
La Tragedia del “Realitismo” secondo Donnellan
Dopo l’incontro in Università, il 4 dicembre scorso, dove sono intervenuti tre degli interpreti dell’opera – Fausto Cabra, Raffaele Esposito ed Errico Liguori – rispondendo alle domande del Professor Fabrizio Fiaschini (ne abbiamo parlato qui, proponendo un’introduzione alla pièce) La Tragedia del Vendicatore, attesissima opera recentemente attribuita a Thomas Middleton e diretta da Declan Donnellan, ha finalmente solcato le assi del Teatro Fraschini, nelle serate del 4, 5 e 6 dicembre.
Sigla iniziale, sigla finale. In mezzo un enorme, kitsch, caotico reality show. Quello che uno dei più grandi maestri del teatro contemporaneo realizza è una profonda riflessione sociale con un riuscitissimo meccanismo intermediale, che attraverso la potenza del teatro elisabettiano riflette sul contemporaneo e su quello che recentemente è stato definito come “Realitismo”: la sempre più diffusa attenzione posta dal Nuovo Realismo nei confronti dei fenomeni come i reality show e la realtà virtuale, i mass media e la loro distorsione nella rappresentazione della realtà, trova una precisa prosecuzione di intenti e riflessioni nell’ultimo lavoro del regista britannico, che vede allargare il campo della riflessione – finora concentrata per lo più nell’ambito audiovisivo – investendo in maniera dirompente anche il teatro con i suoi mezzi ed i suoi linguaggi.
Nei fatti, ciò che si sussegue sul palco è una carrellata di sangue, violenza e vendetta – in piena tradizione elisabettiana – ambientata in quello che sembra essere a tutti gli effetti una via di mezzo tra un reality e una serie TV appunto, con protagonisti una famiglia potente e corrotta e un antieroe deciso a fare giustizia a tutti i costi e con qualunque mezzo. La presenza diffusa di schermi e telecamere che trasmettono in diretta, la preparazione in scena da parte dei protagonisti dei diversi set (televisivi?) da utilizzare per la messa in atto della vendetta vera e propria, così come gli elementi da commedia degli errori rivisitati in chiave contemporanea, non fanno che catapultare lo spettatore – anche attraverso un ritmo serratissimo ed uno stile recitativo volutamente poco naturale – in un meccanismo totalmente televisivo, che riesce a trasmettere in maniera ben più disturbante l’alienazione che lo caratterizza sfruttando in modo equilibratissimo il mezzo teatrale in toto. La scelta degli attori non fa che confermare tale linea registica: oltre all’alta caratura dell’intero cast spiccano infatti le loro physique du role studiate al dettaglio, che rendono l’opera nell’insieme ulteriormente grottesca e paradossale.
Sono proprio gli attori inoltre, con i quali abbiamo avuto modo di parlare approfonditamente per un paio di giorni, a confermare la linea registica: partendo da un lavoro psicologico sui personaggi prima che sul testo, quello che Donnellan ha chiesto fin da subito al suo cast è stato proprio il ricreare un set televisivo, tanto nelle dinamiche tra personaggi, quanto nello studio dei movimenti e della voce. Emerge addirittura la decisione del regista di sottoporre al cast la visione e lo studio dell’acclamata serie TV statunitense UnREAL, incentrata proprio sulla produzione di un reality show e sulle difficoltà morali e personali che la conduttrice ed i concorrenti incontrano nel suo svolgersi.
Una traslazione temporale che unisce quindi la corte corrotta italiana (già nel testo originale di Middleton) ed il mondo dell’intrattenimento televisivo, accomunati da rapporti costruiti, vendette personali, distorsione della realtà e distruzione della morale, in un mondo dove non può uscire vincitore nessuno e la realtà dei fatti si perde, lasciando spazio alla tragedia umana, vera protagonista assoluta che investe tutti fin nella vita reale, come vuole suggerirci Donnellan dalla scena e dagli schermi che la vivono.
Un lavoro dirompente e attualissimo che farà molto parlare di sé, La Tragedia del Vendicatore di Declan Donnellan è il frutto di uno sguardo consapevole e potentissimo nei confronti di un contemporaneo difficile da decifrare, rappresentato attraverso una intermedialità efficace ed appropriata che porta con sé un carico esplosivo di analisi, critica ed espressività, figlie infedeli del mondo esterno che trovano nel luogo teatro una trasfigurazione attualissima e, per questo, necessaria più che mai.
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