
#mitologie 4 – Calabria, Terra mia, colonia di Gabriele Muccino
#mitologie è una rubrica ad apparizione casuale ispirata all’omonimo libro di Roland Barthes, pubblicato in Francia nel 1956 e in Italia conosciuto come Miti d’oggi (1974). All’insegna dello smantellamento o dell’«iconoclastia», Barthes leggeva il “testo” cosciente della sua infinità di senso, consapevole di vivere nella semiosi. “Mitologie” perché si concentrava sulla mitopoiesi moderna. Il quarto episodio di questa rubrica si concentrerà sul corto pubblicitario di Gabriele Muccino Calabria, Terra mia, finanziato dalla Regione Calabria.
Per recuperare il primo episodio, leggi qui. Per il secondo, leggi qui. Per il terzo, leggi qui.
Le ragioni della scelta
Lo scorso luglio, la presidente della Regione Calabria Jole Santelli (scomparsa prematuramente) annuncia un progetto per rilanciare l’immagine della Calabria: Gabriele Muccino avrebbe girato, coi fondi della Regione, uno spot:
«è il regista dell’amore. Spero faccia innamorare tutti della Calabria».
(per le dichiarazioni complete, qui). Freschissimo di Gli anni più belli, suo ultimo film, Muccino potrebbe essere la scelta giusta, perché è un regista popolare in Italia e conosciuto nel mondo (chi non ha visto La ricerca della felicità?). La sua firma gioverebbe alla distribuzione e all’eco del prodotto. La notizia però accende le polemiche, perché con quei fondi (circa 1,7 milioni di euro) si sarebbe potuto fare un concorso, valorizzare gli artisti locali, in pieno post-lockdown. Per parlare della Calabria non c’è bisogno di un calabrese, a rigor di logica. Ma questi fondi, in un periodo come questo, sarebbero potuti servire a sostenere un settore parallelo a quello che si vuole promuovere. Ad ogni modo, il governo della Regione Calabria ha fatto una scelta, affidando a un regista in cui crede il progetto. Il ruolo della giunta non deve essere sottostimato: nel contesto pubblicitario il committente ha potere decisionale quanto l’autore. Banalità che va sottolineata.
Prima di entrare nel vivo del discorso, vorrei ricordare, per dare un quadro completo, che questo spot non è il primo né probabilmente sarà l’ultimo. Per i precedenti sei, quasi 24 milioni di euro, attraverso più governi (qui un bell’excursus, dal tono almeno satirico). Il più agghiacciante, mi si permetta, è quello dell’apripista Oliviero Toscani, pochi secondi (e poster in tutta la penisola):
Quattro stagioni in una sola
Parliamo del prodotto. La precisazione sul ruolo della committenza porta a una questione, che va tenuta bene a mente: è vero che Muccino è un regista di livello, e per questo ha potuto esercitare un certo potere decisionale; ma è anche vero, e davvero ricordiamolo, che la committenza, cioè la regione Calabria, come è d’uso nelle produzioni pubblicitarie, non solo ha partecipato all’ideazione, o ne ha supervisionato il processo, ma ha anche assistito alla produzione e alla fine approvato il risultato. Se in questo pezzo mi rivolgerò al solo regista è per comodità.
L’obiettivo del “corto” pubblicitario Calabria, Terra mia di Muccino non è strettamente il rilancio turistico ma un rilancio tout court, a partire dall’agricoltura. Sono otto minuti, infatti, divisi per “frutto”, per prodotto: bergamotti, arance, clementine e fichi. Primo problema: l’idea trascende le esigenze stagionali, perché – a parte l’intempestività del rilascio il 21 ottobre 2020, ben lontano dalla turisticissima stagione estiva – si tratta di quattro frutti con tempi di maturazione molto diversi. Gli unici propriamente estivi, la stagione di ambientazione del corto, sono i fichi, bergamotti e arance autunnali, primaverili le clementine. Il fatto che Raul Bova, protagonista con la compagna Rocío Muñoz Morales in qualità di coppia in vacanza, interpretando entrambi loro stessi (e infatti Bova ha origini calabre, come direbbe il cognome), il fatto che possa tenere in mano, al bar, un bergamotto (ma perché?), che passeggi attraverso, indistintamente, aranceti e coltivazioni di clementine, dispensando pillole del tipo
«Ma lo sai come si fa a sapere se le arance sono buone? Guarda: devono avere le forme che la natura le ha dato».
