
Menus Plaisirs-Les Troisgros – La cucina come governo virtuoso | Venezia 80
Ai tempi dell’Ancien Regime, il “Menus Plaisirs” era la sezione della Maison du Roi deputata alla cura dei “petit plaisirs”, i piccoli vizi del sovrano, cerimonie e banchetti di natura anti-istituzionale. Per Frederick Wiseman, documentarista militante – Leone d’Oro alla carriera e Premio Oscar alla carriera -, il menus plaisir è l’impero culinario della famiglia Troisgros, il sistema alveare edificato, cella dopo cella, negli ultimi 90 anni da più di quattro generazioni di chef, maître de salle, albergatori, artigiani e contadini. Meritevole delle tre stelle Michelin più longeve nella storia del prezioso riconoscimento, la Maison Troisgros diventa oggetto dell’ultima fatica del registra ultranovantenne anche, e soprattutto, a fronte di una personale esperienza epifanica vissuta ai tempi del Covid. Dopo un lungo soggiorno presso la casa di un amico in Borgogna, Wiseman decide di sdebitarsi offrendo l’esperienza lunch-Troisgros, e significando in maniera concreta il sogno di documentare l’alta cucina con una proposta immediata al capofamiglia Michel. Dopo due anni di attesa e uno di lavorazione, Wiseman porta a Venezia quattro ore di documentario sull’alta cucina come climax di un’esperienza naturalistica molto più profonda. Un’elegia ambientale dal portato etico del tutto coerente con la sua longevissima storia autoriale.

È la seconda volta nel corso del 2023 che un documentario formato extra-large approda a un Festival dalla caratura internazionale. Dopo Youth (Spring) di Wang Bing in concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes, Menus Plaisirs – Les Troisgros a Venezia – ma fuori concorso – manifesta l’interesse maturo nei confronti di un cinema del reale di non facile fruizione, e l’impegno per garantire occasioni non periferiche di visione. Il film di Wiseman è infatti una totalizzante esperienza immersiva che fa vacillare i canoni tempo-intrattenimento del cinema per le sale, e così facendo alla visione si affiancano esperienze multisensoriali, extradiegetiche e accidentali. Al di là della materia oggetto del documentario, la durata in primis permette un’esperienza collettiva non riproducibile su piccolo schermo, e prendervi parte richiede un sacrificio in più: tappe alla toilette, momenti di noia, ma anche un’autentica resistenza spettatoriale.

Tutto ha inizio al mercato dove Cesar sceglie le materie prime per Le Bois sans feuille – primo dei locali Troisgors che Wiseman ci fa visitare – poi si passa alla stesura del menù, all’allestimento della sala, le prime preparazioni in cucina e via via lungo la giornata tipo della comunità che ruota attorno a Ouches, una campagna a pochi chilometri da Roanne. Le Bois sans Feuilles è a tutti gli effetti una centrale naturalistica ben oliata, un’acropoli autosufficiente insignita nel 2020 della Stella verde Michelin per le sue esemplari pratiche sostenibili. E lo stesso vale per la cucina in sé, dove la cura e l’attenzione per la biodiversità sposa l’equilibrio certosino all’interno degli spazi, tra personale, mansioni e costruzione dei piatti. Wiseman restituisce perfettamente la misura dello spirito Troisgros, costruendo quadri sempre perfettamente equilibrati nella dimensione collettiva e paritaria dei soggetti in camera. L’eleganza delle sequenze non va però confusa con il vezzo estetico, ma è piuttosto la restituzione politica di un modus operandi virtuoso. La camera di Wiseman, sempre silenziosa e quasi invisibile, ha in realtà una prospettiva attendista: la pazienza del guardare è sempre ripagata dall’emergere di un certo grado di verità sui fatti, con la progressiva comparsa delle interiorità e la libera espressione di un senso profondo prima gelosamente custodito. Silenzioso ma mai imparziale, il punto di vista di Wiseman emerge nelle scelte dei focus, e nelle pause che, tra una fase e l’altra dei lavori nei locali, il regista si prende per raggiungere i fornitori, gli agricoltori, il tempo che spende per restituire un piccolo universo reticolare di scambi reciproci.

Da Le Bois sans feuilles passiamo a La Colline du Colombier e a Le Central – concept e prezzi differenti per un piccolo impero dal sapore squisitamente democratico – osservando da vicino un’attività laboratoriale in 4k. L’aspetto più interessante del metodo wisemaniano sta nella scelta di non ridurre la sua attività documentaristica all’esclusivo tasting visivo dell’atto finale, il piatto, ma nella rivoluzione intrinseca al suo sguardo che permette di rielaborare il senso ultimo della cucina, e di rimando dell’alta cucina. Wiseman racconta il cibo nella sua storia formativa, invertendo la rotta che reifica i prodotti della terra in oggetti d’arte economicamente inaccessibili, e restituisce al nutrimento un valore biologico e etico primigenio. Instancabile osservatore delle istituzioni – principalmente americane – e della necessità per il cittadino di poterle osservare da vicino secondo una nuova formula di inclusione, non stupisce la scelta di inquadrare la cucina come nuova e urgente candidata, poiché nell’amministrazione del nutrimento e dell’ambiente come mercato a dimensione naturale riesce a intercettare la collettività e i modi di produzione in maniera diretta, rispondendo al casus belli della sopravvivenza per le generazioni future con un punto di vista provvidenziale.
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