
La Calata di Milano: per uno spettatore attivo | Intervista a Giorgio Testa
di Stella Civardi e Silvia Mazzei
La Calata è un evento ideato e organizzato da Casa dello Spettatore, un’associazione culturale, con sede a Roma, che si occupa di formazione del pubblico ed educazione al teatro, collaborando con teatri, festival e compagnie. Casa dello Spettatore si interessa al pubblico in quanto soggetto attivo, che fa esperienza del teatro nel contesto della città, entrando in contatto con ambienti e persone che lo vivono. L’iniziativa si inserisce quindi in un più ampio progetto di ricerca sul ruolo attivo dello spettatore. Dopo le edizioni di Roma nel 2017 e nel 2018, e di Napoli nel 2019, l’evento arriva a Milano.
La sera di sabato 9 novembre, un gruppo variegato di spettatori curiosi è calato sulla città di Milano, per assistere agli spettacoli in programmazione nei teatri della città (tra cui Tradimenti al Teatro Fontana, che abbiamo recensito qui). Lo sguardo attento dei calati non era rivolto solo allo spettacolo che si svolgeva sul palcoscenico, ma anche a quello vario della vita intorno a loro, dai frequentatori abituali dei teatri, all’atmosfera che si respira in platea e, perché no, nel foyer.
Per La Calata di Milano si è svolto un incontro preliminare con gli spettatori partecipanti martedì 29 ottobre al Teatro Litta. In seguito, sabato 9 novembre è avvenuta La Calata vera e propria. Mercoledì 27 novembre, infine, si terrà l’incontro conclusivo presso il Teatro Leonardo, durante il quale gli spettatori potranno condividere l’esperienza vissuta. Le testimonianze degli spettatori verranno raccolte in un reportage che mostrerà il panorama teatrale di Milano da differenti punti di vista. L’evento è rivolto a tutti gli spettatori che vogliano esplorare, per poi raccontare e condividere, la realtà teatrale della propria città.
Tra i calati di Milano era presente anche un gruppo di studenti dell’Università di Pavia: abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Giorgio Testa, presidente di Casa dello Spettatore e ideatore dell’evento, che, insieme alle collaboratrici Miriam Larocca e Flaminia Salvemini, ci ha parlato de La Calata e del suo progetto di educazione degli spettatori a teatro.

Com’è nata l’idea de La Calata?
Ho pensato che sarebbe stato bello poter andare a vedere tutti gli spettacoli teatrali di una città, dato che solitamente è necessario operare una scelta tra le diverse proposte. Mi venne questa idea, ma era molto complicato metterla in pratica, quindi passarono gli anni senza che riuscissi ad organizzare un’esperienza simile. Poi il 17 novembre 2017 ci siamo riusciti. Io stesso, che l’avevo pensata, mi stupii di vederla attuata a distanza di tanti anni, perché è stato un processo in itinere.
Cosa avete notato riguardo al rapporto teatro e città in Italia, anche alla luce delle precedenti Calate?
Ogni città è diversa dall’altra: a La Calata di Roma parteciparono solo i romani; a Napoli una calata, che lavorava come guida turistica, ha organizzato una gita per mostrare la città ai compagni calati; sempre a Napoli, i napoletani lanciarono l’idea di invitare a calarsi anche i non-napoletani, e anche di ospitare nelle loro case gli spettatori venuti da fuori; a Milano solo uno spettatore milanese ha messo a disposizione un letto per chi veniva da lontano. In questo modo si conosce una città e i suoi abitanti. Con La Calata abbiamo anche creato un legame di vicinanza e generosità reciproca tra teatranti: molti ci hanno aiutato, mettendo a disposizione dei biglietti omaggio. Siamo riusciti a stabilire un valore di incontro con la città, e uno scambio reciproco tra abitanti di città diverse, con effetti ogni volta inaspettati.
La Calata è anche l’occasione per i cittadini di scoprire la propria città, attraverso i teatri: a Roma, ad esempio, molti calati hanno scoperto teatri, anche vicini alle loro case, che non conoscevano. Ciò che davvero conta è l’esperienza: per i reportage lasciamo assoluta libertà di composizione in modo da far affiorare proprio una personale testimonianza dell’esperienza. Spesso nei reportage si leggono esperienze particolari, come quella di un ragazzo che si è trovato ad essere, la sera de La Calata, l’unico spettatore di una pièce in un teatro periferico, motivo per cui lo spettacolo è stato annullato e lui è dovuto ritornare il giorno seguente per assistervi. Questo ragazzo ha potuto riflettere e immedesimarsi nel personale del teatro e negli attori che devono confrontarsi con queste problematiche. In questo senso La Calata diventa anche un modo per rivitalizzare le realtà teatrali più piccole e periferiche. Perciò il nostro è un progetto in fieri, perché ogni volta entriamo in contatto con situazioni diverse e particolari. Ad esempio non ci era ancora successo di avere un gruppo di studenti universitari interessati all’evento.
In un mondo così sovraesposto alla visione e all’immagine in senso lato, quali strategie si attuano per l’educazione alla visione teatrale dei più giovani?