(l’apparente incompatibilità grammaticale è per il deittico “Guarda”, perché Bova ha in mano un’arancia), che possa lei mangiare un fico in riva al mare, tutto questo può confondere, almeno da un punto di vista comunicativo. Sono OGM? Sono coltivati in serra? Una pubblicità di promozione dei prodotti locali, genuini, può fare un errore del genere? Mi direte sì, che sono ingeneroso perché in fondo la sospensione dell’incredulità permette la contemporaneità dei frutti, e che io l’ho notato perché l’ho voluto notare. Oppure, ancora, che è un corto pubblicitario contenente quattro spot diversi, che magari son di quattro stagioni diverse (sotto il sole, casualmente, tutte). Fair enough. Proseguiamo.

Di quale Calabria stiamo parlando?
Il problema della coerenza agroalimentare mettiamolo da parte e diamo un occhio alla costruzione dell’immagine della Calabria. Uno spot, intanto, dovrebbe giocarsi sul principio dell’immediata riconoscibilità dei luoghi, se è ai luoghi che sono dedicati i suoi sforzi. L’immagine deve essere referente di un luogo reale: al massimo, devono esserci indicatori diegetici (segnali, scritte) o meno (titoli, sottotitoli) che possano rispondere alla domanda dove siamo? che posto è? Sarà colpa mia, completamente (vengo da Reggio Calabria e mi ritengo conoscitore di tutta la provincia, ma non delle altre): però riconosco solo lo scorcio di Tropea dalla balconata, verso il quale si recano con euforia i due protagonisti. Nient’altro. Anche perché la maggioranza delle inquadrature è un campo medio, stretto su viuzze, locali, ruralità (si può dire?), viaggi col macchinone rosso.
Qualche esempio di non referenzialità dei fotogrammi: appunto il macchinone rosso dell’immagine precedente, che impegna una lunga curva (queste sì, tipiche del meridione, poco a norma) a fianco di un mare che rispecchia perfettamente il cielo… quale fantasia amorosa non vorrebbe trovarsi lì. Di certo però Calabria non è, perché il mare è mosso, il malu ientu (il vento) è persistente, non smette mai, siamo in fondo al centro quasi geografico del Mediterraneo. La specialità dell’effetto è svelata. Il punto, mi è stato giustamente fatto notare, che questo potrebbe essere dovuto al linguaggio pubblicitario. Corretto. Andiamo avanti.

Ancora: i due amanti, anzi lovers per essere precisi, guardano l’orizzonte. Potrebbero essere solamente nella costa Jonica, se di fronte nessuna terra c’è. Sicuramente sono in una villa abusiva (legge Galasso: 300 m almeno devono passare tra la costa e le costruzioni, condoni permettendo). A fianco un cesto di tutti i frutti detti (incoerenza temporale) che ha la forma, la disposizione, persino la luce di una natura morta dipinta. Qui ancora agiscono le ragioni di una pubblicità. Il regista vuole che lo spettatore si immedesimi nel benessere altrui, che magari veda già l’instagrammabilità del cesto. Ragioni piene. Un ultimo esempio.
Il mare. Inquadrato soprattutto a chiusura di corto, in seguito a Bova che, fuori campo, dice:
«E poi c’è lui, il mare. Il suono lontano della storia che lo ha attraversato. || Questo mare lo sentiamo nostro perché è stato nostro da sempre. Siamo ali (?), siamo il mare, siamo il sole, siamo la vita che ci fa sentire bene».
