
Too Old to Die Young – L’immagine che (non) muore
“Abbiamo diviso l’atomo, infranto il tessuto della realtà. Ora le luci delle nostre città arrivano più in là delle stelle nel cielo. Ma più la società si perfeziona, più perdiamo la ragione. Siamo diventati schiavi del sistema che abbiamo creato”
– Viggo Larsen (John Hawkes) in Too Old to Die Young
È una lentissima – quasi insopportabile – panoramica a trecentosessanta gradi a introdurci in un innevato sobborgo di una cittadina del Wisconsin, ambientazione iniziale di Fear X (2003), terzo lungometraggio di Nicolas Winding Refn. Esiste una linea sottile che collega i due principali insuccessi economici del regista natio di Copenaghen. In Fear X il testo squisitamente postmoderno nato dalla penna di Hubert Selby Jr., dalle tinte e forme thrilleresche, ci proietta negli spazi inconoscibili del silente viaggio di Harry (John Turturro). Spazi di irrealtà architettonicamente costruiti per intrappolare al loro interno protagonista e spettatore, spinti verso un finale di disillusione, di risveglio dall’inganno. Traslando un aforisma di Karl Kraus: quanto minore è la distanza dalla quale osserviamo un’immagine, tanto maggiore sarà la profondità da cui l’immagine stessa, rivolgendoci lo sguardo, darà risposta. Eppure, nel caso di Too Old to Die Young (2019), l’immagine sembra restituire soltanto bisbigli indistinti, un’eco sorda.
Miglior regia a Cannes 2011 per il sontuoso Drive, l’autore danese non ha certo bisogno di presentazioni – tra i pochi registi contemporanei ancora in grado di pensare e indagare il cinema, di interrogare l’immagine. La stessa immagine che, da cinematografica, con Too Old to Die Young si presta al piccolo schermo, si fa “serie” – ma solo in parte. La veste seriale tradisce infatti un’operazione che appare fin da subito intrinsecamente cinematografica: un lungo film di circa 13 ore. L’opera viene presentata fuori concorso alla 72ª edizione del Festival di Cannes; occasione in cui il suo regista sceglie di proiettare esclusivamente il quarto e il quinto episodio. Intervistato in proposito, NWR dichiara: «Mi piace la libertà dello streaming di saltare da un’informazione all’altra. Too Old to Die Young è la fusione del cinema e della libertà dello streaming. È stato come frammentare una grande tela in pezzi. La cosa che mi affascina è che si può guardare sia in modo lineare, dall’inizio, sia saltando da un pezzo all’altro. Amo questa libertà, che è l’essenza della creatività. Non c’è dubbio che lo streaming sia il futuro: il cinema si sta evolvendo. Dobbiamo abbracciare il cambiamento».
Eccezion fatta per la regia di un episodio della serie televisiva britannica Miss Marple, Too Old to Die Young – concepita e scritta insieme al fumettista statunitense Ed Brubaker – rappresenta la prima (mini)serie realizzata dall’autore danese, che dà il via alle riprese nel novembre del 2017. Amazon, produttore e distributore, già a fine luglio 2019 annuncia la cancellazione della serie: la pubblicazione è avvenuta solo il 14 giugno. Similmente a The Neon Demon (2016), la serie trova ambientazione nella città di Los Angeles, configurandosi come un thriller atipico, un western urbano che non nasconde l’amore per il cinema di Sergio Leone. Insieme alla synthwave di Cliff Martinez ritroviamo la fotografia pittorica e il rigorismo maniacale nella composizione dell’inquadratura (cifre stilistiche nel cinema di Refn). L’impostazione narrativa quasi antologica riporta alla mente anche la trilogia di Pusher (1996 – 2005). Ancora una volta, assistiamo alla vita criminale e ai suoi personaggi, a mondi periferici e sommersi.
Episodio dopo episodio lo spettatore di Too Old to Die Young viene introdotto in uno spazio squisitamente refniano da lentissime panoramiche a trecentosessanta gradi – meccaniche, ad altezza uomo, in stile Fear X. Nessun disvelamento finale però, per una serie che costruisce ossessivamente una dimensione spaziale appartenente al regista soltanto: una stratificazione di immagini autoconclusive e inevitabili. Architetture fantasmatiche e onnipresenti. Più che in ogni altra opera dell’artista nordeuropeo, a prendere vita da queste immagini autarchiche è un cinema dell’ineffabile, autosufficiente, che soprattutto negli ultimi episodi della serie sembra entrare in dialogo con la terza stagione di Twin Peaks (2017), anch’essa presentata a Cannes (appena due anni prima) e poi decretata miglior film dell’anno dai Cahiers du Cinéma. Tuttavia, se nel serie-film di David Lynch l’immagine vive insieme alla narrazione (e viceversa), in Too Old to Die Young la trama – tra criminalità, sesso, potere e religione – si fa rarefatta, e la progressione narrativa rallenta, si affievolisce; non abbastanza però da giustificare la presunta, disinteressata libertà dello spettatore nell’atto della visione.
In Too Old to Die Young il regista si fa beffe del reale. Strazia il tempo della messinscena attraverso il piano sequenza. Esemplificativi i dialoghi tra i personaggi, ridotti spesso a lunghi e insostenibili silenzi. Insomma, il serie-film dell’autore danese non scende a compromessi pur di preservare la bellezza delle sue immagini.
Neppure nell’omaggio all’iconico e potentissimo finale di Zabriskie Point le immagini di NWR si rivelano capaci di denunciare realmente un’America consumista e suprematista, al collasso. Se nel precedente The Neon Demon le immagini sembrano ragionare su sé stesse, nell’ultimo lavoro dell’autore soltanto l’immagine in quanto tale – protetta da movimenti di macchina sontuosi – sopravvive allo spazio refniano.
Too Old to Die Young rappresenta l’ultima tappa (so far) dell’indagine di Nicolas Winding Refn, ad oggi impegnato nella scrittura del prossimo film, mentre da showrunner coproduce Les Italiens, serie noir nostrana tratta dai romanzi di Enrico Pandiani. Attivo anche nel restauro di vecchie pellicole – vecchie immagini –, l’autore nordeuropeo ha lanciato la sua personalissima piattaforma di streaming online: byNWR. L’immagine che (non) muore. D’altra parte, lo spettatore – similmente al corrotto detective Martin Jones (Miles Teller), sorta di antieroe contemporaneo – si ritrova in una sala cinematografica vuota, a vedere un proprio alter ego proiettato sul grande schermo, che compie azioni già compiute. Ma – direbbe Refn (?) – le immagini già viste sono spogliate di qualsiasi bellezza.
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[…] di lavoro congiunto fra sviluppatori e squadre di sceneggiatori (fra cui Halley Gross, Westworld, Too Old to Die Young), dialoghisti e attori professionisti, tutti coordinati da Neil Druckmann, co-ideatore del […]
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[…] dominante a Hollywood, calando invece il pubblico in un’atmosfera ipnotica e rarefatta. Dopo Too Old To Die Young, Refn continua il suo percorso solitario verso la costruzione di un immaginario personale e con […]