
The Breadwinner. Una storia senza stereotipi

Per una popolazione assoggettata alle leggi del fondamentalismo islamico, la presenza di un uomo in famiglia è di vitale importanza: le donne non possono studiare, non possono lavorare, non possono vendere, fare acquisti o dedicarsi a qualunque tipo di attività che comporti l’interagire con elementi maschili non appartenenti al nucleo familiare. Dopo l’incarcerazione del padre, accusato di possedere libri proibiti e di istruire le donne, la famiglia di Parvana, che di recente ha perso il maggiore dei figli maschi, non riesce più a mantenersi: alla madre e alla diciottenne Soraya non è consentito uscire di casa da sole, mentre il piccolo Zaki non sa ancora parlare e cammina appena.

A undici anni, tuttavia, le bambine non hanno assunto del tutto le forme di una donna: senza i capelli lunghi e gli abiti femminili, possono essere scambiate per ragazzi. Così, indossati i vestiti del defunto fratello Sulayman, Parvana può procurarsi cibo e acqua, diventando il nuovo capofamiglia: “breadwinner”, in inglese.

Distribuito in Italia con il titolo (meno calzante) “Sotto il burqa”, The Breadwinner è tratto dall’omonimo romanzo di Deborah Ellis e diretto da una talentuosa regista dello Studio d’animazione irlandese Cartoon Saloon: Nora Twomey. Conosciuta per i toccanti cortometraggi From Darkness e Cúilín Dualach, Nora fu co-regista (insieme a Tomm Moore) di The Secret of Kells, un’opera di straordinaria bellezza, unica nel suo genere e allo stesso tempo importantissima nella definizione dello stile grafico del Cartoon Saloon.

Il lungometraggio sulla situazione in Afghanistan (uscito nel 2017) si inserisce perfettamente nella tradizione dell’Irish Animation Studio, benché porti con sé elementi nuovi, come l’inedita ambientazione, riprodotta nei minimi dettagli. Quest’ultima condiziona alcune scelte nella resa grafica, più asciutta ed essenziale, e nel trattamento dei colori, realistici, poco variegati, eppure estremamente significativi: non solo siamo proiettati nell’atmosfera sabbiosa e assolata delle strade di Kabul, ma non possiamo fare a meno di notare quanto le sgargianti vesti e i vivi occhi verdi di Parvana (notoriamente tipici dell’etnia pashtun) contrastino spietatamente con la brutale desolazione del paesaggio urbano, come per evidenziare il netto distacco tra la situazione presente e la vera, originaria natura del popolo afghano.

Il punto di forza del film risiede principalmente nell’intimismo della narrazione, la quale si incentra sulla storia della protagonista e della sua famiglia, lasciando che la situazione socio-politica emerga soltanto in relazione alle vicende che coinvolgono direttamente Parvana. Ciò consente di assumere la prospettiva di un osservatore interno alle dinamiche della città, troppo facili da giudicare se osservate come semplici spettatori. In un Paese ancora scosso dalle guerre civili, le vittime del regime talebano agiscono senza porsi il problema dell’ingiustizia e della disuguaglianza, mosse principalmente dalla necessità di procurarsi i mezzi necessari per vivere, e dal desiderio di salvare sé stesse e le persone care da una violenza che sembra avere origini individuali, più che culturali o religiose: per ogni talebano feroce e senza pietà, se ne troverà un altro compassionevole, capace di grandi gesti di solidarietà. L’intento è quello di denunciare senza giudicare: un’operazione estremamente difficile e non sempre attuabile.

Un altro aspetto da rilevare è il ruolo fondamentale della narrazione fiabesca. L’unico mezzo di fuga da un mondo di povertà e oppressione è la fantasia: memore degli insegnamenti paterni, Parvana attinge dal patrimonio tradizionale e usa le parole per alleviare il dolore dei propri cari. Così facendo, dà vita ad una storia parallela a quella principale, della quale sublima gli eventi più catastrofici, trasformandoli in avventurose prove di coraggio. Il protagonista dei racconti non può che essere il fratello Sulayman, una sorta di alter-ego eroico, al quale Parvana si sovrappone in virtù del proprio travestimento.

Lo sdoppiamento narrativo comporta anche uno sdoppiamento stilistico: le avventure di Sulayman si accendono di una briosità artistica che ricorda non solo The Secret of Kells, ma anche Song of the sea, un altro capolavoro prodotto dal Cartoon Saloon e diretto da Tomm Moore. La sinuosità della linea curva, l’appiattimento prospettico e la vivacità cromatica creano lo sfondo sul quale si muovono pittoreschi burattini di carta.

The Breadwinner è una storia che non punta il dito e non grida allo scandalo, ma affida la verità alle fiabe di una bambina che ha perso un fratello e desidera riabbracciare il proprio padre. In questo senso, il valore del lungometraggio si riassume nella sua citazione finale, tratta dagli scritti del filosofo Jalal al-Din Rumi:
«Innalza le tue parole, non la tua voce. È la pioggia che fa crescere i fiori, non il tuono».
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[…] nato a Kilkenny, in Irlanda, nel 1999. Dopo la meravigliosa e toccante parentesi afghana di The Breadwinner, diretto da Nora Twomey, i registi Tomm Moore e Ross Stewart tornano al più familiare folklore […]