
Fat Front – La rivoluzione inizia davanti allo specchio | Biografilm 2020
La nostra recensione di ‘Fat Front’, di Louise Detlefsen e Louise Unmack Kjeldsen, uno dei 41 film selezionati alla 16ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. Clicca qui per scoprire come vedere tutti i film del Festival in streaming gratuito su MyMovies (fino al 15 giugno). Un’occasione unica, da non perdere!
Non avere paura di usare l’aggettivo “grasso”. Questa è la prima esortazione rivolta al pubblico dalle protagoniste di Fat Front, documentario a firma delle registe danesi Louise Detlefsen e Louise Unmack Kjeldsen che affronta di petto il tema del body shaming a danno delle donne con chili di troppo. Per raccontare il dark side of the moon del problema, Detlefsen e Unmack Kjeldsen hanno messo insieme una squadra di quattro testimoni d’eccezione: donne curvy, anzi, come si descriverebbero loro stesse, grasse; donne che hanno deciso che è arrivato il momento di avere voce in capitolo.
Giovani, fragili e agguerrite, Fat Front sono Wilde, Marte, Helene e Pauline. Influencer su Instagram, attiviste del body positive – ovvero, accettare il proprio corpo per quello che è senza conformarsi alle regole imposte dai canoni estetici dominanti –, amanti dei trucchi e dei bei vestiti, le paladine di Fat Front sono, prima di tutto, ragazze normali, o, almeno, che si sentono normali e chiedono alla società di riconoscerle come tali.
Fat Front le segue durante varie tappe del viaggio alla scoperta della loro bellezza, e, fin da subito, il documentario si dimostra inclusivo e capace di comunicare anche con chi non si senta toccato in prima persona dalle lotte quotidiane delle sue protagoniste. Wilde, Marte, Helene e Pauline non vogliono instaurare monologhi per affermare la libertà di vivere le loro vite nel modo, e nelle forme, che più sentono proprie. Al contrario, il loro attivismo mira a creare un posto sicuro per chiunque si senta “diverso” ed emarginato dalla società.
Inserti di filmati di repertorio anni Settanta aggiungono una dimensione storica alla resistenza delle protagoniste e riportano a galla una dimensione forse dimenticata del movimento femminista: l’ala – ormai non ho più remore a usare questo termine – delle femministe grasse. Le posizioni che portano avanti: i canoni estetici imposti al corpo femminile null’altro sono se non un’ulteriore ramificazione del patriarcato che ha dominato per secoli la civiltà occidentale. E l’uniformazione delle taglie e dei modelli di vestiti da parte dei brand è solo una comodità di mercato, una semplificazione dello spettro della varietà del reale.
Se da un lato non posso che simpatizzare con la causa propugnata dalle eroine di Fat Front, dall’altro, come fa notare loro una giornalista in occasione di un evento “per grassi”, è difficile non domandarsi se la linea scelta da Detlefsen e Unmack Kjeldsen non sia troppo unilaterale. Possibili rischi per la salute derivanti dall’eccessivo peso corporeo a parte, ci sarebbero, forse, ulteriori nodi da sciogliere dietro l’accusa al sistema produttivo omologato delle nazionali e del gusto comune. Concedersi senza remore una Coca Cola per essere body positive non va forse a foraggiare il medesimo sistema di potere, ideologico o monetario, che si sta cercando di smontare?
Tali considerazioni a parte, Fat Front propone lo spaccato fedele di una realtà che si potrebbe altrimenti dare per scontata e riassume in modo chiaro e diretto i meccanismi perversi e autolesionistici che si innescano al sentirsi rifiutati dalla propria comunità. Ci vuole coraggio, dicono Wilde, Marte, Helene e Pauline, per guardarsi allo specchio e non cercare ossessivamente su internet “gli uomini vogliono fare sesso con una donna grassa?”. Fat Front è la storia della riconquista di un’identità armonica fatta di mente e corpo. E il grande passo, ci dicono le registe, può avvenire proprio osservando il riflesso nello specchio con occhi diversi.
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