Netflix ha acquisito Warner Bros. – Dobbiamo preoccuparci?
Si vociferava da tempo che con l’arrivo della stagione finale di Stranger Things Netflix avrebbe dovuto fare i conti con l’esaurirsi di una legacy contenutistica a corto raggio – circa dieci anni – che non ha saputo adeguatamente rinnovare per restare in testa nella classifica di chi più plasma gli immaginari mediali globali. Questa stagnazione si riverbera in una condizione decisamente generalizzata di tutti gli Studios statunitensi, risuonando però nell’eco di un controvalore di mercato di Netflix che si attesta intorno ai 400 miliardi di dollari, più del doppio di quello di Disney e decisamente il più alto nell’ambito dell’audiovisivo “puro”. Era quindi inevitabile che un contenitore affamato di proprietà intellettuale si mettesse alla ricerca di un fornitore di contenuti da acquisire.
È stato il turno – senza troppe sorprese – di Warner Bros. Discovery, il quarto più grande colosso dell’intrattenimento statunitense che da tempo stava dando segni di difficoltà nel reggere un’apertura al mercato globale dei contenuti streaming – con HBO Max – e nel mantenere vivi franchise mediali decisamente più grandi della capacità progettuale storicamente mostrata dalla corporation che, dal 2022, è parte del gruppo Discovery. Non si vuol dire qui che Warner fosse un soggetto debole del mercato, ma la recente acquisizione di Paramount da parte di Skydance ci mostra come il tessuto dell’ecosistema mediale sia sempre più soggetto a integrazioni strategiche dovute prevalentemente all’evidente saturazione del mercato dei contenuti.
Ovviamente si grida già al disastro. Netflix ha sempre più fama di “livellatore” estetico, con la sua fotografia patinata, la sua fantomatica cultura algoritmica e l’evidente finalità di mercato incentrata sulla distribuzione in piattaforma al di là di qualsiasi altro canale. Ma c’è davvero da preoccuparsi? L’acquisizione di Warner da parte di Netflix per oltre 80 miliardi di dollari – il gruppo WBD ne valeva poco meno di 60 – è realmente un impoverimento per il mercato audiovisivo? Sicuramente ogni riduzione del pluralismo nel delicato equilibrio concorrenziale che regge gli enormi capitali mossi dall’industria dei media è una cattiva notizia, ma al giorno d’oggi anche le disperate strategie di sopravvivenza dei soggetti deboli rischiano di essere un male da evitare, specialmente per il consumatore finale ormai scisso in decine di canali distributivi autonomi e sempre più costosi. Vediamo quindi qui, ambito per ambito, quali sono i possibili scenari che ci aspettano.

Il cinema secondo Netflix
L’ambito che si vede più a rischio è quello cinematografico. Netflix storicamente vede la sala come il luogo obbligato in cui passare in fretta e possibilmente in silenzio per poter candidare i propri prodotti ai premi più importanti e, di conseguenza, per legittimare il proprio lavoro di fronte all’establishment critico e produttivo. È stato il caso, ormai lontanissimo, di Roma di Alfonso Cuarón nel 2018 e continua ad esserlo col lavoro di autori come Guillermo del Toro che trovano in Netflix un interlocutore al di là dei canali distributivi. Eppure lo scenario più probabile è che ci si ritrovi di fronte a qualcosa di molto simile a ciò che Disney ha fatto con 20th Century Fox: il marchio Searchlight resta oggi quello più prestigioso all’interno del pacchetto Disney, vive una vita decisamente autonoma rispetto alle logiche da piattaforma e riesce a capitalizzare molto bene a festival e concorsi.
In questo, il catalogo Warner Bros. Discovery che Netflix si troverà a gestire sul grande schermo è molto vasto: parliamo di grandi franchise come Harry Potter, tutto il materiale DC Comics, il nascente universo di Dune (non potranno mai far peggio di HBO con quello), nonché titoli legacy che scavano nella storia del cinema sia live action – per citarne solo uno, L’Esorcista -, sia d’animazione con tutto il pacchetto Looney Tunes. Ovviamente le regole delle economie di scopo porteranno Netflix a una gestione differenziata, ma è altamente probabile che il marchio produttivo Warner resterà il marchio prestige finalizzato alla sala, non intaccato dalle logiche estetiche del portale, con uno sbarco molto rapido in piattaforma esattamente come accade con Disney e Searchlight.
