
Sospendiamo il giudizio su «Animali fantastici: i crimini di Grindelwald»
Molti non vedevano l’ora che ritornasse il mondo incantato della Rowling con il secondo capitolo della nuova saga ambientata nell’ormai notissimo universo magico. Il 15 novembre 2018 è uscito nelle sale cinematografiche italiane Animali fantastici – I crimini di Grindelwald, reggia di David Yates (topica ormai la sua collaborazione con l’autrice inglese), sceneggiatura firmata J. K. Rowling.
Come primo elemento si rileva che, tra pro e contro, la vicenda progredisce. È questo (forse) lo scopo primario della nuova pellicola: portare nuova carne al fuoco, tessere ed infittire la trama, fornire nuovi dettagli che possano arricchire il racconto che, iniziato nel precedente film (Animali fantastici e dove trovarli, regia di David Yates, 2016), dovrà dipanarsi per un totale di cinque opere. Ma si riesce nell’intento? La trama risulta davvero ampliata? Indubbiamente abbiamo un avanzamento. Si qualificano i rapporti tra Newt (Eddie Redmayne) e Tina (Katherine Waterston), tra Jacob (Dan Fogler) e Queenie (Alison Sudol), fa la sua apparizione nelle sembianze lui proprie Gellert Grindelwald (Johnny Depp) e procede la caccia sia all’obscurus Credence (Ezra Miller) sia a Grindelwald stesso. Non solo, si espande anche geograficamente lo scenario: non più solo l’Inghilterra, ma, dopo l’America, anche la Francia. Purtroppo non si può dire lo stesso della psicologia dei personaggi che rimane come appiattita all’interno di un quadro dalle tonalità opache e scontate. Lo spettatore non fa molta fatica ad immaginarsi un tradimento da parte dell’ingenua Queenie e la costruzione di Leta Lestrange risulta debole, una “Severus Piton” al femminile “rinchiusa” in un’ora e mezza di film, più patetica, senza lo spessore umano dell’amato e odiato Professore di Pozioni. Siamo, dunque, in un circuito il cui confine è marcato in maniera troppo evidente.
Era facilmente intuibile già dalla prima pellicola che l’orizzonte dentro cui si colloca la vicenda fosse troppo prevedibile, poiché la storia avviene in un passato del quale si conosce già troppo bene il futuro. In quest’ottica ha poco senso fornire ampi dettagli descrittivi piuttosto che narrativi. Certamente chi conosce la saga gradisce e apprezza molto la comparsa di Nicolas Flamel (Brontis Jodorowsky), le scene di vita scolastica ambientate ad Hogwarts ed anche l’agnizione finale circa le origini di Credence. Ma il tutto sembra più strutturato per compiacere un lettore e/o spettatore della saga di Harry Potter piuttosto che costruire una narrazione autonoma. Siamo dentro uno spettacolo il quale sembra voler “raccontare per raccontare” una vicenda dove gli avvenimenti anteriori si delineano a partire da fatti posteriori, con un rischio di cortocircuito costante.
Fermo restando quanto detto, certamente positiva è l’ampia trattazione del mondo animale. Se con Harry eravamo abituati ad un universo che voleva creare una corrispondenza tra magia e vivere quotidiano, qui, assodato questo dato, nasce una compenetrazione tra un mondo magico e un mondo animale fatato. Senza l’azione di esseri muniti di sei, otto e più zampe, di variopinte ali, dall’eccentrica corporatura e dai bizzarri comportamenti, molti problemi sarebbero rimasti insoluti. Dove non può la magia, possono ancora i più cari amici dell’uomo!
Nel complesso non si vuole essere giudici crudeli e bocciare la pellicola come ad esempio ha fatto Brendan Hodges (di RogerEbert.com). Non particolarmente convinto del risultato, egli ha dichiarato che «Animali Fantastici: I Crimini di Grindelwald è davvero un casino esagerato. […] Questa è la storia magica più pacchiana e probabilmente peggiore della Rowling. Ad eccezione di qualche sequenza, questo è un ippogrifo morto».
Si vuole più semplicemente ricalibrare il giudizio verso un più tiepido “stiamo a vedere”. Cinque dovrebbero essere le pellicole (la terza prevista per il 20 novembre 2020) totali e solo con l’ultima saremmo più certi nel poter dire se la Rowling ha davvero esaurito la sua vena creativa, forgiando una banale accozzaglia di scene, o se, con alti e bassi, sia riuscita a creare un piacevole (e nuovo) prodotto. Il consiglio finale è comunque questo: andare a vedere i film, almeno per rivivere l’indimenticabile sapore di un universo magico caro a molti.
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