
Alejandro Jodorowsky: l’arte che cura e il suo cinema psicomagico
Risulta difficile descrivere Alejandro Jodorowsky a causa dell’aura quasi mistica che si dipana dalla sua figura. Poeta, scrittore, drammaturgo, regista, attore, musicista e compositore, fumettista, mimo al fianco del maestro Marcel Marceau, filosofo, lettore di tarocchi e guru spirituale.
Nato nel lontano 1929 a Tocopilla, trascorrerà gran parte della gioventù in Cile studiando per breve tempo filosofia e psicologia e dedicandosi poi alla poesia, al teatro e al circo. Fino a quando decide di trasferirsi a Parigi nel 1953.
Nel 1953, desideroso di un ambiente in grado di far fiorire la espressione artistica e il suo pensiero si trasferisce a Parigi. Qui si unisce alla compagnia di Marcel Marceau con cui andrà in tour per il mondo, riprende a scrivere e dirigere a teatro e inizia le prime sperimentazioni in ambito cinematografico

Momento essenziale della sua genesi artistica è la fondazione nel 1962 a Parigi del Movimento panico (ispirato al dio Pan) in collaborazione con Fernando Arrabal e Roland Topor. Il collettivo artistico era caratterizzato dalle influenze surrealiste: la ricerca del destabilizzante e del grottesco, l’uso di una violenza artistica e concettuale per esprimersi e una sessualità liberata e impudica. Nonostante il successivo scioglimento del collettivo, tutta la produzione dell’artista cileno manterrà la matrice surrealista del movimento.
È in questo periodo che comincia a sviluppare quello che forse è il concetto cardine del suo pensiero artistico e filosofico: la psicomagia. L’Arte non può essere dissociata da una sua funzione curativa sull’individuo e la psicomagia è il mezzo per attuare questa guarigione: è quindi essa stessa una forma d’Arte.
L’inconscio non è scientifico ma artistico e comunica e funziona per metafore e associazioni simboliche; secondo Jodorowsky è possibile risolvere i problemi dell’inconscio “parlandogli”, e “agendo” su di esso nella realtà per mezzo di atti poetici e gesti simbolici che hanno l’obbiettivo di cambiare la percezione che il soggetto ha di se stesso, del problema e della propria realtà donandogli una nuova prospettiva. L’Arte è insomma il linguaggio che permette al reale di agire sulla mente.
Un noto esempio di gesto psicomagico è quello che Jodorowsky aveva consigliato di compiere a un uomo che aveva chiesto il suo aiuto per i suoi gravi problemi economici: incollare due monete alla suola delle scarpe, in modo tale che camminando sentisse continuamente il tintinnio delle monete sulla strada. Nell’intento dello psicomago questo atto irrazionale non era finalizzato a risolvere i problemi economici dell’uomo ma a proporsi come una soluzione per ovviare ai condizionamenti che questi problemi esercitavano sulla mente del soggetto. Nonostante abbiano finalità simile, è evidente la distinzione tra psicoanalisi e psicomagia: l’una parte dalla psicologia, l’altra dall’Arte. Inoltre, la psicanalisi studia i sogni e ciò che l’inconscio ci vuole comunicare interpretandoli per mezzo di un linguaggio razionale, la psicomagia usa invece un linguaggio simbolico e irrazionale che si esprime attraverso azioni nella dimensione reale per agire sui problemi dell’inconscio.
Se in ambito cinematografico il primo passo rilevante nella carriera di Jodorowsky è Il Paese incantato (Fando y Lis, 1968), è solo con El Topo, nel 1970, che l’artista cileno inizierà a riscuotere consensi.
«La talpa è un animale che scava gallerie sottoterra in cerca del sole. A volte la strada lo porta in superficie, ma quando vede il Sole, resta cieco.»
Questo è l’incipit della seconda pellicola del regista, un western psichedelico in cui la vena surrealista e la critica sociale sono elementi cardine e imprescindibili. L’opera è divisa in due parti: nella prima vediamo un pistolero che vaga per il deserto, luogo simbolico e specchio della sua anima, in cerca del senso della propria esistenza, abituato all’uso della violenza e dell’inganno come strumenti di sopraffazione. Gli verrà poi mostrato come l’unica via per una pace interiore risieda nell’annullamento del proprio ego; nella seconda parte il protagonista si ritrova in una caverna insieme a un gruppo di nani, storpi e menomati intrappolati lì da sempre. Il protagonista è una figura messianica che avrà il compito di liberarli e mostrare loro il mondo esterno.
Nel finale, dopo che egli ha completato questa sua missione, diventa chiaro il significato dell’incipit: l’uomo liberato dalla caverna nel mondo materiale entra in contatto con la lussuria, il fanatismo e la violenza che ci vengono mostrate, egli è come la talpa che vede il sole e resta cieca.
Nel gesto estremo finale del protagonista viene di nuovo espresso il concetto dell’annichilimento del proprio Io come liberazione, perché come egli stesso afferma la morte è una forma di rinascita.