Che non vuol dire niente, di fatto. Intendo che non sono frasi con un significato, neanche il minimo generabile, almeno per tradizione, dalla tautologia. Sono parole lette bene, lette con un tono che le fa accettare per coerenza con le immagini. Le immagini appunto: di un mare azzurrissimo, sfumature di verde, verdeacqua (e poi il tramonto…). Ma la Calabria non ha una flora marina, non particolarmente. Arida (quando anche qui, Muccino, inquadra piante sgargianti) piuttosto, rocciosa. I fondali sono grigi, il mare blu tendente al grigio, forse, se la luce è quella giusta, viola. Son colori altri, di altre longitudini e latitudini quelli inquadrati da Muccino. Pensava di dar ragione alla Calabria utilizzando il pantone dei post turistici delle Bahamas? Linguaggio pubblicitario, ancora, dove l’esotico è rappresentato sempre ugualmente. Dunque forse il problema è percepire la Calabria una meta, un luogo altro, dove poter passare, far vacanza ma dove nessuno rimarrebbe?

Chi sono i calabresi?
Qualche parola ancora senza dilungarsi troppo. Dopo i luoghi, gli scorci, i panorami (e riguardando il video noto un campo di grano da Mulino Bianco…), la domanda è: chi sono i calabresi per Muccino? Sono ragazzini con la coppola e le bretelle, sono contadini che tirano le redini dei muli, sono donne che stendono panni al bancone o che lasciano cucinato a casa. Di più: terza inquadratura. La mano di Bova sulla coscia della compagna. Fotogramma che anticipa non solo l’a-temporalità del corto all’insegna di un certo maschilismo folcloristico. Ci dice pure che il racconto è destinato a un mercato non compreso, non conosciuto.
Si tratta dell’immaginario di un colonizzatore, un Malinowski che racconta al mondo le sue avventure etnografiche, le rende avvincenti per il pubblico occidentale e tiene un diario segreto in cui appunta i rancori, le perplessità, i pensieri cattivi. A sua difesa, sicuramente l’attore di origini calabre, che indica persino la casa di suo padre, a Roccella Jonica. Ma si comporta come un padrone. Lo sappiamo tutti, i meme sono il deposito della nostra coscienza:

Muccino (si legga: autore e committenza, dunque anche chi si è occupato, in vece della giunta regionale, della realizzazione del prodotto) preferisce immobilizzare la Calabria, anzi trasferirla in una ruralità pacifica, serena, compiaciuta quale mai è stata; a-storica, fuori dal tempo e dallo spazio, neppure accolta nei libri, in nessuna iconografia ma secondo un’immagine senza referenti. Non è idea mia, ma condivisa:

Il punto della situazione
Le domande che sorgono sono molte. Che Calabria è stata rappresentata? Quale Calabria vuole essere venduta? A chi è rivolto lo spot? Non so rispondere. Semplicemente, è un prodotto non riuscito. Voglio pensare che Muccino abbia accettato un incarico che non avrebbe dovuto accettare. Per mancanza di tempo, probabilmente, per fretta, ha realizzato qualcosa che fa leva sulla propria poetica, sulla propria idea di cinematografia per nascondere quanto siano assenti i documenti, la ricerca, le idee perfino. L’obiettivo è l’astrazione, è l’idealizzazione nei termini di una commercializzazione (o mercificazione). Ma una commercializzazione di sé, non del soggetto. Non una mitologia: un’automitologia. Purtroppo, non è soltanto responsabilità sua.
Il risultato è un tradimento. L’ennesimo, ma ora si scadrebbe nella politica. Quindi taccio, e mi chiedo cosa comporterà, ancora, parlare di Calabria.
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Buonasera, dato che ne parlavano in tanti, per commentare questo famoso spot di Muccino ho dovuto per prima cosa vederlo, poi, al di la del mio giudizio personale, capire quali contestazioni arrivavano dai Calabresi stessi.
Ho trovato questo bellissimo commento, mi permetto di dire anche la mia.
La dico partendo dalle sue osservazioni.
“L’obiettivo del “corto” pubblicitario Calabria, Terra mia di Muccino non è strettamente il rilancio turistico ma un rilancio tout court, a partire dall’agricoltura. Sono otto minuti, infatti, divisi per “frutto”, per prodotto: bergamotti, arance, clementine e fichi.”
Su questo, in qualche modo non possiamo dire che non ha detto la sua, lo ha fatto ‘barando’ ma barare fa parte del gioco, Certo è stato un barare alla moda Hollywoodiana, vale a dire con i minuti uguali per tutti i frutti un pò come in certi film ci deve essere un bianco, un nero, un Orientale, ugualmente bravi e buoni, oppure nei film di supereroi un tempo uguale per tutti.
“Le domande che sorgono sono molte. Che Calabria è stata rappresentata? Quale Calabria vuole essere venduta? A chi è rivolto lo spot? Non so rispondere. ”
Io invece penso di si, lo spot è rivolto al turista, ma chi è il turista?
Il turista non è un viaggiatore, è un turista, è uno che cerca il mare, il villaggio vacanze da dove preferibilmente non uscire, e non cerca la ‘tradizione’, ma dato che serve come scusa per andare, deve essere semplice e leggibile.
Il turista in termini di interesse nel territorio è come il colonizzatore che va nelle terre selvagge ed incontra gli Indios Bunga Bunga: poco importa che nel villaggio si vedono le parabole ed i Bunga Bunga sono laureati in medicina, lui, ”Bianco superiore” diplomato con 36/60 è ben altro, e non si spreca neanche a guardare veramente dove sta.
Per fare un paragone, in ”Drive In” , storico programma dei primi anni di Mediaset, la donna era rappresentata in modo ”Primordiale”, maggiorata e stupida, fine della rappresentazione.
Quante donne meravigliose sono ben diverse da quello stereotipo?
Ma per ‘farla semplice’ e non far pensare lo spettatore ‘Homo’ gli dai la maggiorata a bocca di gallina, che dice quattro stupidaggini, ed il masculo è felice e contento e si vede Drive In per la gioia dei marchi pubblicizzati.
Qui è uguale, al turista non viaggiatore gli dai quattro stereotipi, perchè se dovesse pensare si mette paura e neanche viene.
Anche il linguaggio poetico ma ‘vuoto’ , tanto ”Mucciniano”
«E poi c’è lui, il mare. Il suono lontano della storia che lo ha attraversato. || Questo mare lo sentiamo nostro perché è stato nostro da sempre. Siamo ali (?), siamo il mare, siamo il sole, siamo la vita che ci fa sentire bene».
Fa fico, non vale nulla, ma voj mettè??
I luoghi sono ”La Calabria”?
I 3/4 dello spot potevi girarli nel Lazio, intorno a Bracciano per esempio, ma non solo, ci sono luoghi identici a quelli mostrati li, il mare sembra Sardo, Greco, ma non ha vere caratterizzazioni Calabresi.
Ha importanza? Quando vendi uno stereotipo che importanza ha?
La verità non conta nulla esattamente come non conta che il mare sia quello, conta che sia mare stupendo, tutto li.
Svevo Montasio ha realizzato un bellissimo video, che alla fine è uno spot per la Calabria:
https://www.youtube.com/watch?v=utS0BorxmQs
La domanda che dovremmo farci è, lo spot di Svevo Moltrasio avrebbe lo stesso successo di quello di Muccino?
E’ fatto bene, con la terra vera, con le vere informazioni,
La risposta secondo me è probabilmente ”No”, troppo intelligente per i tempi moderni.
E’ qui la tristezza.
Caro Manlio,
mi dispiace risponderti solo ora. Ti ringrazio per aver letto (e apprezzato?) il mio articolo; e nondimeno per il commento.
Il tuo ragionamento può avere senso, il problema però è quando una Giunta Regionale approva uno Spot del genere, senza avere neanche metodo autorappresentativo. Se vuoi, la mia è una battaglia ideale. Certo: un turista americano vede il corto di Muccino e viene in Calabria. Ma poi? Ci torna? Rispecchia ciò che potrebbe vedere? Non credo.
Ti ringrazio per il link dello spot di Svevo Moltrasio, molto bello (ha comunque avuto successo, 220000 views).
Continua a seguirci!
Ho apprezzato quello che hai scritto, ma credo ci siano due commenti, entrambi amari, da fare.
