
Le periferie umane raccontate da Ascanio Celestini
Con Pueblo Ascanio Celestini torna a raccontare l’umanità delle periferie – già ritratta in Laika (2015) – nel tentativo di rappresentare le debolezze della società contemporanea superando stereotipi e immagini abusate. In un racconto ricco e intenso, a tratti commovente – senza mai scadere nel patetismo – a tratti irresistibilmente comico, si intrecciano la storia di una barbona, di una cassiera di supermercato, di uno zingaro e di un magazziniere africano. In attesa del terzo atto di questa umanissima trilogia, abbiamo incontrato Ascanio Celestini che, in un malfamato bar della periferia genovese, ci ha raccontato perché ha scelto di mettere in scena l’autenticità di questi personaggi che vivono ai margini.
Questo spettacolo rappresenta l’umanità delle periferie, degli esclusi, di chi non vuole farsi vedere. Come mai hai sentito questo racconto come urgente?
Ho scelto di raccontare queste storie perché sono storie che conosco, mi sento di appartenere a quella periferia là: il mercato coperto del “miracolo finale” è quello dove andavo anche io da ragazzino. Si parla di periferie dicendo che bisogna portate lì la cultura, poi però nessuno chiede a chi ci abita di che cosa sente davvero la mancanza: un abitante della mia borgata -più che un teatro sfigato sotto casa- vorrebbe magari avere la metropolitana che lo porta in centro (per andare a teatro). Dovremmo incominciare a pensare un territorio in relazione alle persone che ci vivono. Talvolta gli abitanti di questi “ghetti” non vogliono che si parli di loro: sei talmente stufo della narrazione che qualcun altro fa del tuo mondo che alla fine pensi che è meglio non farne parte perché rischi di finire nel calderone della narrazione globale e in quella maniera finisci per legittimarlo.
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L’articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2018 sul sito http://inchiostro.unipv.it/
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