Dov’è che “Baby” ha fallito

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Andrea Giangaspero

È redattore per «Birdmen Magazine». Ha conseguito a Pavia la laurea magistrale in Filologia Moderna: scritture per la scena e per lo schermo, con una tesi su Abbas Kiarostami. Ha preso parte alla Giuria Internazionale del Premio UNIMED alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia. Gestisce rassegne cinematografiche ed è stato docente del Seminario di Analisi del film all'Università di Pavia. Ama smodatamente la prima squadra della capitale, la musica di Max Richter, la pizza, il ramen e i ravioli al vapore, il povero Balthazar e, ovviamente, il Cinema Orientale.

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  • […] Approdata lo scorso autunno sulla piattaforma Netflix, Baby si configura come un unicum della serialità italiana, tanto per le intenzioni quanto per gli esiti. I 6 episodi che compongono la prima stagione vanno anzitutto intesi come il notevole sforzo creativo di un team giovanissimo composto dal giovane regista Andrea De Sica (ora affiancato da Letizia Lamartire) e dal gruppo under 25 degli sceneggiatori e ideatori noti come GRAMS*. Questi, sostenuti dalla casa produttrice Fabula Pictures, in lungo e in largo hanno tentato di offrire qualcosa di nuovo al panorama seriale italiano. Pur essendo ricca delle migliori intenzioni, e pur guardando alla necessità di questa considerazione preliminare, i limiti della seconda stagione di Baby non possono essere in alcun modo circoscritti e sminuiti. Del resto, già con la prima stagione avevamo tentato di mitigare le critiche, sospendendo in ultimo il giudizio sui primi 6 episodi (link all’articolo qui). […]

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