
Un cinematographer all’opera – Intervista a Daniele Nannuzzi
Vincitore di numerosi premi inclusi David di Donatello e Globo d’oro, e nominato agli Emmy Awards e ai Nastri d’Argento, Daniele Nannuzzi è uno dei più importanti direttori della fotografia della storia del cinema italiano. Classe 1949, si è formato come assistente del padre Armando al fianco di grandi registi quali Federico Fellini, Mauro Bolognini, Luchino Visconti e Liliana Cavani, e ha firmato la fotografia di film, fra gli altri, di Franco Zeffirelli, Carlo Lizzani, Ettore Scola, Alejandro Jodorowsky, Alberto Negrin ed Enzo Monteleone. Attualmente presidente della storica federazione di categoria AIC, nell’ultimo periodo della sua carriera si è alternato tra set e palcoscenici lirici.
Curata da Federico Toscano e frutto di una coproduzione tra il Rotaract Club Palermo Libertà e la Fondazione Sant’Elia che la ospita, il 24 giugno inaugura a Palermo la mostra Un cinematographer all’opera, che illustra il percorso di Nannuzzi sui palcoscenici lirici di tutto il mondo: già allestita a Cinecittà a Roma, la mostra vede esposte 105 fotografie.

Come ti sei trovato, da direttore della fotografia di cinema, a lavorare anche come light designer per opere liriche e spettacoli teatrali di grande prestigio?
Lavorare all’opera era un mio sogno nel cassetto sin da quando ero ragazzino. È stato Franco Zeffirelli a darmi l’occasione di poter illuminare un’opera teatrale, ma sempre all’interno di un film, ne Il giovane Toscanini, dove si metteva in scena un’Aida ambientata nel fine ‘800. In quel momento ho capito di poter fare questo passo, ma sono passati più di due decenni prima che effettivamente debuttassi come light designer teatrale. Finalmente un giorno nel 2012 il mio amico scenografo Gianni Quaranta mi chiese se me la sentivo di illuminare una Madame Butterfly con uno stile nuovo: “Vogliamo uscire un po’ dalla luce del teatro dell’Opera di Roma per fare qualcosa di più particolare”. Io non stavo nella pelle, e sin dal primo mio lavoro operistico con il light design ho sempre cercato di portare sul palcoscenico una luce più cinematografica che teatrale.
Come si svolse la tua prima esperienza teatrale?
Conoscevo bene Giorgio Ferrara, che doveva essere il regista di quella Madame Butterfly, ma non avevo mai lavorato con lui, neanche sul set. Ci incontrammo nello studio di Quaranta: i bozzetti erano meravigliosi, essenziali, minimali elegantissimi. L’unico grande protagonista della scena, oltre ai nove pannelli semoventi alti nove metri, era un immenso fondale di PVC. Grazie a questa splendida scenografia così minimalista creata da Quaranta gli effetti di luce sono stati protagonisti della scena e ho potuto liberare la mia fantasia sull’immenso fondale sul quale ho scandito tutte le ore del giorno e della notte, creando un’atmosfera che ricorda le lacche dei paraventi giapponesi. Ero al settimo cielo: dopo una carriera da autore della cinematografia che mi aveva già dato tantissime soddisfazioni, finalmente il mio sogno si realizzava e potevo illuminare un’opera lirica in un teatro famosissimo come l’Opera di Roma. Un cinematographer all’Opera, appunto…

Hai qualche ricordo particolare della prima di Madame Butterfly?
Dopo più di un mese di prove arrivammo alla prima. Avevo il cuore in gola: tutte le luci, gli effetti, il sole, la luna le albe e i tramonti erano fissati sul computer, tutti i cambi di luce erano scritti sulle note dello spartito musicale dell’opera. Consegnai tutto ai tecnici: ormai era fatta, non si sarebbe potuto cambiare più nulla. Fu un trionfo: la regia, la musica, il direttore d’orchestra, i cantanti, la scenografia… pensavo che fosse finita lì e invece la critica parlò anche delle luci, cosa piuttosto insolita: “…pittoriche le luci di Daniele Nannuzzi”.
Come proseguì poi la tua carriera all’opera e in teatro?
Con Il Giro di Vite di Britten, The Piano Upstairs di Weidman, e Così fan tutte di Mozart, sempre sotto la direzione di Giorgio Ferrara abbiamo inaugurato per tre anni il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Cominciai a lavorare anche all’estero, curando le luci anche per un Casanova in Warsaw che andava in scena al Vielki Teatre della stessa Varsavia, fino ad arrivare al magico incontro con Boris Eifman. Boris Eifman è uno dei più grandi coreografi viventi, e con lui ho avuto modo di illuminare un Onegin, un’Anna Karenina e un Rodin, una trilogia di balletti ispirati a questi famosi personaggi. Questi balletti, dopo le rappresentazioni dal vivo al celebre Teatro Marinskij di San Pietroburgo, sono stati ricostruiti in un altro teatro e filmati da me con una tecnica cinematografica.
In qualità di “cinematographer prestato all’Opera” hai collaborato con scenografi quali Dante Ferretti e il già citato Gianni Quaranta, anche loro scenografi noti soprattutto per il loro lavoro nel cinema, entrambi peraltro premi Oscar. Come ti sei trovato a collaborare con loro sul palco invece che sul set?
L’intesa con Gianni Quaranta e Dante Ferretti è stata sempre straordinaria. Fin dai bozzetti iniziali era già chiara l’idea della realizzazione, lavorare con due scenografi così ti rende tutto più chiaro anche se poi le scenografie erano molto complesse e difficili da illuminare.

