
Di sangue e binari: Bob Dylan ritorna al cinema?
È notizia di questi giorni l’annuncio da parte di RT Picture di aver messo in cantiere un film ispirato al disco Blood on the Tracks, pubblicato da Bob Dylan nel 1975 e che in questi giorni torna a parlare di sé grazie alla pubblicazione di tutto il materiale registrato nelle faticose session di incisione che hanno portato alla realizzazione di quello che è ritenuto uno dei lavori migliori e più completi del cantautore americano.
Il film pare sarà affidato alla direzione dell’ormai super star internazionale Luca Guadagnino (Call Me By Your Name e Suspiria le sue fatiche più recenti e discusse), mentre la sceneggiatura, già pronta, è firmata da Richard LaGravanese e si promette di analizzare l’evoluzione intima della repressione di ogni personaggio attraverso la distillazione dei temi del disco, ambientando il tutto negli anni ’70, epoca contemporanea alla composizione delle canzoni.Ma da un album come Blood on the Tracks cosa ci si può aspettare, dal punto di vista cinematografico?
Sicuramente questo resta uno dei dischi più narrativi di Dylan: tutte e dieci le canzoni contengono racconti più o meno espliciti, incentrati sui temi della rottura, dell’abbandono e della nostalgia per un amore finito; in particolare la prima traccia, Tangled Up in Blue, trova dentro di sé fino a sette storie diverse, che possono essere lette come sette storie d’amore che vedono protagonista la stessa donna. Allo stesso tempo, la composizione delle canzoni è pervasa da un filo conduttore unico, cioè il divorzio di Dylan dalla sua moglie di allora, Sara Lownds, rendendo l’album quasi uno sperimentale lavoro di autoanalisi per superare il trauma dovuto all’abbandono (Dylan realizzerà un secondo disco con dentro gli stessi temi nel 1997, Time Out of Mind, le cui atmosfere hanno ispirato il film Masked and Anonymous di Larry Charles, col cantante stesso come protagonista).
Si può inoltre ricordare come la storyline biografica del Dylan di Blood on the Tracks abbia già trovato una splendida lettura cinematografica in I’m Not There, l’enigmatico film biografico realizzato da Todd Haynes e Oren Moverman: l’anno del divorzio è, infatti, ricostruito affidando a Heat Ledger il ruolo del menestrello di Duluth e a Charlotte Gainsbourg quello di Sara; il risultato è riconosciuto come molto fedele e aderente alle atmosfere del disco che ne sintetizza il periodo, tanto che difficilmente Guadagnino potrà prescindere da questa rappresentazione, ormai indissolubilmente legata all’immaginario di Blood on the Tracks e all’idea che si ha del periodo del divorzio.
Se però, da un lato, sono ormai più di quarant’anni che il disco ci racconta la storia attraverso un percorso musicale ben preciso e strutturato, la recente pubblicazione di More Blood, More Tracks, raccolta filologica di tutte le take realizzate in preparazione all’album, ci presenta una nuova immagine di quel periodo: Dylan, nel comporre le canzoni, segue una strada diversa da quella tracciata dall’ordine ormai canonico: all’inizio, nelle session di New York, c’è il rimpianto rassegnato di If You See Her, Say Hello (con alcuni versi alternativi che intensificano questa sensazione) e il tentativo di rinegoziare il rapporto con You’re a Big Girl Now; scopriamo che uno dei primi brani realizzati è Up to Me, canzone poi scartata, in cui Bob tenta di prendersi le colpe di quanto accaduto e di riconquistare una donna ormai perduta.
Il lavoro in studio traccia il solco profondo dell’elaborazione di una rottura che alle volte si tinge di cattiveria (il sangue) e di desiderio di superare (i binari), finché Dylan decide, dopo due mesi, di guardarsi di nuovo dentro e mettere tutto ancora in discussione: le canzoni più amare e intime del disco vengono ricomposte e riregistrate, con nuovi strumenti e suoni più solari, come a dimostrare una nuova consapevolezza dei sentimenti dell’autore.
Sarà interessante scoprire se la sceneggiatura di LaGravanese terrà conto di questa nuova narrazione, che rilancia la poetica di un disco da sempre ritenuto solido e uniforme, per quanto costruito con suoni e luoghi agli antipodi tra una canzone e l’altra.
In ogni caso, che la pellicola voglia riraccontare la sofferenza di un poeta ferito o prendersi l’arduo compito di mostrarci in azione personaggi impossibili come Lily, Rosemary e il loro Fante di Cuori (che per un curioso caso di maneggio tutto italiano, trovano un posto nascosto in un’inquadratura dello Scarface di Hawks nel suo ridoppiaggio degli anni ’70), il sempre discusso regista Guadagnino si troverà di fronte uno dei pubblici più complessi da accontentare, cioè quello dei fan di Bob Dylan, sempre pronti a criticare e disconoscere qualsiasi cosa riguardi il loro oggetto d’amore passionale e di odio furioso, anche quando realizzato da lui stesso.
La curiosità è quindi alta e si aspettano nuove notizie da parte della produzione, il tutto ricordando che ogni volta che Dylan ha incrociato la strada della Settima Arte, il risultato, nel bene e nel male, si è sempre dimostrato interessante, enigmatico e velato di un mistico alone di profonda poesia, come lo sono tutto il suo lavoro e la sua musica.
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