
Dov’è che “Baby” ha fallito
A ispirare la serie è l’episodio di cronaca del 2014 inerente alla prostituzione delle ricche ragazzine dei Parioli, con le dovute prese di distanza che nelle intenzioni parrebbero voler imbevere il tutto degli elementi propri del coming of age. “Nelle intenzioni”, appunto. Perché la serie in fin dei conti non è altro che un’occasione mancata, l’esito sghembo e slegato di un prodotto che, a guardare la prima puntata, sembra voler squadernare con carattere tematiche di ampio respiro – su tutte, appunto, quella della prostituzione minorile delle parioline – partendo da una costruzione dei meccanismi narrativi non minuziosa, ma senz’altro curata. Eppure, sono sufficienti anche solo le due puntate successive, quando si è giunti già a metà stagione (6 è il totale degli episodi), per accorgersi che la matassa non viene districata efficacemente, anzi arrovellando i tre fili narrativi principali, le vicende di Chiara (Benedetta Porcaroli), Ludovica (Alice Pagani) e Damiano (Riccardo Mandolini), con quelli delle numerose e poco curate sottotrame che rilevano i caratteri del coming of age per farli al contrario scadere nel teen drama. E non sarebbe stato affatto un male la realizzazione di una versione italiana di Elite o Gossip Girl, ma la traiettoria tracciata dalla produzione, da De Sica e dal suo team di sceneggiatura sembrava prefigurare altri esiti, come detto poc’anzi. Il fatto di cronaca che liberamente ispira la serie resta in definitiva confinato in un angolo, giacché le scene ad esso legate sono poche e dal coinvolgimento minimo, semplificato nella mancanza totale di elementi disturbanti, anche in fatto di ripresa e montaggio, che magari avrebbero potuto rendere sullo schermo la realtà scomoda e disincantata vissuta dai protagonisti.
Ad eccezione della prova di Brando Pacitto (già promettente in Braccialetti Rossi) che rende giustizia al personaggio di Fabio e al suo percorso di scoperta dell’omosessualità (uno degli innumerevoli cliché della serie), le sottotrame e i personaggi secondari, del tutto comprimari e dalle interpretazioni scarse, ci consegnano un coacervo informe di dialoghi artificiosi e piatti nel loro tentativo di farsi ardui ed ermetici, ma che al tempo finiscono per risolversi nel giro di poche battute; di reazioni emotive nient’affatto empatiche e dai cambi repentini, funzionali alla progressione forzata della storia. Gli esempi di quanto detto sono sparsi un po’ ovunque: sul fronte attoriale, basti guardare alle prove scadenti del padre di Chiara (Massimo Poggio) e a quella del bellimbusto Fiore (Giuseppe Maggio), che pure sacrifica il potenziale del personaggio di Ludovica in una relazione tra picchi di comune ottusità e deficit di interazioni credibili che non forzino un pathos già fin troppo presente, sempre in agguato.
In fatto di spunti narrativi, la torbida relazione succube della divisione in classi tra Damiano, lo scontroso ragazzo di borgata che spaccia e con i soliti problemi di famiglia, e Chiara, la facoltosa e bellissima adolescente che vuole squarciare il velo delle ipocrisie del mondo patinato a cui appartiene per gettarsi con la propria “lucida follia” nel rischio, è quanto di più consunto e abusato nel panorama seriale contemporaneo, pur salvandosi per merito delle ottime prove di Benedetta Porcaroli e Riccardo Mandolini. Altro neo: più volte ritroviamo la macchina da presa catturare gli sguardi persi e in solitaria dei ragazzi pariolini e dei loro incapaci genitori mentre attraversano le strade di Roma in rallenty, in una soluzione che pur volendo rendere su schermo tutt’un lavoro di introspezione e di scavo nella loro alienazione (accompagnati soltanto dalla colonna sonora), nei fatti risulta, a causa della stolida esasperazione di questa tecnica, poco immersiva e non credibile, producendo stalli continui in una narrazione che si porta avanti già per singulti.
Non tutto è da buttare, certo, se si vuol pensare di dare un senso a una seconda stagione. La colonna sonora prodotta da Yakamoto Kostuga, pseudonimo dietro cui si cela il talento veneto Giacomo Mazzuccato, è ottima, avvolgente e coinvolgente non solo per il pubblico più giovane. Ai suoi brani si aggiunge tanta parte della trap e dell’indie italiano, spiccano i TheGiornalisti e Maneskin, il brano Cazzate di Cosmo e Killer di Wrongonyou, poi ancora i London Grammar, James Blake e tanti altri. Sicuramente grazie alla giovane età del team di sceneggiatori denominato GRAMS*, i cui membri sono tutti under 25, sebbene i personaggi manchino di spessore, la loro credibilità viene in parte recuperata da una certa aderenza rispetto agli adolescenti di oggi, che spesso peccano nella capacità di esprimere i propri disagi e fanno assumere traiettorie sempre diverse alle proprie decisioni per labili associazioni mentali e influenze esterne. E non manca a suscitare interesse anche l’uso e la rappresentazione che la serie fa dei social e delle applicazioni di messaggistica: le stories di Instagram raccolgono l’attenzione spettatoriale nella loro sovrimpressione sullo schermo, dove i protagonisti condividono di sé un’immagine artefatta, il più delle volte divertita e scanzonata, che urta con quello che hanno davvero dentro; mentre le nuvolette di Whatsapp volano e si accavallano sempre sullo schermo, recuperando quanto fatto da Elite e prima ancora da tanti altri prodotti seriali, a evidenziare una comunicazione che si sviluppa sempre più nell’assenza, che nella presenza dell’altro, nella distanza dei soggetti interessati.