Quale delle molte opere liriche da te illuminate ha richiesto il light design più complesso? Ce n’è una a cui sei rimasto più legato?
Di tutte le opere liriche, quella a cui sono più legato è la Madama Butterfly di Ferrara: fu il mio primo lavoro in teatro, e illuminai la scenografia di Quaranta – così raffinata e minimale – in modo che sembrasse un paravento di lacca giapponese. Forse la più complessa delle opere che ho seguito è stata però The Turn of Screw, da Benjamin Britten, rappresentata a Spoleto per l’inaugurazione del Festival dei Due Mondi, sempre per la regia di Giorgio Ferrara. La scenografia di Quaranta in quel caso si rifaceva al celebre dipinto di Böcklin L’isola dei morti: due enormi montagne di pietra e otto cipressi veri alti nove metri. Per dare l’idea dell’altezza tolsero perfino il sipario e l’arlecchino scoprendo totalmente i tralicci delle luci. In un primo momento fui costretto a porre le luci sulla capriata del teatro, ma Quaranta alla fine ideò un cielo di nuvole nere a più strati e io potrei nascondere i proiettori fra le nuvole
Come è nata l’idea di allestire una mostra sulla tua esperienza operistica?
Lavorare in teatro mi ha dato una seconda giovinezza. Illuminare un palcoscenico mi dà la stessa emozione che provo davanti ad una tela da pitturare. Ogni variazione di luce sul palcoscenico viene scandita dal ritmo della musica e diventa musica anch’essa. Il lavoro di giorni e giorni di prove si risolve nell’arco di tempo di una rappresentazione. Ma quanto entusiasmo in quelle ore! Durante la prima percepisco le emozioni sulle facce degli spettatori ed è lì che mi accorgo se ho reso con la mia luce l’atmosfera ed il senso dell’opera. Se la luce “suona” in armonia come uno degli strumenti dell’orchestra. Da qui l’idea di raccogliere in una mostra le più belle tra le immagini scattate sui palchi lirici dove ho lavorato: Gianni Quaranta, Paul Ronald, Enrico Cesaro e Maxim Tarasyugin. La mostra è già stata inaugurata a Cinecittà e si replica ora a Palermo nella Sala Cavallerizza, sede della Fondazione Sant’Elia.

Quali foto vi sono esposte?
Le fotografie scattate sui palcoscenici raccontano le scene delle opere Eugenio Onegin diretta da Boris Eifman al Teatro Marinskji di San Pietroburgo; Madama Butterfly di Giacomo Puccini al Teatro dell’Opera di Roma; The Turn of Screw di Benjamin Britten, che ha debuttato al Festival dei due mondi di Spoleto; l’Aida di Giuseppe Verdi nella fantastica versione di Franco Zeffirelli; Casanova in Warsaw di Krysztof Pastor al Theatre Wielki Opera Narodova; sempre di Eifman, l’Anna Karenina di Rodin, eseguita al Teatro Marinskji di San Pietroburgo; un Così fan tutte di W. A. Mozart che ha debuttato sempre al Festival dei Due Mondi; The Piano Upstairs di John Weidman, un’altra esperienza spoletina; un Macbeth di Verdi al Teatro Verdi di Salerno.
Dopo Cinecittà, come è nata l’idea di portare la mostra Un cinematographer all’opera anche a Palermo?
Ho accolto la proposta del presidente del Rotaract Palermo Libertà, Federico Toscano, ad allestire la mostra a Palermo, e sono veramente felice di portare le mie fotografie in una città dove ho girato molti dei miei film e alla quale sono particolarmente legato. Felicissimo anche della scelta della location, la Sala Cavallerizza di Palazzo Sant’Elia. Magnifica.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista