
Sons of Denmark – La distopia contemporanea | Ravenna Nightmare Film Fest
La distopia prossima nella Copenaghen del 2023 di Sons of Denmark è difficilmente riconoscibile. Le automobili sono le stesse, le strade, le persone e, tristemente, persino la bomba che esplode all’entrata della metropolitana. Eppure l’idea di un salto nel futuro di soli quattro anni è tanto semplice quanto efficace come pretesto necessario a giustificare il turbolento razzismo dilagante nei sondaggi elettorali.
In un servizio giornalistico post-bomba, ascoltiamo Martin Nordhal, l’uomo emerso dalle ceneri di questo clima e leader di un partito di estrema destra nazionalista, inneggiare con rodato linguaggio televisivo a una discreta ed educata pulizia etnica della Danimarca. Ci ritroviamo infine a seguire il diciannovenne musulmano Zakaria, che termina il suo giro di corsa serale ai piedi di una testa di maiale mozzata posta all’entrata del suo stabile abitativo. Con gli occhi sgranati e pieni di rabbia, fissa assieme agli altri inquilini la scritta dipinta col sangue sulla parete: “Andate a casa, morite”.
Nel giro di dieci minuti l’esordiente Ulaa Salim ci offre un incipit tagliente ed essenziale. Causa, conseguenza ed evento scatenante per l’inizio del viaggio del nostro protagonista nella radicalizzazione e militanza terroristica. Salim segue Zakaria con camera a mano e inquadrature strette. Non ha paura di stare vicino a questo futuro terrorista, che sia quando abbraccia teneramente la madre o quando scaglia una molotov su un’auto.
Con tutta la calma guadagnata da quell’inizio fulminante, ci mostra il suo percorso di adesione a un credo, l’addestramento e la pratica sul campo. L’obiettivo affidatogli è uccidere Martin Nordhal, in modo da abbattere la possibilità che i “Figli della Danimarca”, gruppo violento di neonazisti responsabile della maggior parte degli attacchi di odio, possa avere un simpatizzante e alleato a capo del governo danese. Ma a un’ora dall’inizio, Sons of Denmark interrompe il fluire prevedibile della tragedia. Con la forza di uno schiaffo in pieno viso ribalta ogni assunto presentato fino a lì, mettendo in chiaro cosa vuole raccontarci e come.
Dire di più sarebbe rovinare la visione di questo splendido film. Salim è un debuttante con un’idea di cinema ben precisa, sicura e durissima. Supera sbavature e occasionali sensazionalismi di trama con una determinazione ammirabile, portando fino alle estreme conseguenze il discorso iniziato da quella bomba esplosa in metropolitana. Ha una visione magniloquente nell’inquadrare i suoi protagonisti come colossi ed è arrogantemente sicuro di sé per come vuole portare il pubblico alla fine di questa storia: rifiutando di tenerlo per mano e, anzi, riempiendolo di calci nella pancia fino al catartico finale.
Sons of Denmark non è assolutamente il classico prodotto da festival: camera a mano e bignami di lezioni morali da sventolare. Si tratta di un solido film di genere dalle venature polar. Procede con l’occhio della grande epica urbana alla Michael Mann assieme alla sensibilità violenta del migliore Jacques Audiard nel segno de Il Profeta. Il realismo documentario accennato all’inizio lascia presto spazio a un afflato da tragedia greca. Il Lacrimosa del Requiem in Re minore di Mozart rimbomba nelle orecchie del pubblico mentre osserviamo queste marionette correre al rallentatore incontro al loro inevitabile, violento destino. Un percorso speculare di sangue che chiama sangue, colpe che ricadono su ipotetici figli e riluttanti padri.
Sons of Denmark è un film duro, figlio di una contemporaneità altrettanto oppressa e complicata. Ulaa Salim ci offre una distopia prossima. Incubi sufficientemente vicini da essere praticamente arrivati nei nostri salotti, sulla bocca del prossimo notiziario televisivo o fake news social.
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