
#mitologie 1 – Know You Can di AXA
#mitologie è una rubrica ad apparizione casuale ispirata all’omonimo libro di Roland Barthes, pubblicato in Francia nel 1956 e in Italia conosciuto come Miti d’oggi (1974). All’insegna dello smantellamento o dell’«iconoclastia», Barthes leggeva il “testo” cosciente della sua infinità di senso, consapevole di vivere nella semiosi. “Mitologie” perché si concentrava sulla mitopoiesi moderna. E difatti l’oggetto dei suoi micro-saggi sono: i detersivi – con incipit di grande letteratura: «Il primo Congresso Mondiale della Detersione (Parigi, settembre 1054) ha autorizzato il mondo a lasciarsi andare all’euforia di Omo» – il wrestling (o catch), passando per i carlini e i nobili francesi in crociera, e così via, così via discorrendo. Il primo episodio di questa rubrica analizza la pubblicità di AXA, società assicurativa.
Sembra vero: far leva ancora sul “potere”, infinito di verbo, cioè sul campo del motivazionale; dal “Yes, we can” Obamiano al “Just do it” della Nike, ancora usatissimo – e almeno inconsciamente rimesso in circolo da Shia LaBeouf, che ha lasciato all’Internet uno dei più esplosivi materiali su greenscreen mai creati dall’uomo. Motivazionale, dicevo: come se niente fosse impossibile e tutto dipendesse dalle azioni individuali, anzi: dalla volontà di portare avanti certi gesti e certe azioni, insomma come se tutto dipendesse dalla volontà – azzerando piuttosto banalmente la questione eterna di quanto pesino le nostre scelte.
A parte questo, il motivazionale risponde alla “difficoltà”, resa astratta e quindi “già” allontanata, in un certo modo: “filosofie di vita” e “religioni” incoscienti agiscono sul “problema”, o sull’ostacolo, semplicemente ignorandone la forza e la decisività, un po’ come direbbe Raffaella Carrà: «Se per caso cadesse il mondo / io mi sposto un po’ più in là». Oppure, forse con un meccanismo più complesso, slittando il campo di gioco, il ring, o meglio: ricalibrando le dimensioni delle variabili. Ingigantire l’ostacolo e la difficoltà significa ammettere la necessità di un “eroe”, cioè di una entità forte almeno-quanto la difficoltà. Ergo: ingigantire il nemico per far leva sull’io, un piede dal diventare eroe, combattente, proprio attraverso la sola forza di volontà, perché nell’uomo tutto è “potenza”, cioè possibile. Ingigantire per ridurre la distanza.
Ovviamente, sono strategie comunicative, di cui tutto e nulla può essere condivisibile. In questa pubblicità non sembra funzionare così, non davvero. Intendo dire che: non mi sembra “così” semplice. In primo luogo: l’uso della macchina. Il montaggio alterna visioni d’insieme a campi medî, all’interno di un movimento complessivo di “avvicinamento”, fino al dettaglio della mano. L’alternanza delle inquadrature prima dà le coordinate essenziali (1. Stadio; 2. Tennista di spalle e in mezzo primo piano) per “introdurre” la finzione narrativa; poi insiste, ripetendosi, per suggerire una immedesimazione (3. del pubblico a bordo campo; 4. della tennista; rispettivamente una figura intera e un particolare). La inquadratura segnata (4) ci dice moltissimo: è apparentemente “sporca”, cioè imperfetta, alludendo alla “naturalezza” del gesto; sfrutta la luce del sole sottoposta alla pallina e la luce dell’illuminazione artificiale per sfumare e accecare. Quest’ultima funzione (di dissolvenza) dice, connessa alla sequenza di poi, di stare attuando un’analessi, un flashback.
Le successive immagini dello stadio vuoto sono molto ambigue, perché potrebbe essere il luogo allo stesso modo di una analessi o di una prolessi (flashforward). E ambiguo sarebbe anche il primo piano su Serena Williams, se non fosse per un elemento che si intromette in crescendo: l’aumento progressivo del volume di una canzone (di Nas) è il controaltare della dissolvenza luminosa di prima, e indica, proprio nel suo aumento e nella non-natura di musica “d’ambiente”, che la musica appartenga ad altro: a un altro rispetto alla prima diegesi. Segue la presentazione: una bambina che ascolta, per l’appunto, della musica in cuffia; una ragazza, per la quale potremmo individuare due iconemi della “ribellione” o comunque dell’adolescenza: il colore dei capelli e un certo broncio; una donna, con un tutore alla gamba, univocamente il dolore, la difficoltà di cui s’è detto, e forse unico riferimento al prodotto, l’assicurazione. La bellezza della serie è poi raccolta in un’unica inquadratura.
