
Locke & Key – Meno mistero e più drama
Di una trasposizione telefilmica di Locke & Key si parla da anni e la genesi della nuova serie Netflix, che ha debuttato il 7 febbraio, è stata quanto meno travagliata. La storia racconta di un gruppo di ragazzini che esplora una misteriosa magione magica, dotata di Chiavi dai poteri straordinari e Porte che danno su altri luoghi, epoche o mondi. Questa recensione di Locke & Key sarà spoiler free; parleremo perlopiù dei temi e degli aspetti tecnici dell’opera anziché della trama.
Locke & Key in breve
Locke & Key ci parla della famiglia Locke, composta dalla madre Nina (interpretata da Darby Stanchfield) e i figli Bode (il minore), Kinsey (la figlia di mezzo) e Tyler (il maggiore). La famiglia si trasferisce da Seattle nel Massachusetts, a Matheson, dopo la tragica morte del padre Rendell che era proprio originario di questo paesino. I quattro occupano infatti la casa di famiglia dei Locke, aiutati dal fratello del padre, Duncan (Aaron Ashmore), che ha un rapporto travagliato con la casa, ammantata da un’aura misteriosa. Presto i giovani protagonisti scopriranno che non è solo l’atmosfera della casa ad essere problematica.
La serie si apre con una scena curiosa e di grande impatto, a cui segue una classica ellissi temporale. Tre mesi dopo ci troviamo di fronte alla suddetta famiglia già a Matheson. Mentre loro esplorano la nuova vita e la nuova casa, noi spettatori possiamo abituarci ai personaggi ed esplorare i temi dello show, che si presenta come un incrocio tra The Hunting of Hill House e Stranger Things, ma dai toni sicuramente meno horror e nostalgici e quindi molto distante da The Chilling Adventures of Sabrina Spellman. Da quest’ultimo serial, invece, viene ripresa tutta la porzione più young adults, tipica anche del cugino Riverdale, con una focalizzazione sui personaggi più giovani e sui misteriosi intrecci tra personaggi e mondo narrativo.
Le chiavi e i loro poteri danno infatti modo di esplorare alcune tematiche interessanti, anche da un punto di vista umano e culturale, come il rapporto tra persona ed emozioni o le conseguenze e i rischi di avere la possibilità di cambiare sé stessi, il proprio carattere e le proprie idee come se ci sottoponessimo ad una chirurgia psichica. Questi e molti altri temi sono però solo accarezzati, perché il serial non mette mai in dubbio per neanche un’istante la veridicità del sovrannaturale, dandolo quasi per scontato e ovvio.
Una genesi travagliata
C’è da dire che Locke& Key ha avuto una genesi travagliata — ed è un eufemismo. Negli ultimi anni ha visto diversi progetti, differenti produzioni e alcuni pilot girati e scartati. Nel 2011 il pilot per la Fox, prodotto da Alex Kurtzman (Lost, Once Upon a Time) e Bob Orci, con un cast totalmente diverso che includeva tra gli altri Mark Pellegrino e Miranda Otto, fu addirittura proiettato al San Diego ComiCon.
A questo si susseguirono notizie ballerine. Da un lato una trilogia di film con la Universal, dall’altro un telefilm su Hulu sviluppato da Hill e Carlton Cuse (Bates Motel, The Strain). Il pilot fu girato con Andrés Muschetti alla regia, ma Hulu non diede via libera alla serie. Di questo secondo pilot del 2017 si salvarono due cose importanti, però: Muschetti, che rimase come produttore esecutivo, e l’interprete del giovane Bode, Jackson Robert Scott, unico membro del cast rimasto.
