Berlino – L’educazione sentimentale di un criminale
Quando La casa di carta andò in onda sulla rete spagnola Antena 3 tra maggio e novembre del 2017, fu un completo e devastante fiasco. Álex Pina si vide tagliare la sua serie da quelli che dovevano essere 18-21 episodi ad appena 15. Credendo che la banda del Professore non sarebbe mai più tornata per un altro colpo, si trovò costretto a chiudere la storia in modo sbrigativo e quanto più soddisfacente. Nel dicembre di quello stesso anno, Netflix ne comprò i diritti globali per lo streaming e la inserì sulla piattaforma senza troppa pubblicità. In appena quattro mesi, solo grazie al mero passaparola e a un formato più consono al binge watching (gli episodi sulla piattaforma sono 22 anziché 15 perché ritagliati, passando così da 70 minuti l’uno a 40 circa), La casa di carta si trasformò nella serie in lingua non inglese più vista di sempre sulla piattaforma. Un simile fenomeno culturale portò Netflix a rinnovare la serie e a firmare un contratto di esclusiva con Pina. Vi era solo un enorme problema: la storia era già conclusa e quello che si sarebbe trasformato nel personaggio più amato del pubblico, il cosidetto fan-favorite, era già morto.
Berlino/Andrés de Fonollosa (Pedro Alonso) ha rappresentato nella prima e nella seconda parte della serie uno degli antieroi più controversi della serialità più recente. In un mondo dove il pubblico è chiamato a tifare i criminali, lui appariva già oltre ogni possibile redenzione, seguendo costantemente uno schema di regole tutto suo e spesso controproducente per l’intera operazione, mentre sputava insulti misogini e piegava chiunque gli facesse comodo al suo volere. Nello stesso documentario La casa di carta: Il fenomeno, Pina spiegò che per molti Berlino era un personaggio di altri tempi e in quanto tale se ne sarebbe dovuto liberare. Il sacrificio avvenuto alla fine della seconda parte è tuttavia più da imputare al tentativo di chiudere una serie che sembrava non avere un futuro. Netflix non fece sparire Pedro Alonso, rendendolo una presenza costante con innumerevoli flashback, ma questo non bastava.

L’esistenza di Berlino, una serie prequel e spinoff completamente dedicata al carismatico antieroe disponibile da oggi 29 dicembre su Netflix, non sorprende. Si tratta forse di uno dei modi più trasparenti e logici di sfruttare ancora un’inaspettata “gallina dalle uova d’oro” per la piattaforma. A stupire è il modo in cui la serie travisa completamente il fascino di Berlino come personaggio, finendo per snaturarlo e soprattutto per ammaestrarlo. La sua cieca follia è sostituita da semplice strategia. Una volta che la serie svela il suo generale modus operandi, diventa anche facile prevedere la sua prossima mossa o capire che il pericolo annunciato non è davvero tale.
Scritta dallo stesso Àlex Pina con Esther Martínez Lobato, Berlino rappresenta un chiaro tentativo, oltre all’ennesima resurrezione di Berlino, di ricreare l’atmosfera della serie originale, sostituendo alla tensione della Zecca spagnola un’atmosfera più leggera, quasi da commedia romantica. Reduce dall’ennesimo divorzio, Andrés de Fonollosa riunisce una banda per rubare alcuni preziosi gioielli per un colpo del valore complessivo di 44 milioni di euro. Il suddetto gruppo di criminali, soprattutto per i quattro membri più giovani, è il risultato di un incrocio tra i precedenti ladri della serie originale e la stamina dei protagonisti di Élite. La timida ingegnera informatica Keila (Michelle Jenner), la misteriosa Cameron (Begoña Vargas), il mago dello scasso Roi (Julio Peña Fernàndez) e il tuttofare Bruce (Joel Sánchez) sono più interessati a perdersi in intrecci romantici confusi e tormentati da capricci adolescenziali.

Il furto in Berlino non è la trama, ma piuttosto un pretesto, la fonte dell’adrenalina che muove i personaggi, già schiavi di amori che sfuggono dal loro stesso controllo, per portarli al limite. Lo stesso Andrés, dopo aver conosciuto la solare Camile (Samantha Siqueiros), si trova a dover trovare un precario equilibrio tra i desideri del suo cuore e i piani per la rapina. Se ne La casa di carta il pubblico ha conosciuto un criminale psicopatico e ferale, qui scopre uno stratega stralunato che trova il suo charme solo nell’interpretazione sempre sicura di Pedro Alonso.
L’idea di Berlino come una commedia romantica con solo in secondo piano le attività criminali era sulla carta un’idea diversa per ripercorrere quegli universi tanto amati dai fan, staccandosi dal prodotto originale, il quale torna in forma di cameo anche musicali (la versione strumentale di Bella Ciao mentre Andrés parla del fratello è forse uno dei picchi autoreferenziali degli ultimi anni). Se l’amore c’è, spesso anche senza la necessaria chimica tra gli attori, manca l’aspetto più semplicemente comico che trapela solo raramente e con battute che potrebbero ricordare la tradizione dei cinepanettoni italiani.
Esempio necessario: verso la fine della stagione il personaggio di Damián (Tristán Ulloa), un uomo insicuro con evidenti problemi coniugali che non riesce ad affrontare serenamente, si trova in un camping per esigenze legate al piano, qui incontra una donna che sembra immediatamente attratta da lui. Lei lo descrive al primo incontro come un “uomo TT”. Alla richiesta di spiegazioni sull’espressione lei risponde “TT: Testosterone e Tenerezza”.

Il grande colpo da 44 milioni con cui Berlino riunisce la squadra è il teatro per colpi di scena prevedibili e per inganni trasparenti. Il continuo andirivieni tra mosse dei criminali e flashback esplicativi prosciuga il crimine di ogni suo pericolo, rendendolo una partita dalle mosse già annunciate per chiunque sia familiare con La casa di carta o con Lupin.
In un panorama mediale dove le property continuano a essere spremute finché il pubblico non vi si rivolta contro, Berlino non comprende il suo stesso potenziale, troppo impegnata in un gioco di genere e toni che la sceneggiatura stessa non riesce a gestire. Se Berlino rimane uno degli antieroi più sorprendenti degli ultimi anni, non sarebbe dispiaciuto vedere uno spinoff alla sua altezza, capace di elevare la performance del suo interprete e non affossarla tra personaggi capricciosi e una sceneggiatura esasperante.
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