
Marco Bellocchio. Il tema del tradimento e il futuro del Cinema italiano | #Venezia76
Marco Bellocchio è stato uno degli ospiti delle Giornate degli Autori di Venezia 76. Il 2 settembre ha ricevuto il Premio SIAE e ha tenuto una master class incentrata sul concetto di “tradimento”. Una particolare attenzione è stata rivolta nei confronti del ruolo che questo tema ricopre in tre film del regista afferenti la storia italiana: Buongiorno, notte (2003), Vincere (2009) e Il traditore (2019).
Bellocchio spiega che i suoi film raccontano di esperienze vissute e tradimenti passati, gettando contemporaneamente uno sguardo alla storia al fine di comprendere, attraverso lo sradicamento delle nostre radici, il motivo per cui oggi siamo quello che siamo. «Ho capito che alcuni tradimenti sono giusti. Il tradimento è un’affermazione identitaria: io non posso andare a messa e non faccio la comunione perché non sono credente. Tutto ciò che faccio lo faccio solo perché ci credo, anche con la consapevolezza di poter sbagliare».
Il tipo di tradimento che desta l’attenzione del regista non è di natura personale o amorosa, bensì popolare; è interessato a quel tipo di inganno che danneggia l’onore pubblico.
In ogni situazione il tradimento è un concetto relativo. Ne Il traditore il personaggio di Buscetta è, per il regista, un uomo disperato che tenta di sopravvivere, un traditore e allo stesso tempo un eroe. Se volta le spalle al suo passato e collabora con la giustizia, lo fa unicamente perché egli stesso è stato tradito da Riina. L’atto del tradimento è – secondo il regista – un’azione universale, trasversale ad ogni epoca storica. «Riina è un traditore tanto quanto Macbeth, l’unica differenza è che il primo credo non abbia mai letto Shakespeare».
Non bisogna poi dimenticare la molteplicità di significato di cui si fa carico la parola “tradimento”. Lo stesso regista in un certo senso tradisce la storia: Buongiorno, notte – film sul caso Moro – presenta un finale che non corrisponde all’effettiva realtà: Bellocchio racconta il passato reinterpretandolo, proponendo così allo spettatore ciò che secondo lui sarebbe dovuto accadere. Questa discrepanza tra realtà storica e realtà interpretativa rappresenta a sua volta un tradimento nei confronti delle nuove generazioni che non conoscono gli avvenimenti reali e si persuadono di quel che vedono al cinema. Tuttavia, secondo il regista, questa “menzogna” risulta un’operazione educativa per i giovani: «Destrutturare e ricomporre la storia in modo provocatorio può spingere la gioventù all’indignazione civile».
«I miei film nascono dall’indignazione»; il regista reputa quest’ultimo un sentimento positivo. «La mia indignazione persiste nello spirito di sovversione nei confronti di un certo tipo di status quo». Il regista ambisce a canalizzare nei suoi film tutto il disprezzo che prova nei confronti di una certa disumanità patologica che anima tanto le azioni terroristiche quanto le vicende più private. I pugni in tasca (1965), racconta il regista a tal proposito, «si inserisce impropriamente nella dimensione e nel contesto culturale della rivoluzione; io volevo costruire una storia di rivoluzione familiare, una parabola di stravolgimento domestico, non un cambiamento di portata sociale. Tuttavia l’interpretazione del film ha superato le mie intenzioni ed è stato più giusto così».
Analogamente, in Vincere – che racconta la storia dell’ossessione di una donna nei confronti di Mussolini, dal quale voleva ottenere il riconoscimento di suo figlio – una condizione particolare si carica di valori universali. «In questo film vi ho ritrovato elementi che mi hanno portato a ripensare ad alcuni momenti personali e familiari: i concetti di questo film mi piacevano davvero e ho voluto indagarli forse anche più intimamente rispetto a quelli di altri lavori».
Quando gli vengono poste domande in rapporto alla produzione artistica odierna, Bellocchio si trova costretto ad ammettere che fare Cinema durante il secolo scorso consisteva in un’operazione profondamente militante e politicamente più efficace rispetto ad oggi. Se all’epoca di Mani sulla città (Rosi, 1963) e di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Petri, 1970) i registi si lasciavano ancora coinvolgere dalla realtà che stavano attraversando, «oggi nei giovani non si percepisce un interesse nell’indagare e interpretare un presente che è politicamente debole o comunque politicamente segnato dal passato». Inoltre, nella nostra contemporaneità anche «l’estrema sinistra sta perdendo una certa radicalità. Però qualche movimento ancora c’e, basta sapere dove cercare». Nonostante una percepibile nota amara, Bellocchio guarda con positività e speranza al futuro dell’arte cinematografica. «Il Cinema italiano è abbastanza vivace», sostiene, sottolineando l’importanza per gli ultimi arrivati di girare il loro primo film, esperienza estremamente formativa. L’obiettivo che il regista si pone con i suoi film è ancora quello di scatenare negli animi delle nuove generazioni quell’antico sentimento rivoluzionario che spinge ad una presa di coscienza, a cui segue un atto volto al cambiamento. Solo così, forse, potremo garantire un futuro vigoroso per il cinema nostrano.
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