C’è da dire che con queste premesse, la serie Netflix è in parte riuscita a mantenere un grado di qualità che la rende un prodotto degno di essere visto. Come tutte le precedenti, anche questa produzione si è concentrata sul cast, capendo la sua importanza: gli attori scelti sono volti conosciuti per ruoli minori in altri serial (Darby Stanchfield è stata Abby in Scandal, mentre Aaron Ashmore fu Jimmy Olsen in Smallville tra i tantissimi ruoli ricoperti), ma si ritrovano in scene che li obbligano a dare il meglio di sé — e funziona! Il livello generale di recitazione è alto e, visto in lingua originale, è piacevole cogliere le sfumature che ogni attore dona al proprio personaggio. Azzeccata, giustamente, anche l’attenzione ai luoghi, tutti molto ispirati, a partire da Casa Locke, dotati inoltre di una solida scenografia.
Il Mondo trattenuto di Locke & Key
Ho sempre voluto leggere Locke & Key, la serie di fumetti scritta da Jon Hill e pubblicata tra 2008 e 2013, con alcuni extra usciti lo scorso anno e in pubblicazione a breve. Non ne ho mai avuto occasione e ho dunque approcciato la serie come un neofita parziale. Sì, perché la serie a fumetti è parecchio famosa e diversi amici me l’hanno descritta come un must. Sapevo dunque due cose all’inizio della visione: che stavo per approcciare una storia quasi horror e dai contenuti forti e che si parlava di chiavi magiche che aprivano porte e parti della realtà del nostro mondo, mutandole in altro.
La mia curiosità era elevata per via di due elementi che, a mio parere, possono tramutare una serie in un cult (a prescindere dall’audience). Da un lato, Locke & Key presenta un mondo esplorabile con l’immaginazione: possiamo infatti chiederci quali e quante Chiavi ci siano in questo mondo, che effetto abbiano e immedesimarci nei protagonisti che, come noi, muoiono dalla voglia di sapere cosa esiste oltre a quanto hanno già visto. E questo desiderio viene in parte soddisfatto, perché ci sono numerose Chiavi in così pochi episodi.
Dall’altro, Locke & Key ha il potenziale per essere visionario e perturbante quanto un Legion (2017-2019) o folle abbastanza da superare perle semi-sconosciute come Utopia (Channel 4, 2013). Mi aspettavo, se non effetti speciali incredibili, soluzioni ingegnose e fantasmagoriche, anche a livello di inquadrature e montaggio — un po’ come avviene nel recente Hunters di Amazon Prime, dove però lo sperimentalismo è quasi un pugno nell’occhio rispetto alla serietà del tema. Su questo punto, scenografia ed effetti speciali sono buoni, ma forse non sono sempre adeguati o in linea con l’aura di visionarietà del fumetto.
Un finale dai giudizi sospesi
La sensazione finale è dunque che ci si sia trattenuti, forse perché necessario mantenere a livello produttivo alcuni elementi del pilot del 2017, forse perché a livello di marketing si è messa in moto la strategia di puntare tutto sul lato più young supernatural, chiamiamolo così, e produrre quindi un titolo che si accostasse bene a Sabrina, Riverdale, Stranger Things e I Am Not Okay With This — ignorando però il lato più Hill House e Castle Rock che mi sarei aspettato in una serie incentrata su una casa stregata!
Inoltre, senza spoilerare troppo, il finale della prima stagione lascia troppe porte aperte (pun intended) e ha, ahimé, il problema di, forse, sminuire eccessivamente il peso degli eventi e le buone rivelazioni fatte durante tutti i precedenti episodi. Spero di poter vedere maggiore chiarezza e visionarietà nella seconda stagione, la cui conferma è però ancora incerta.
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Io non sono riuscita a comprendere alcuni dettagli. Come il senso di alcune chiavi, immaginavo che ai fini di attivare la corona, servisse possedere tutte le chiavi contemporaneamente, e invece le chiavi si rivelano tutte inutili tranne una; perché allora averne 100? Inoltre non capisco che senso abbia il personaggio dello zio Duncan, vengono trovati i suoi ricordi, perché nessuno ha pensato di rimetterglieli nella testa? E così facendo farlo diventare un personaggio utile (in termini di trama).
I fumetti lo spiegano bene. Sicuramente la seconda stagione arricchirà la trama
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