
Hammamet – Un ritratto all’ombra del mito
È giusto fare una premessa iniziale a questa recensione: Hammamet non è un film che parla di politica. Certo la politica è presente nel film, ma non è il tema principale; funge da sottotesto narrativo per definire meglio il carattere del protagonista, senza però eclissarne l’identità. Questa considerazione potrebbe sembrare paradossale, pensando a un’opera il cui protagonista è Bettino Craxi, un leader politico che ha fatto la storia italiana del secolo scorso e che ancora divide l’Italia fra sostenitori e detrattori. Eppure, per raccontare quest’uomo, la scelta stilistica del regista Gianni Amelio è forse la più estrema, ma anche la più intelligente che si possa fare: estraniarsi dalla politica. Non c’è alcun giudizio nella sua opera. Il regista calabrese non vuole né assolvere né condannare il politico Bettino Craxi, ma piuttosto scoprire l’uomo dietro al mito. Per questo si concentra sui suoi ultimi giorni di vita, delineando un ritratto intimo e profondo di un uomo giunto alle soglie della morte.
Il titolo del film, Hammamet, fa riferimento alla villa in cui Craxi abitò negli ultimi anni e che poi diventò la sua tomba. Dunque, coerente con quello che è lo spirito del regista, è giusto recensire questo film sospendendo qualsiasi giudizio storico-politico, limitandosi ad analizzare quello che si vede sullo schermo. L’obiettivo sarà quello di valutare il film e non l’episodio storico da cui esso è tratto.
Il film si apre con un bambino che rompe un vetro con una fionda. Subito dopo si entra nel vivo del 45° congresso del partito socialista italiano, quello in cui [un] Bettino Craxi venne rieletto per la sesta volta segretario. Dopo il comizio, il Presidente incontra l’amico e compagno Vincenzo Balzamo, che lo avverte dei futuri rischi che correrà continuando a ricevere finanziamenti illeciti. Ovviamente il Presidente ignora i suoi consigli. E così, grazie a una lunghissima ellisse, lo vediamo dieci anni dopo nella sua residenza ad Hammamet, dove vive in esilio con i familiari più stretti, dopo lo scandalo di Tangentopoli. Qui il Presidente riceve la visita di Fausto, il figlio del defunto amico Vincenzo. Con lui il Presidente instaurerà un rapporto sempre più stretto e proprio a lui, diventato suo intimo confessore, rivelerà i segreti più oscuri.
Il film, che Amelio definisce un western o un thriller, potrebbe in realtà essere considerato una tragedia: un film-testamento, incentrato su un uomo sconfitto, a tratti comico, a tratti patetico, che guarda la propria disfatta, fra vecchi ricordi, intimi incontri e disparati fremiti di vita. La maggior parte del film è ambientata nella reale villa di Craxi ad Hammamet, sospesa fra passato e presente, dove l’ex presidente ripensa ai suoi errori. Qui Craxi, prigioniero delle sue azioni, non agisce, ma si abbandona alla contemplazione di un passato che fa sempre eco da lontano, restando palpabile e inalienabile. Tutta la narrazione si poggia sulla figura di questo personaggio, vecchio e stanco, il cui corpo si trascina a fatica fra le sale della villa, ma la cui mente è sempre indomita e lucidissima.
Il film quindi non narra una storia, ma la medita; si avvolge su sé stesso nella sua aura contemplativa, come se cercasse di riprodurre il pensiero stesso del Presidente, costantemente rivolto verso la sua carriera interrotta da uno scandalo indimenticabile. Come già detto, l’opera di Gianni Amelio non è un film “in vita”, ma “in morte” di Craxi e la sua regia è volutamente sommessa, posata ed estremamente sintetica; quasi si nasconde dietro i personaggi principali, per dare maggior risalto agli attori e ai dialoghi.
Ancora una volta Pierfrancesco Favino ci regala una performance straordinaria. Mimenticamente calato nella parte, Favino non interpreta Craxi, ma lo diventa, assumendone la voce, i gesti, i movimenti, grazie soprattutto a un make-up sublime. È davvero impressionante vedere l’attore, così distante dal personaggio, trasformarsi completamente in lui. Tuttavia, per quanto possa sembrare istrionica, la performance di Favino è sempre molto misurata. Il suo Craxi non è un eroe, ma un uomo, che si rivela in maniera sempre più sfaccettata e contraddittoria allo spettatore, grazie ai rapporti che instaura con gli altri personaggi, che sembrano quasi fare da contraltare alla sua complessità.
Costantemente vicina, la figlia Anita rappresenta l’eredità del padre: un’eredità politica, morale e spirituale, che lui ama e cerca di difendere in tutti i modi. Fausto, invece, rappresenta le colpe di una vita, un fantasma shakesperiano che si presenta sulla scena per tormentare l’ex presidente con il suo più grande rimorso: aver deluso un amico e un compagno che gli era stato accanto. Anche la villa di Hammamet diventa un vero e proprio personaggio: una gabbia dorata, ariosa, ma opprimente, che, come un’urna cineraria, si appresta a contenere le spoglie del futuro defunto e lo costringe continuamente a ripensare ai suoi errori.
In questo complesso ritratto crepuscolare non tutto funziona però. In particolare la sequenza finale sul “segreto di Craxi” risulta pleonastica. Amelio aveva già espresso questo messaggio quando sulla spiaggia, davanti al carro armato, Bettino aveva esposto a Fausto la sua verità che noi però non riusciamo a sentire, prova che la verità è inconoscibile.
Hammamet è infatti un racconto incompiuto, un’opera aperta, che non giudica l’episodio storico da cui è tratto, ma lo ripropone, lo rianalizza in maniera più libera e inaspettata. E questo scorcio di vita, così breve e complesso, non può non emozionare nella sua ricchezza, proprio perché svela la maschera del mito, mostrandoci quel che rimane troppo spesso celato dietro quella maschera, in un ritratto a tutto tondo che mostra un uomo. Così facendo Amelio si dimostra grande regista, perché preferisce porre una scomoda domanda, piuttosto che dare una facile risposta.
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