
Il fascino e il ritorno del bianco e nero nel cinema a colori – Il caso di Parasite (2019)
Il mese scorso all’International Film Festival di Rotterdam è stata presentata una versione in bianco e nero del film Parasite (2019), premiato agli Oscar 2020 nonché Palma d’Oro dell’ultima edizione del festival di Cannes. Caso che si inserisci all’interno di una tendenza sempre più diffusa: quella di ritornare alla produzione di film in bianco e nero nell’era del cinema a colori. Si delineano due correnti, da una parte quella di produrre dei film che fin dal principio sono pensati per essere realizzati in bianco e nero come il film polacco Cold War (Pawel Pawlikowski, 2018) o il più recente The Lighthouse (Robert Eggers, 2019), e dall’altra quella di diffondere un film a colori ed in seguito farne circolare una versione in bianco e nero. A questa seconda corrente appartengono ad esempio Mad Max: Fury Road (2015) di George Miller, Mother (2009) e l’ultimo Parasite (2019) entrambi del regista sud-coreano Bong Joon-ho.
Una versione inedita, quella di Parasite (2019), che da qualche settimana circola in varie sale cinematografiche e che il regista, grande appassionato del cinema in bianco e nero, desiderava fin dall’inizio. Difatti come egli stesso sostiene in una masterclass a Rotterdam, la variante monocromatica è stata pensata e realizzata prima della vincita al Festival di Cannes con l’intento di iscrivere o perlomeno di avvicinare il suo film ai grandi classici del cinema:
I think it might be a sort of vanity on my part when I, and people in my generation, hope our films become classics, too. When we think of classics, they’re all in black and white.
Ma quali sono le altre motivazione di questa duplice diffusione? Una delle cause è economica, in quanto la diffusione di una versione nuova di un film ne riattiva il discorso critico e stimola soprattutto gli spettatori che non hanno ancora visto il film ad andare al cinema, e quelli che l’hanno già visto ad andarci una seconda volta, con la promessa di vivere una nuova esperienza, unica. Andiamo quindi ad analizzare meglio il caso di Parasite (2019), oltrepassando la causa economica e focalizzandoci sulla motivazione artistica.
La luce
La luce assume una funzione primordiale in questa versione in quanto è l’elemento di divisione degli strati sociali e ne plasma la gerarchia. Dai bassifondi scuri dove si trova la casa in penombra della famiglia Kim, si sale verso la casa minimale dei ricchi Park che si trova in cima alla città, composta da grandi vetrate a diretto contatto con la luce del sole.
Una scena assume particolare importanza: la famiglia Kim si sta divertendo all’interno della casa dei Park durante la loro assenza per un campeggio, d’improvviso un fulmine, rappresentato da un forte bagliore che rende l’immagine completamente bianca, attira l’attenzione dello spettatore e ne aumenta la tensione. Il fulmine evidentemente annuncia l’arrivo del temporale, ovvero il ritorno dei proprietari della villa, questa metafora nella versione a colori risulta essere meno potente. Poco dopo la pioggia esonda per le vie della città scendendo verso i bassifondi, dominati da tinte di grigio che ne sottolineano la sporcizia, per poi uscire sotto forma di liquido nero dai gabinetti innondando la casa dei Kim. Tutto ciò mentre la coppia Park, dopo esser tornata a casa, sta al caldo sul divano, in un ampio salone dagli arredi molto chiari ad osservare il loro figlio che ha deciso di dormire all’esterno sotto una tenda che, pur essendo un giocattolo, sembra essere più impermeabile all’acqua della casa dei Kim.
La monocromia
Pur se l’utilizzo del bianco e nero sottolinea la differenza degli ambienti tra gli strati sociali, l’uno il contrario dell’altro, la discrepanza tra le due famiglie non è così netta. L’utilizzo della monocromia è sorprendentemente capace anche di avvicinare le due realtà, ricordando che è difficile definire una persona nitidamente, poiché tutti hanno infinite sfumature nei propri comportamenti.
A questo proposito, la locandina della versione in bianco e nero sostituisce la scritta “cerca l’intruso” del poster originale con la frase “nessuno è tutto nero o tutto bianco”, e i bianchi e neri sono invertiti come in una sorta di radiografia che sembra rovesciare riferimenti e certezze. I poveri come i ricchi all’interno del film vengono rappresentati anche attraverso le loro azioni negative. Da una parte, la famiglia ricca vive nel lusso, criticando il cattivo odore dei poveri ma sfruttandoli per i propri bisogni (aiuto d’inglese, maestra di disegno, casalinga, autista); dall’altra, la famiglia dei poveri si insinua come un parassita nella casa dei Park e vive alle loro spalle godendo della casa in loro assenza e, non da ultimo, commettendo anche atti di grande brutalità. A questo punto, va detto che la scena finale, estremamente violenta, rimane di maggior effetto nella versione a colori; il sangue nero non ha lo stesso impatto del rosso vivido che tinge le scenografie della festa.
Il fascino per il bianco e nero si è sviluppato un po’ in tutte le cinematografie del mondo e ciò è forse dato dal fatto che, al giorno d’oggi, la tecnica a colori ha raggiunto una qualità tale da poter mostrare e produrre delle opere molto simili e vicine alla realtà. Attraverso l’impiego di tecnologie sempre più performanti si riescono ad ottenere ottimi effetti speciali e colori sempre più vividi e luminosi. Il realismo ha raggiunto un livello talmente alto che forse si cerca un ritorno a qualcosa di più semplice ed unico, come il bianco e nero nel cinema, che si distanzia dalla realtà definendo l’oggetto in quanto opera d’arte.
Nel caso di Parasite (2019), la versione in bianco e nero permette di iscrivere il film nei grandi classici del cinema ed arricchire tematicamente e stilisticamente la versione a colori. Ciò aumentando l’importanza della luce, delle ombre, del contrasto con una conseguente crescita della drammaticità, ma risulta difficile capire dove posizionare questa versione rispetto all’originale. Bisogna considerarla complementare al film stesso oppure un’opera nuova? Difficile dirlo, ma sicuramente, come sostiene lo stesso Bong Joon-ho citato in un articolo di VICE, permette di vivere una nuova esperienza:
It will be fascinating to see how the viewing experience changes when an identical film is presented in black and white. I watched the black and white version twice now, and at times the film felt more like a fable and gave me the strange sense that I was watching a story from old times, […] The second time I watched it, the film felt more realistic and sharp as if I was being cut by a blade.
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