In una inquadratura c’è l’intera vita dell’atleta: La distanza temporale è resa nella differenza di messa a fuoco dei soggetti. Sono sezioni storiche di cui intuiamo, così, grazie a questo immortalare, la continuità per inferenza, e così i piccoli successi e insuccessi, le sconfitte e le vittorie, abitano proprio lo spazio prospettico fra i personaggi. Nel riconoscimento finale, tra “io” del presente e “io” dei passati, alla Ebenezer Scrooge, la vetta emotiva, e dunque di forza pubblicitaria o anche – se vogliamo – artistica. Segue, non potrebbe altrimenti, la chiusura, l’ultimo tratto della circonferenza narrativa, ostacolata da involuzioni temporali: il gesto atletico vincente realizza un modello di forza e velocità, dunque di agonismo, luogo, in ultima istanza, di una immedesimazione desiderativa.
Chi è il gigante qui? Serena Williams. «Non funziona davvero così» perché lo slogan non è privo di contenuto, non vuole farsi contenuto esso stesso, in mancanza di elementi, non è un mantra qualunque, ma fa leva sull’emotività, precisamente sulla nostalgia del percorso per-arrivare-a, dal momento che raggiunto un obiettivo alto è difficile rimanere, insistere e non crollare per mancanza di stimoli, perché la vita – sembrerebbe dire – è il percorso e non la meta. Sono opinioni altamente frequentate, certo, e discutibili, ma rimaniamo a livello di “comunicazione” e rifuggiamo le valutazioni.
Prima di lasciarvi con una citazione da Mad Men (stagione 1, ep. 13), un’ultima precisazione: di che prodotto stiamo parlando? La pubblicità non lascia che emerga nessun indizio a proposito, perché la società assicurativa non ne ha bisogno: è una pubblicità di status, cioè di mantenimento della popolarità attraverso il sondaggio di immaginari non immediatamente riconducibili al prodotto e per questo più flessibili, e soprattutto: positivi; nella direzione di un legame complesso tra cliente e prodotto. “Di status”, infine, perché la società si mostra in grado di finanziare audiovisivi di grande livello, nondimeno mostrando di avere (o, ancora: di essere in grado di avere) uno “star system”, cioè dei testimonial di alto rango.
Teddy diceva che la cosa più importante in pubblicità è la novità, che crea desiderio. Non si può lanciare qualunque prodotto come se fosse una lozione, per questo bisogna creare un legame più profondo col prodotto: la nostalgia. È delicata, ma potente. Teddy mi disse che in greco nostalgia significa letteralmente dolore che deriva da una vecchia ferita. È uno struggimento del cuore di gran lunga più potente del ricordo. Questo aggeggio non è una navicella spaziale, è una macchina del tempo. Va avanti e indietro. Ci porta in un luogo dove moriamo dalla voglia di ritornare. Non si chiama “ruota”, si chiama “giostra”. Ci fa viaggiare nel modo in cui viaggiano i bambini. Gira e rigira, e poi di nuovo a casa. In un posto dove sappiamo di essere amati. (Draper)
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[…] #mitologie è una rubrica ad apparizione casuale ispirata all’omonimo libro di Roland Barthes, pubblicato in Francia nel 1956 e in Italia conosciuto come Miti d’oggi (1974). All’insegna dello smantellamento o dell’«iconoclastia», Barthes leggeva il “testo” cosciente della sua infinità di senso, consapevole di vivere nella semiosi. “Mitologie” perché si concentrava sulla mitopoiesi moderna. Non può che essere un’occasione, per Birdmen, di affrontare altri universi semiotici. Il secondo episodio di questa rubrica si concentrerà sulle performance canore dedicate chi soffre di disabilità uditive, in una prospettiva critica, cioè con l’obiettivo di capire se abbiano o possano avere “autonomia” artistica. Per recuperare il primo episodio, leggi qui. […]
[…] Calabria, Terra mia, finanziato dalla Regione Calabria.Per recuperare il primo episodio, leggi qui. Per il secondo, leggi qui. Per il terzo, leggi […]