Nel 1973 vede luce l’opera più iconica del regista: La Montagna sacra. Un ladro e alcune tra le persone più potenti del pianeta sono protagoniste di un viaggio mistico verso la verità, la saggezza e la vita eterna, ricercate per mezzo di simboli, suggestioni, allegorie, un’estetica sfacciata e un geniale espediente metacinematografico.
Jodorowsky indaga la realtà attraverso il simbolismo, linguaggio eletto, usato qui enfatizzando la sua capacità espressiva. Così accade che i tarocchi prendano vita, che le geometrie e i colori eccentrici deformino lo spazio, e che l’Estetica e la bellezza diventino esse stesse veicolo del messaggio.
Il viaggio intrapreso conduce i protagonisti – come condizioni necessarie per giungere alla meta – all’abbandono della propria identità, e al ritrovamento del mondo interiore. La critica storica e sociale travalica passato e presente, assumendo dimensioni quasi universali attraverso la specifica caratterizzazione di ognuno dei protagonisti.
L’avvicinamento alla realtà e alla verità ha il suo culmine nel finale, geniale nella sua semplicità ed efficacia, che riesce, con semplice movimento di macchina e una battuta pronunciata dal personaggio interpretato dallo stesso Jodorowsky, ad includere e coinvolgere anche lo spettatore in quello che ci viene mostrato e rivelato, portando quasi il cinema ad un livello superiore di coscienza.
Dopo la realizzazione de La Montagna sacra passano diversi anni, nei quali Jodorowsky e il suo cinema vivono un periodo di crisi per l’insuccesso di Tusk (1980), un film per ragazzi ambientato in India che ha come protagonisti una ragazzina e un elefante. A questo fa seguito la delusione seguita al cancellamento dell’ambiziosa trasposizione cinematografica di Dune di Frank Herbert, che verrà poi realizzata da David Lynch nel 1984, a causa dei costi eccessivi. Nel 1989 esce Santa Sangre nato dalla collaborazione tra Jodorowsky e Claudio Argento, un horror in cui il regista gioca più che mai con le tematiche psicanalitiche. Viene messa in scena la vicenda di un serial killer operante sotto l’influenza materna per eliminare qualunque figura femminile minacci di intromettersi nel loro rapporto.
Presentando a Cannes nel 2013 La Danza della Realtà, cui ha fatto seguito tre anni dopo Poesia senza fine, ha dato origine ad un progetto artistico il cui oggetto di studio è la sua stessa vita personale, a partire dall’infanzia a Tocopilla.
La Danza della Realtà mostra il quadro famigliare e affettivo in cui l’Alejandro bambino cresce, il rapporto con i genitori, il tentativo del padre di sovvertire il regime uccidendo il dittatore e il trasferimento a Santiago. Poesia senza fine riprende il discorso interrotto e ci mostra l’adolescenza di Alejandro, il suo amore per la poesia e il distaccamento dalla famiglia fino ad arrivare alla partenza per Parigi nel 1953.
Al di là dell’onnipresente simbolismo e delle eccentricità estetica, a dare un valore profondamente affettivo e personale alle opere è la scelta degli attori, ad interpretare il padre e il giovane Alejandro sono Brontis ed Adan, i figli dello stesso Jodorowsky, il quale compare in diverse scene in veste di consigliere spirituale al se stesso del passato.
Quello che Jodorowsky realizza con questo progetto è un atto psico
magico rivolto verso se stesso, è come se all’alba dei novant’anni egli sentisse il bisogno di guarire le ferite del proprio passato, non riproducendolo fedelmente ma cambiando ciò che non è stato in ciò che avrebbe dovuto essere: la madre che nella vita reale non ha mai potuto realizzare il sogno di diventare cantante nei film esprime ogni parola cantando liricamente, il rapporto con il padre autoritario e severo che nella realtà si era troncato per sempre dopo la partenza per Parigi viene sanato nel film nel commovente finale di Poesia senza fine, nel quale lo stesso Alejandro compare facendo da mediatore tra il sé ragazzo ed il padre:
“Padre mio, non dandomi niente, mi hai dato tutto. Non amandomi, mi hai insegnato l’assoluta necessità di amore. Negando Dio, mi hai insegnato a valorizzare la vita”.
Con questa frase la memoria viene riscritta, l’Arte diviene cura e grazie al Cinema la ferita viene sanata.

È previsto un terzo capitolo che riprenderà la vicenda dove si era interrotta, si intitolerà “Psicomagia. Un’arte che cura”, e, data la scarsità dei fondi per realizzare la post-produzione del film, Jodorowsky stesso ha avviato un crowdfunding su Kickstarter, rivolgendo un appello tramite un emozionale video apparso anche su YouTube. È notizia di poche settimane fa che la raccolta fondi ha avuto successo, Jodorowsky potrà continuare l’atto psicomagico rivolto alla sua memoria.
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[…] decenni la storia è sfuggita agli adattamenti. Negli anni ’70 il regista sperimentale Alejandro Jodorowsky tentò di trasformarla in un film, ma senza riuscirci. La pellicola rappresenta quindi il secondo […]
[…] ma anche i cataloghi di moda che andavano negli anni ’90. Alcuni, però, ci hanno visto anche Jodorowsky per la scelta del luogo, dello specchio e dei colori. Il primo regista a cui tutti pensano vedendo […]
[…] è tra gli autori della fotografia con maggior esperienza in Italia. Ha lavorato, tra i tanti, con Alejandro Jodorowsky, Franco Zeffirelli, Ettore Scola, Luchino Visconti, Carlo Lizzani, Federico Fellini e Liliana […]