Uno streaming sempre più vasto
La vera rivoluzione sarà da attendere nell’ambito dello streaming, dove Netflix resta leader di mercato e di innovazioni operative, ma che in questo caso si trova di fronte alla prima acquisizione da integrare nei propri sistemi distributivi. Le possibilità sono sostanzialmente due: o Netflix guarderà a quanto fatto da Disney, che con i propri pacchetti ha costruito un ecosistema on-demand coeso e totalmente integrato, pur mantenendo l’autonomia dei marchi posseduti, oppure – ed è più probabile – guarderà a Prime Video e alla sua logica di pacchetto incrementale. Amazon nel 2022 ha acquisito la Metro-Goldwyn-Mayer e, di conseguenza, ha dato la possibilità ai propri abbonati Prime di integrare il proprio pacchetto di contenuti con quelli a marchio MGM, a patto di pagare un’aggiunta all’abbonamento.
Netflix ha uno degli abbonamenti single platform più alti sul mercato, ed è ormai nota per un cinismo estremo nella gestione delle logiche di costo, quindi è abbastanza utopistico pensare che offrirà a tutti i propri abbonati globali il pacche HBO Max senza alcun costo aggiuntivo. Certo è che un abbonamento integrato avrebbe un costo molto più basso rispetto al pagare i due diversi portali prestige singolarmente, quindi comunque vada per i consumatori sarà un verosimile “affare”.
In questo, Netflix si ritrova un quantitativo di titoli a cui attingere per arricchire il proprio catalogo di produzioni originali tra i più invidiati al mondo. Game of Thrones, The Last of Us, True Detective, ecc. sono solo alcuni di una serie eccezionale di prodotti che ancora oggi stentano a calare sia nei valori produttivi – si guardi ai budget di serie come The White Lotus o It: Welcome to Derry – che nella ricezione di pubblico e critica. Il rischio qui c’è: le serie HBO somiglieranno sempre più a quelle Netflix? Il primo episodio di It sembrava suggerire l’esatto contrario…

Certo è che la presa in carico da parte di un soggetto dello streaming forte e efficace di fronte a franchise storicamente difficili da espandere in modo originale o convincente – si pensi, di nuovo, ad Harry Potter – può essere solo una buona notizia, come lo è pensare finalmente a una casa per gioielli animati come tutto il catalogo Cartoon Network.
L’inedito lineare
Non va dimenticato che Warner Bros. Discovery è oggi il soggetto mediale globale che più di tutti ha tentato un’espansione capillare nella televisione lineare al di là dei canali premium come HBO. In Italia ne abbiamo un esempio evidente con tutto il vasto pacchetto Discovery, che comprende il Nove, Real Time, DMax, ecc. Allo stesso tempo Netflix flirta spesso e volentieri con la sua identità televisiva borderline, senza però mai arrischiarsi a fingersi ciò che sa di non essere, al contrario di Disney e Prime Video.
Cosa succederà quindi adesso alle identità editoriali dei canali lineari? HBO cambierà nome? Assisteremo a una “flixizzazione” del Nove e co.? Vedremo in chiaro su un canale dedicato le serie di Netflix prodotte dal 2012 in poi? Se in tutti gli altri ambiti abbiamo degli esempi a cui aggrapparci per fare previsioni, qui siamo di fronte a un terreno ancora non battuto, che vogliamo osservare con attenzione e un po’ di apprensione, visto le logiche spregiudicate che Discovery ha finora avuto nella gestione del proprio spazio sul lineare.
Restando nel contesto italiano, chi realmente deve trovare una via di salvezza in questo cambio di scenario è Sky. Si era già detto con l’arrivo di Paramount+ e lo si ribadisce adesso: svanita l’esclusiva del calcio e ormai sempre più imminente la perdita dei contenuti premium audiovisivi internazionali, la strada dell’unica pay tv italiana sembra sempre più segnata e indirizzata verso logiche di bundle che tengano stretti quegli abbonati che non mollano, loro malgrado, la presa.
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