
Dark Waters – Cronache di (extra) quotidiano eroismo
Il 2019 ha visto esplodere nella coscienza collettiva – complici anche movimenti come i Fridays for Future – il problema della salvaguardia ambientale, una tematica da tempo discussa ma su cui solo recentemente i governi e i movimenti globali si sono focalizzati. È proprio con questo soggetto che Todd Haynes si confronta, attraverso la pellicola Dark Waters, legal thriller di stampo ambientalista basato sulla storia vera di Robert Bilott (Mark Ruffalo), avvocato specializzato nella difesa delle aziende chimiche che nel 2001, attraverso una class action contro la DuPont, riuscì ad ottenere il risarcimento record di 671 milioni di dollari, a favore dei 3500 querelanti del West Virginia da lui rappresentati.
Nella sobrietà e nel rigore di questa pellicola si trova la forza di una denuncia che a fine visione ci porta inevitabilmente ad una presa di coscienza. Impossibile non indignarsi di fronte a quanto visto e impossibile non pensare a quanto la situazione in realtà possa essere vicino a noi. Troppe cose appaiono consapevolmente nascoste alla comunità: l’arricchimento dei potenti sulla pelle del più debole – in questo caso una comunità che non ha i mezzi per valutare in autonomia una situazione che sta compromettendo ampiamente la salute pubblica – non è poi così inusuale stando ai casi di cronaca nazionale e mondiale: quante volte è capitato in passato che un’azienda rivendicasse il proprio ruolo di datore di lavoro, senza dire a quale prezzo?
Per descrivere la Cincinnati di fine anni ’90 il regista sceglie una fotografia dai toni grigi e cupi, a voler simboleggiare un cielo che in nessun modo può tornare alla purezza dell’azzurro, definitivamente compromesso dalle politiche di smaltimento scriteriate della DuPont. È proprio nel cielo del West Virginia che questa estetica sarà portata ai massimi livelli. La tenuta dei Tennant, un allevamento genuino vecchio stampo, in cui, come afferma lo stesso fattore, «gli animali ricevono il cibo direttamente dalle mie mani» è quanto di più lontano possibile dalla salubrità, in una zona rustica in cui il cielo è plumbeo e scuro mentre di contro i sassi dei ruscelli sono innaturalmente sbiancati dagli agenti chimici rovesciati nelle falde acquifere, in una situazione cromatica ribaltata e profondamente allarmante, spia di una compromissione ambientale che sta per diventare di pubblico dominio.
Quello di Todd Haynes, però, non vuole essere semplicemente un film divulgativo o di denuncia civile: ciò che interessa al regista è porre in evidenza la figura del singolo che, per combattere una battaglia in nome di una comunità ormai avvelenata dall’omertà dilagante dei potenti, senza voce e in balia delle industrie, mette in discussione la sua vita, pur sapendo che le probabilità di vittoria sono minime. Questo processo ovviamente ha un prezzo: lo stipendio, che viene progressivamente ridimensionato, la fiducia dei colleghi e degli amici, che con il passare degli anni viene meno, gli affetti familiari messi a rischio: in una parola, il protagonista rischia sempre di più di cadere nel baratro della solitudine e dello svilimento.
È proprio questo l’intento del film e la sua efficacia è massima, grazie ai primi piani sul volto dell’avvocato, un Mark Ruffalo dall’espressione perennemente contrita, timido ma che non si lascia intimidire, alle volte impacciato ma, alla fine, nonostante i dubbi, non ostacolabile. Il punto di vista privilegiato è proprio il suo e grazie ad alcune soluzioni registiche come il pedinamento e i primi piani sui particolari fisici come volto e mani, scopriamo la realtà attraverso i suoi occhi ed entriamo in intimità con il personaggio, per cui necessariamente proviamo un’empatia che ci porta a condividere paure, fatiche e soddisfazioni.
Ma quella che Haynes, attraverso il personaggio di Bilott, metta in scena è anche, alla fine, una presa di coscienza, come in un romanzo di formazione: non a caso le parole del fattore, pronunciate durante il primo incontro con l’avvocato ritorneranno nel finale pronunciate dallo stesso protagonista, in un’appropriazione di voce in cui le posizioni del più debole vengono rivendicate da chi ha più potere contrattuale. Non si tratta però di un mero ripetere, è piuttosto un far propria la parola dell’altro, in una presa di coscienza che è etica e civile, oltre che personale.
Gli ostacoli nel percorso ci sono, i tentennamenti anche, ma Haynes dipinge un protagonista che nonostante all’apparenza sia l’antitesi della gagliardia, si rivela essere un testardissimo avvocato, inarrestabile nonostante le intimidazioni anche effettuate a danno dei suoi clienti. Tutt’altro che monolitico, è un personaggio frammentato e percorso dai dubbi, un uomo come tutti gli altri, che sceglie comunque di combattere per una comunità senza mezzi e senza voce. Questa rappresentazione ha un senso: non è necessario essere supereroi per essere eroi: chiunque nel suo (piccolo o grande che sia) può potenzialmente fare la differenza, basta volerlo.
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