
Lo sceicco bianco – L’inizio del grande sogno felliniano | Fellini 100
Non potevano che partire da Lo sceicco bianco le celebrazioni per il centenario della nascita di Federico Fellini. Questo non solo perché il film del 1952 – dal 13 gennaio in sala in versione restaurata, assieme a una selezione di altri celebri titoli dell’autore – è il primo vero film (dopo la co-regia di Luci del varietà con Alberto Lattuada) del regista romagnolo. Ma anche e soprattutto perché in questa commedia apparentemente semplice e disimpegnata c’è già, in nuce, gran parte dell’universo tematico ed espressivo dell’autore di 8 ½, la prima, compiuta e spettacolare apparizione di quelle che diverranno le ossessioni di un’intera vita. L’inizio del grande sogno felliniano.
Del resto è un film di prime volte, Lo sceicco bianco. La prima volta in cui Fellini ha davvero carta bianca e pieno controllo su una sua idea, dopo anni passati a scrivere per altri. Ma anche la prima volta (o quasi) di amici e collaboratori, a partire da un Alberto Sordi fortemente voluto dal regista per un ruolo finalmente di primo piano, fino a sodalizi che dureranno per anni. Tra questi quello con Ennio Flaiano, qui sceneggiatore a fianco del fedele Tullio Pinelli, e quello con la moglie Giulietta Masina che mette in scena lo stesso personaggio che tornerà poi ne Le notti di Cabiria. E soprattutto, quello quarantennale con il compositore Nino Rota. Un’esperienza, quella dietro la macchina da presa, che sarà per il regista allora trentunenne una rivelazione, il momento, come lo definirà Tullio Kezich, in cui “Fellini diventa Fellini”, consapevole di aver trovato finalmente, il primo giorno di riprese su quella spiaggia di Fregene, la propria autentica vocazione.
E pensare che il film avrebbe dovuto dirigerlo Michelangelo Antonioni. Mano a mano che la sceneggiatura prendeva forma però, Antonioni si rivelò poco entusiasta di quella storia apparentemente così leggera sulle vicissitudini di una coppia di sposi in viaggio di nozze a Roma. Una vicenda invece congeniale a Fellini, capace di far emergere tra le sue pieghe temi, figure e ossessioni che diventeranno fondamentali nel suo cinema. Nelle avventure tragicomiche dell’ingenua Wanda (Brunella Bovo), fuggita dal neo sposo Ivan (un esilarante Leopoldo Trieste, strappato da Fellini alla drammaturgia e fatto esordire qui come attore) per incontrare l’eroe dei suoi fotoromanzi preferiti, c’è infatti già un intero universo tematico pronto a esplodere. Dall’elemento autobiografico (Roma vista da uno sguardo provinciale), al gusto per le maschere, le caricature e il circo (la sequenza degli attori che scendono la scalinata è la prima di una lunga serie di parate felliniane), fino alla contrapposizione tra realtà e fantasia, con tutto il peso che le illusioni, grandi o piccole che siano, comportano.
Il risultato è così un film dal sottotesto sottilmente eversivo, con il suo ritratto macchiettistico di una piccola borghesia in bilico tra desiderio di evasione fantastica e apparenze forzate, fino a creare un parallelo tra il mondo illusorio del fotoromanzo e quello altrettanto illusorio della Chiesa. Un’interpretazione che però non sarà colta appieno al momento dell’uscita. L’accoglienza tiepida peggiorerà le sorti già non rosee della società del produttore Rovere. Eppure Lo sceicco bianco spianerà la strada a un autore il cui personalissimo universo immaginifico è già tutto lì, nella prima apparizione, onirica e ironica al tempo stesso, del suo Sceicco che, ondeggiando su un’altalena sospesa nel nulla, irrompe nella storia del cinema, segnandola per sempre.
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