L’educazione dello spettatore comincia fin dall’infanzia. Il bambino non va a teatro di sua spontanea volontà, ma viene accompagnato dagli adulti; è importante quindi occuparsi soprattutto di educare al teatro gli adulti di riferimento, dai genitori agli insegnanti. Oggi si pone come nuovo problema il fatto che il bambino è fin dalla primissima infanzia in contatto con forme di spettacolo non dal vivo. Quindi il processo di incontro tra il bambino e l’esperienza dello spettacolo dal vivo deve seguire una particolare metodologia: la didattica della visione. Come esiste la didattica della lettura, secondo cui i bambini seguono un percorso propedeutico di preparazione alla lettura, così esiste un progressivo avvicinamento alla visione. Con la differenza che il bambino, anche molto piccolo, comincia ad avere un rapporto con la lettura delle immagini. Il bambino non si deve sentire investito da una realtà sconosciuta, ma allo stesso tempo è necessario conservare la bellezza della sorpresa e del mistero nell’andare a teatro. Lo spettacolo dal vivo per il bambino è quasi una magia: lo interessa e soprattutto lo coinvolge moltissimo.
Nel momento della visione di uno spettacolo, è sempre più raro che il pubblico conosca il testo di riferimento, a meno che non si tratti di un pubblico colto o di una classe scolastica a cui la lettura è stata imposta. È una tendenza che riscontrate o ci sono stati dei cambi di rotta significativi?
La lettura imposta di una drammaturgia porta a odiare il teatro. Questa non è educazione al teatro. La Calata è una esperienza del tutto diversa, perché, appunto, si cala in maniera casuale. Il testo teatrale viene pensato per essere agito, quindi non è necessario che lo spettatore abbia letto la drammaturgia. La stessa cosa accade con la musica: andiamo a un concerto senza aver necessariamente letto prima gli spartiti musicali. La lettura è un processo completamente diverso dalla visione dal vivo, di conseguenza questi processi danno origine ad esperienze diverse tra loro. Può capitare che lo spettatore voglia informarsi sullo spettacolo che andrà a vedere, o che voglia riflettere su quello che ha appena visto, e allora si accosta al testo. L’approccio deve essere però spontaneo. Mi è capitato di recente di portare un gruppo di ragazzi a teatro a vedere Il giuoco delle parti di Pirandello. Abbiamo letto l’inizio perché era molto interessante, e Pirandello era talmente bravo che la prima pagina del testo contiene tutto quello che avverrà in seguito. A volte, ad esempio, è necessario avvicinarsi al testo per far comprendere la differenza tra testo drammatico e narrativo. Tutto dipende dallo spettacolo, da chi lo va a vedere, e da chi aiuta lo spettatore nella visione attiva. Perciò non c’è una ricetta della buona educazione teatrale: è una ricerca continua, in cui è di importanza basilare facilitare l’incontro tra teatro e spettatori, rendendolo tale da creare il desiderio di ripeterlo, ogni volta in modo diverso. Il teatro continua ad avere peso nella nostra società, in cui lo spettacolo della televisione e del cinema sembra avere la meglio. Tanti anni fa organizzai un’inchiesta sul teatro nella mente, cioè l’idea del teatro che aveva un campione di ragazzi dai 14 ai 18 anni. Non ci andavano a teatro, ma tutti ne avevano un’immagine, un pregiudizio, una fantasticheria. Il teatro per questi ragazzi era un universo saturo di memoria e immaginazione. Il teatro esprime il nostro bisogno di vedere la vita rappresentata, per riconoscerci e riflettere su noi stessi. Quindi per questo, senza l’educazione, il teatro non riesce a incontrare davvero lo spettatore.
Considerando l’educazione al teatro, soprattutto per i bambini, in rapporto con la pedagogia: qual è il legame tra psicologia e teatro?
La psicologia si occupa delle percezioni degli esseri umani, delle loro emozioni e di come reagiscono agli stimoli. Il teatro stimola le percezioni degli spettatori, che possono così essere osservate in una dimensione parallela e collegata alla realtà. Dall’attenta osservazione degli spettatori e delle loro reazioni, acquisisce importanza il tema dell’educazione di chi va a teatro. A partire dai bambini, fino ad arrivare agli adulti, ogni pubblico reagisce in modo diverso di fronte alla rappresentazione teatrale. Ad esempio è interessante studiare l’effetto che ha il buio sui bambini piccoli: all’inizio dello spettacolo, come si spengono le luci, iniziano a battere le mani, a far rumore, perché chiaramente per loro questo passaggio dalla vita quotidiana a questo mondo misterioso dà origine a un’emozione violenta, che provano anche gli adulti, riuscendo però a tenere controllata.
La Calata si rivela quindi essere anche un’opportunità per evadere dalla vita quotidiana, rimanendo però sempre ancorati alla realtà, proprio come avviene a teatro: l’immersione in un mondo possibile in cui ci si possa ritrovare tutti insieme, liberi e uguali, senza alcun pregiudizio o timore. Acquisire una nuova consapevolezza: sempre più assuefatti alla visione, si è spettatori passivi anche della vita. Grazie all’esperienza della Calata il ruolo dello spettatore diventa invece attivo. Non conta tanto ascoltare, quanto sentire; non conta solo guardare, ma vedere davvero. Forse, allora, bisognerebbe imparare a calarsi ogni giorno. A teatro, ma anche nella propria vita.
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