Baby ha provato a far colpo. I numeri sono sicuramente dalla sua parte, le reazioni un po’ meno. L’incertezza nell’individuazione di un pubblico ben preciso a cui rivolgersi e tutta l’evidentissima debolezza dell’edificio narrativo, coadiuvata dalle discutibili prove attoriali di almeno tre quarti del cast, fanno crollare le aspettative e conducono, se non a una bocciatura, alla sospensione del giudizio per la nuovissima serie di Netflix nostrana, che intanto potrà almeno saziare la fame da binge watching di qualche giovane spettatore, soprattutto tra i post-millennial.
Where did Baby go wrong?
(Traduzione a cura di Serena Demichelis)
The series was inspired by the real story of Parioli baby prostitutes, a case which ended up on national newspapers in 2014. Authors tried to maintain a certain degree of distance from the mere facts in an attempt to get closer to a coming-of-age story. It’s fair to speak of attempt since the whole series only appears to be a missed opportunity, the partially unsuccessful result of something that in the first episode seems to be aiming at overturning some big themes (as the aforementioned issue of underage prostitutes) through a not perfect but surely well thought plot structure. As soon as we watch two more episodes , though, having reached the half of the series, we realize how the the sequence of events is not being dealt with properly, with the three main plots (the one concerning Chiara -Benedetta Porcaroli, Damiano-Riccardo Mandolini and Ludovica- Alice Pagani), with the various subplots which take elements of the coming of age story and turn them into cheesy teen drama clichés. Not that an Italian version of Gossip Girl or Elite would have been a bad idea, but as mentioned above, what we see in the first episode leads our expectations in another direction. The disturbing reality behind the fiction is barely present, and even when it is, it doesn’t trigger the the viewer’s engagement, without succeeding in rendering on screen the dinginess and squalor of the protagonists’ lives.
Exception made for Brando Pacitto, whose promising talent has already been shown in Braccialetti Rossi, and whose brilliant performance as Fabio, a homosexual boy on the verge of coming out, secondary characters seem to be there only to deliver some flat and artificial lines which fail in their not so subtle attempt to appear hermetical; emotional reactions are only functional to the advancing of the plot, with no empathy shown among characters. Examples can be found all over: in terms of performance, we may take into consideration the mediocre results of such actors as Massimo Poggio ( who stars as Chiara’s father) and Giuseppe Maggio (who stars as Fiore), the former being doubly guilty in that he spoils the potential of the character of Ludovica in this poor rendering of a sentimental relationship swinging between a lack of plausible interaction and exaggerated pathos.
As for plot devices, another hyper-abused cliché can be found in the relationship between Chiara and Damiano, which unfolds with the usual repertoire of class conflict between “uptown girl” and “downtown man”. At least here the performances of Benedetta Porcaroli and Riccardo Mandolini help to save appearances, being not less than excellent. The exaggerated use of slow motion when capturing the protagonists and their inept parents while looking at the distance in the streets of Rome contributes to the general lack of credibility and causes the plot to stop much more than what would be necessary or acceptable.
Time for some praise: some aspects make our hopes raise at the thought of the second season of the series. First of all, the soundtrack, produced by Yakamoto Kotsuga (pseudonym of Giacomo Mazzuccato): great, engaging, and not only for the younger audience. Mazzuccato’s works are accompanied by Italian trap and indie, TheGiornalisti, Maneskin, Cosmo, Wrongonyou, London Grammar, James Blake and many others. Then, despite the general superficiality of the characters, one cannot deny their overall adherence to the typical features of today’s teenagers (something possibly due to the fact that the script writers team, GRAMS*, only includes under 25-s): their inability to deal with their own difficulties and their tendency to follow weak connections of thought enhanced and influenced by the external world and not by reflection.
Another interesting aspect can be found in the way social media are portrayed: Instagram stories show the fake amusement of a generally bored and anguished youth, whereas Whatsapp chats show how communication tends to be built on absence rather than presence.
Baby tried to be impressive. Numbers tell that it succeeded; critical reactions, though, are not unanimous. The difficulty in finding a target audience and the general weakness of the narrative fictional plot, together with the poor performances by more than half of the cast, bring us to a suspension of judgement for our new Netflix series, which will still probably be good enough to satisfy some young spectator’s binge watching addiction.
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[…] Approdata lo scorso autunno sulla piattaforma Netflix, Baby si configura come un unicum della serialità italiana, tanto per le intenzioni quanto per gli esiti. I 6 episodi che compongono la prima stagione vanno anzitutto intesi come il notevole sforzo creativo di un team giovanissimo composto dal giovane regista Andrea De Sica (ora affiancato da Letizia Lamartire) e dal gruppo under 25 degli sceneggiatori e ideatori noti come GRAMS*. Questi, sostenuti dalla casa produttrice Fabula Pictures, in lungo e in largo hanno tentato di offrire qualcosa di nuovo al panorama seriale italiano. Pur essendo ricca delle migliori intenzioni, e pur guardando alla necessità di questa considerazione preliminare, i limiti della seconda stagione di Baby non possono essere in alcun modo circoscritti e sminuiti. Del resto, già con la prima stagione avevamo tentato di mitigare le critiche, sospendendo in ultimo il giudizio sui primi 6 episodi (link all’articolo qui). […]