio.
Se per alcuni aspetti – prettamente narrativi – Buio sembra ricordare Kynodontas di Yorgos Lanthimos, presto se ne discosta per concentrarsi su ciò che avviene e può avvenire all’esterno della casa. Una crescita repentina e violenta – tanto quanto lo era nella casa –, e una presa di consapevolezza che porta la figura femminile, incarnata soprattutto dalla protagonista effettiva che è Stella, la sorella maggiore, a ribellarsi, a emanciparsi e a prendere pieno possesso della propria esistenza. La rabbia celata e addormentata in fondo al cuore di Stella, viene risvegliata, pungolata e portata alla dilagante esplosione. Ed è così che realtà e fantasia sovvertono il loro corso, si inseguono in una corsa a perdifiato che si arresta in un vicolo cieco, dove, alla stregua, una sola condizione può prevalere.
La regia di Emanuela Rossi è sicura, spigliata, sinuosa, arriva dove vuole arrivare e rende giustizia alla storia che vuole raccontare ai suoi personaggi. La macchina da presa, attratta dallo sguardo prima triste, poi spaesato ed in fine combattivo della protagonista, si adatta ai suoi cambiamenti, alla scoperta dell’ignoto che si mostra ad occhi inesperti come rumoroso, roboante, ammaliatore e perturbante. Un continuo gioco di prospettive – interiori e proiettate – dà la misura di quanto complessa e sfaccettata possa essere la psiche umana nella percezione del tempo e dello spazio, oltre che in quella dell’altro. Punti di vista che si incontrano e scontrano sotto lo sguardo di un Dio, pregato e citato compulsivamente, che si lascia incarnare da un egocentrico e depravato “figlio” che inverte, a suo piacimento, l’organizzazione di un mondo creato su misura con magnanima perversione.
Buio è una rivelazione, la conferma di quanto il cinema italiano sappia sconfinare e superare i propri limiti con intraprendenza e professionalità. Un’ibridazione cangiante che non lascia – giustamente – spazio al caso, all’equivoco e al non detto. Un esordio maturo, pronto che ci si augura possa essere l’inizio di un percorso fortunato, sempre fedele a se stesso.
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