
The Farewell: una bugia buona – Mentire per continuare a vivere
Nel romanzo di Carlo Collodi, Pinocchio, il personaggio della Fata Turchina suddivide le bugie in due tipologie: quelle che hanno le gambe corte e quelle con il naso lungo. Come anticipato dal titolo, in The Farewell, opera ispirata a eventi autobiografici della giovane regista Lulu Wang, quella che dà il là agli eventi, srotolando il rotolo di pellicola su cui inscrivere, fotogramma dopo fotogramma, le avventure della famiglia Wang, non è altro che una bugia buona.
Nessun naso lungo, o misfatti da celare. È il mostro del nuovo millennio, quella macchia che fa la sua comparsa alla luce di un’ecografia, a innescare il teatro della menzogna, facendo di ogni componente della famiglia un attore professionista. Si instaura così un gioco di doppi e riflessi in cui il cinema è davvero specchio della realtà, e la vita vissuta si mescola a quella reduplicata in formato di celluloide.
Poli di una stesso universo che attraggono e scatenano le varie fasi di una storia che non vorresti finisse mai sono Billi (Awkwafina, al cinema anche con Jumanji: The Next Level) nata a Pechino ma fiera cittadina di New York da quando aveva sei anni, e la nonna Nai Nai, stoica rivoluzionaria, donna indistruttibile fortemente legata alla tradizione cinese a cui viene diagnosticato un cancro. Eccolo il seme da cui germoglierà la menzogna. Tutto nascerà da lì, da quel “stai bene, è tutto a posto” annunciato a denti stretti e con gli occhi colmi di lacrime.
Decisi a condividere con la propria matriarca le ultime settimane della sua vita, figli, cugini e nipoti sparsi tra America e Giappone fanno ritorno in quella stretta dimora, lontana dalle luci sfavillanti dei centri metropolitani e le ombre di migliaia di passanti intenti a incrociare per una manciata di nanosecondi i propri sguardi. Ora gli sguardi di Bill, dei suoi genitori e di tutti i suoi famigliari – uniti di nuovo come tessere di un puzzle andatesi perdute sotto tappeti di contenenti differenti – sono fissi gli uni sugli altri, concentrati a cogliere un indizio, un input, un suggerimento circa la nuova battuta da pronunciare o improvvisare sul palco delle verità nascoste. Perché la paura di perdere la propria nonna è tanta, e allora tanto vale far finta che la triste mietitrice non debba far visita a casa loro. E per farlo nascondono a Nai Nai la verità: non esiste nessun cancro, la malattia era soltanto una grande paura.
Commedia famigliare infusa di ricordi e attimi di vita vissuta dalla regista Lulu Wang, l’intero scorrere dell’intreccio è un pugno di ferro tra la brillantezza ironica della sceneggiatura e l’intima poesia della macchina da presa. Una lotta mai violenta ma combattuta ad armi pari, senza un reale vincitore. Comparto visivo, narrativo e sonoro si uniscono in un abbraccio caldo e consolatorio, privo di retorica o di facile sentimentalismo. Lo spettatore sente di far parte della famiglia di Bill, ne diventa il suo alter-ego extra-diegetico condividendo con la ragazza e i suoi buffi parenti dolori, risate, ricordi, imbarazzi e affinità speciali che solo un rapporto nipote-nonna può regalare (la scena dell’attività fisica è un colpo al cuore pronto a immortalare un sorriso bagnato da una leggera e silenziosa lacrima).
Sebbene il tema trattato dal film riguarda un aspetto non molto indagato al cinema e fortemente radicato nella cultura cinese (il cosiddetto “principio della beneficialità”) ciò che sorprende maggiormente di The Farewell è il tono leggero, tenero, realistico con cui esso viene trasposto sul grande schermo. Modellata come creta dalla forza creatrice nata in seno alla propria biografia, Billi nasce da un seme mnemonico di Lulu Wang per diventarne la sua portavoce cinematografica.
Molto più che alter-ego la protagonista è la custode di sentimenti, emozioni, lacrime e parole inespresse che adesso possono sgorgare nel fiume del cinema. Svestitosi di drammi e parodie, ma sempre supportato da inquadrature ravvicinate (sebbene un po’ elementari e ingenui, cosa che non stride in questo caso visto il contesto generale del racconto) che permettono l’accorciarsi della distanza spettatoriale e la sottolineatura emotiva di ogni minimo mutamento umorale, The Farewell sa giocare con la sua natura bipolare di opera che fa sorridere e commuovere. Una dicotomia sottolineata da una colonna sonora che alterna momenti lirici a brani pop-rock dalla portata asincrona e per questo ancor più emozionante.
In The Farewell è comunque la malattia, architrave del tempio della bugia, che permette di indagare ogni punto di riflessione e suggerimenti narrativi, ora sviluppati in tutta la loro potenza, dando vita a scene destinate a insidiarsi nel cuore e nella mente dei propri spettatori. Si pensi soprattutto alla scena del matrimonio e al gioco delle bevute in cui il cugino di Billi, Hao Hao, si ubriaca facilmente. Tra lacrime e sorrisi, è la semplicità dei rapporti umani e di ogni minimo gesto che rende emozionante e sorprendente questo film; la bugia raccontata a Nai Nai sarà buona, ma il film che ne consegue, quello, è semplicemente umano.
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