
Più Libri Più Liberi 2021 | A proposito di sesso, relazioni, affettività: dialoghi sulla Sex Education
La location è la fiera nazionale della piccola e media editoria, Più Libri Più Liberi alla Nuvola, Roma. L’occasione è l’uscita, il 25 novembre, dell’audiolibro Sex Education: il viaggio (Emons), un sorta di spin-off della fortunata serie Netflix che racconta con grazia e umorismo le scoperte della sessualità di un gruppo di adolescenti (e non solo), raccontato dalla voce di Pietro Turano. L’attore romano, già tra i protagonisti di un’altra serie culto come SKAM Italia, attivista per i diritti LGBQT+ e vicepresidente di Arcigay Roma, ha chiacchierato con la scrittrice Licia Troisi di cosa vuol dire fare educazione sessuale in Italia, di quanto sia difficile recitare solo con la voce e del perché Gillian Anderson (che in Sex Education interpreta Jean, la mamma del protagonista Otis) sia la miglior attrice di sempre.

Il punto fondamentale Turano lo ha messo in chiaro già dall’inizio: «Ho adorato la serie, ma non posso dire che sia educazione sessuale, perché non si tratta di un compito che può essere affidato a un prodotto televisivo, per quanto ben fatto». Il grande merito di Sex Education (qui i nostri articoli a riguardo) è, semmai, quello di parlare sinceramente di sesso, di permettere a chi guarda di farsi delle domande e, di conseguenza, portare alla luce una grave mancanza di risposte da parte della società, a quanto pare non solo italiana. Certo, nel nostro paese la situazione è ancora più tragica, perché la questione non è solo trascurata; semplicemente non si pone, non esiste: il fatto che un adolescente abbia il diritto di conoscere cosa succede a sé stesso e agli altri dal punto di vista sessuale, affettivo, relazionale, è completamente ignorato da ogni istituzione che si auto definisce formativa. E allora, le domande legittime che scaturiscono quando si guarda un prodotto come quello di Netflix cadono nel vuoto di fronte a un sistema che non vuole offrire ai ragazzi e alle ragazze gli strumenti per accedere a certe informazioni e a certe consapevolezze.
«Sapere che cosa vuol dire soffrire di vaginismo, o realizzare che non si è gli unici al mondo a pensare di avere il pisello piccolo — spiega l’attore senza ombra di ironia — è un passaggio basilare da cui parte, o non parte, la vita sessuale di una persona di quell’età»; eppure, dati alla mano, gli adolescenti oggi «non scopano, o se scopano lo fanno male e smettono subito», nonostante la quantità enorme di informazioni a cui hanno accesso rispetto a chi frequentava le superiori anche solo cinque anni fa. Probabilmente è proprio questo accesso indiscriminato, non canalizzato e soprattutto non contestualizzato, a creare l’approccio meccanico e innaturale che hanno in tanti, giovani e non, di fronte al sesso: e con ciò non si vuole demonizzare la pornografia, che per molti ragazzi, a prescindere dall’orientamento sessuale, rappresenta l’unica finestra in cui veder rappresentate le proprie pulsioni, ma piuttosto l’assoluta assenza di spiegazioni o alternative a quello standard irrealistico e stereotipato.

Di certo non aiuta il fatto che, le rare volte in cui le associazioni di attivisti come quella di cui Pietro Turano fa parte, Gaycenter, riescono ad entrare nelle scuole (sempre su richiesta degli studenti, quasi mai sollecitati dai docenti e dal personale didattico) sia tassativamente proibito parlare di qualsiasi argomento che vada oltre la lotta all’omofobia; le questioni di genere, i rapporti sessuali, la prevenzione, sono banditi dalle scuole italiane perché «prerogativa delle famiglie», che spesso non hanno gli strumenti né l’interesse a discutere di determinati temi, o li conoscono ancora meno dei ragazzi: «questa retorica del “tocca alla famiglia” è pericolosa, oltre che ridicola, e va assolutamente scardinata», dato che la corretta informazione su temi che, come questi, hanno implicazioni in moltissimi livelli della società civile, è una prerogativa e un dovere dello stato.
E allora, un prodotto seriale come Sex Education o, se vogliamo lo stesso SKAM, è utile nella misura in cui ci permette di grattare la superficie, di guardare criticamente la cultura a cui ci riferiamo e in cui siamo immersi, riflettendo su noi stessi interrogandoci, prima ancora che sulle relazioni con gli altri, sul significato del nostro essere, o voler essere, o dover essere, qualcosa di preciso di fronte allo specchio prima e al mondo poi: intraprendere questo percorso di consapevolezza diventa vitale in un periodo come quello adolescenziale, che plasma irrimediabilmente l’identità e l’equilibrio che stabiliamo con il corpo che abitiamo e con chi quel corpo lo osserva e lo tocca dal di fuori.
Sono questioni, queste, che un ragazzo o una ragazza che ha 16 anni nel 2021 si pone con un livello di consapevolezza probabilmente anche maggiore di quanto facesse chi oggi ne ha venti o trenta: è triste, però, che riescano a farlo non per merito di, ma nonostante chi dovrebbe aiutarli a trovare gli strumenti per rispondere.

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Credits delle immagini con logo: Joyce Hueting
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