Il primo è che lo scopo dello spot è terra terra, portare turisti in Calabria: ma se questi turisti sono di tipo ‘A’ (villaggio vacanze) li fidelizzi con gli sconti e gli spettacoli in piscina che fai la sera, se sono di tipo ‘B’ (gente che si guarda intorno) si fidelizzano da solo. Dato che per un tipo ‘B’ ne hai troppi di tipo ‘A’ lo spot di Muccino, terra terra, punta solo a questa categoria.
Se poi il tipo ‘A’ una volta venuto tornerà o no dipende da altro, sicuramente se è Americano viste le spese del viaggio, non tonerà più.
E’ poi così importante fidelizzarli? Le compagnie crocieristiche sembrano spendere soldi per fidelizzare i clienti, ma la realtà è totalmente diversa: nella realtà loro puntano ai nuovi, se li coccolano, ma gli interessa poco che ritornino, tanto i veri polli da spennare sono quelli che salgono la prima volta, ed è un bacino ‘infinito’. A me, cliente ‘fedele’, al limite hanno fatto degli ‘sgarbi’, a gente che saliva la prima volta hanno regalato la suite al prezzo di una interna, e ne hanno tenute altre vuote, ma a me non l’hanno data, ed ha una logica precisa: il cliente che ‘si abitua’ pretende e ‘rompe’ su tutto, il nuovo si sente in paradiso.
Poi la giunta Regionale: la Calabria ha regalato all’Italia ed al mondo persone di capacità incredibile: una marea di Calabresi insegnano alle Università, sono medici, ingegneri, biologi, conosciuti in tutto il mondo, ma se ne sono andati dalla loro casa.
Chi sono i politici che vi hanno rappresentato in questi decenni? E’ una domanda brutta, ma è anche una domanda da farsi, sia per l’Italia nel suo insieme che per la Calabria in particolare.
Per l’Italia nel suo insieme, basta vedere come la ‘super’ Lombardia, abbia a capo, appartenenza politica a parte, gente che non conosce le divisioni e le moltiplicazioni, e con una spocchia pari solo all’ignoranza, ma almeno in passato era rappresentata da gente poco pulita, ma capace. Da voi Jole Santelli sarà stata un bravissima donna, ma non sapeva neanche cosa fosse l’Isis, mentre sul suo ‘secondo’ è meglio stendere un velo pietoso.
E gente così può giudicare quello Spot? Fare i discorsi che tu hai fatto?
Sicuramente chi è in grado di giudicare ha pensato ad una cosa sola, ovvero l’efficacia nel portare denaro, che secondo me c’è, della dignità e della veridicità della regione rappresentata non gli è interessato affatto (per primo Muccino stesso), ma chissà se qualcuno la dentro si è messo davvero a giudicare oppure era davvero in grado di giudicare.
Purtroppo stiamo mettendo insieme due livelli di ragionamento e morale molto diversi, il tuo, che è quello di una persona piena di cultura, di morale, di senso etico, e quello ‘vincente’, ovvero abbastanza rozzo, amorale, privo di etica.
Oggi vincono ‘loro’, anche se a lungo andare è una vittoria che non porta a nulla.
Il blog proverò a seguirlo, grazie! 🙂
Un saluto
Manlio
[…] Gabriele Muccino racconta La vita addosso e come l’idea sia nata dopo essere stato intervistato da Niola per BadTaste; durante quella chiacchierata, Muccino si rende conto della quantità di vita e esperienze memorabili che ha raccolto negli anni, un vissuto che desidera condividere con il mondo. Lo fa partendo dalla sua infanzia, dal raccontarsi bambino ora che è adulto: un bambino schivo, balbuziente e introverso. Balbetta ancora oggi, Muccino, ma lo fa ridendo. Quel bambino cresce e si appassiona al cinema, innamorandosi della filmografia italiana degli anni Sessanta. Una passione che fa eterno ritorno sia nei suoi film che nei suoi lavori per la pubblicità, primo tra tutti il famosissimo spot e cortometraggio She Was Here, ispirato a La dolce vita di Fellini e prodotto per Lancia, ma anche, in parte, nel recente spot per il rilancio della Calabria. […]