
Blade, involontario patriarca
Prima regola degli anni novanta: non parlare mai degli anni novanta. Se la nostalgia anni ‘80 può vantare un apparato PR di tutto rispetto tra film, serie TV, playlist su Spotify e pure videogame retrò tornati di moda, l’ultimo decennio del ‘900 è come Mark “Rent Boy” Renton di Trainspotting: nessuno vuol farsi vedere assieme, eppure tutti lo cercano per lo sballo. Agli anni ‘90 puoi chiedere scene di sesso al limite della pornografia, yuppies alla ricerca della loro mascolinità, effetti visivi digitali esagerati e una certa anarchia nella scrittura che piano, piano sta tornando di moda. Gli anni ‘90 non sono una comfort zone ma una escape room.
Un film degli anni ‘90 non si guarda per stare bene insieme ma per potersi vantare di averlo visto e affermare che ci ha segnato in qualche modo. Lasciamo a La Storia Infinita il compito di crescerci ancora a cinquant’anni mentre ricorderemo con rispettosa gratitudine i traumi che Seven ha impresso nella nostra crescita, probabilmente arrestandola. Se è vero che ogni epoca ha i suoi eroi, allora gli eroi degli anni ‘90 sono quelli che hanno ucciso quasi definitivamente i super-eroi. Non stupisce allora che il patriarca di una stagione cinematografica e televisiva tutt’ora rampante (al netto delle sue innegabili crisi attuali), ovvero quella dei supereroi, sia un anti-eroe che ha marchiato a sangue l’immaginario della crisi dei valori tipico degli anni ‘90. Parliamo di Blade in quel Blade di Stephen Norrington, regista ad oggi scomparso dai radar, che spegne quest’anno le sue prime venticinque candeline.

Chi pensa che i vampiri siano una moda propria degli anni 2000, con i vari Twilight e The Vampire Diaries, ha ragione solo nella sua testa. L’epoca d’oro dei vampiri corrisponde grossomodo al primo centenario dal loro esordio nella letteratura di massa avvenuto con il Dracula letterario di Bram Stoker (1897). Ricordiamo tra i molti Dal tramonto all’alba (1996), Intervista col vampiro (1994), Vampiro a Brooklyn (1995) e ovviamente il Dracula di Coppola (1992). Non mancano poi incursioni televisive, una su tutte Buffy l’ammazzavampiri. Persino nei fumetti Bruce Wayne va incontro a un triste destino nella Trilogia del Batman Vampiro, scritta da Doug Moench (creatore di Moon Knight), nella quale diventa una vorace e incontrollata creatura della notte. Insomma i vampiri possedevano una parte importante dell’immaginario degli anni ‘90, vuoi per il loro fascino o per il modo in cui il gore bene si accompagnava alla disillusione globalista post caduta del muro. Blade, tuttavia, non voleva essere l’iniziatore della tradizione dei cinecomic. Nei loro ultimi anniversari abbiamo cercato di individuare i meriti e le innovazioni di film come X-Men o Spider-Man ma entrambi sono debitori all’ammazzavampiri di Casa Marvel. Solo che lui non lo voleva. Blade non era altro che l’ennesimo film sui vampiri con molto sangue, violenza e scene d’azione brillanti. Perché allora è diventato l’effettivo e involontario patriarca di un genere? E perché è così importante oggi rivederlo e rivalutarlo?

A dirla tutta il Blade cinematografico non è neanche basato sull’omonimo fumetto Marvel, non direttamente almeno. Marv Wolfman, creatore assieme al disegnatore Gene Colan del personaggio nel 1973, citò in giudizio la Marvel affermando che il suo lavoro presso la casa editrice non era su commissione ma un vero e proprio contributo artistico e creativo. In sostanza Wolfman cercò, forse anche legittimamente, di ricevere un riconoscimento economico maggiore in vista del film (una richiesta che accomuna molti disegnatori e sceneggiatori) ma tutto ciò che ottenne fu una menzione durante i titoli di testa che accreditava lui e Colan come i creatori del personaggio.
Ciò fu possibile anche grazie a un escamotage molto furbo che probabilmente convinse i giudici a favorire la Marvel. Il personaggio cinematografico non si basa direttamente sulla controparte cartacea, bensì su quella animata, in particolare la versione apparsa nella serie animata di Spider-Man nel 1996. È qui che per la prima volta il pubblico incontra un Blade armato di spada (e non più di paletti di frassino), in parte vampiro e in parte umano, costretto a iniettarsi un siero per tenere a freno la sua sete di sangue e sopratutto aiutato da un vecchio cacciatore di vampiri claudicante di nome Whistler (non ci credete? Guardate l’episodio). Una sorta di terreno di prova per il personaggio prima di approdare al cinema. In questo modo si poteva legittimamente affermare che il personaggio fosse sufficientemente diverso dalla prima apparizione e quindi i creatori non potevano più reclamarne la piena paternità.

Quando il film approdò due anni dopo al cinema la critica si divise tra chi lo elogiava come un film visionario e innovativo e chi invece lo bollò frettolosamente come l’ennesimo film action senza anima o sostanza. Per quanto sia importante rispettare i gusti di ognuno è innegabile che la storia abbia dato ragione ai primi. Blade è oggi un film di culto ma già all’epoca era all’avanguardia sotto molti aspetti. Fu il primo film ad esempio a vantare la tecnica del “bullet time”, ovvero quel particolare tipo di moviola che avrebbe reso celebre Keanu Reeves l’anno successivo mentre schiva i proiettili dell’Agente Smith in Matrix. Ancora più importante, Blade fu il primo film a inserire il mito dei vampiri in un’ottica più credibile rispetto ai prodotti di quel periodo. Non più creature sexy e tormentate della notte ma veri e proprio parassiti sociali, indistinguibili a tratti da una lobby segreta finanziaria o da un’associazione mafiosa. Il tutto sfruttando la tecnica narrativa del mondo sotto la superficie che ha reso celebri franchise e saghe come Harry Potter. Blade è anche un film di arti marziali e per questo dobbiamo ringraziare senza dubbio Wesley Snipes, vero artista marziale ad oggi messo al tappeto solo dagli esattori del fisco. È noto che prima di Blade, Snipes provò a realizzare un film su Black Panther senza successo ma non è difficile immaginare che la sua prestanza fisica avrebbe fatto risparmiare molto budget per la CGI, almeno durante le scene di lotta.

Più di ogni altro aspetto, a Blade va il merito di aver riassunto in sé molte istanze degli anni ‘90 in un amalgama riuscito di tecnica ed estetica. Blade suggellava un decennio marchiato a sangue. È stato il disincanto del disincanto. Un film underground che non si curava troppo degli incassi ma solo di stupire e perché no di inorridire un pubblico che pensava ingenuamente di averle viste tutte. Era un film che poggiava buona parte del suo fascino sulla prestanza degli attori in gioco, mentre la CGI serviva solo ad esaltare lo splatter. Ma il business è business e Blade riuscì anche in qualcosa che non gli interessava affatto riuscire. Spianare la strada a tutte le proprietà intellettuali Marvel al cinema. Così due anni dopo arrivò X-Men di Bryan Singer, due anni dopo ancora Spider-Man di Sam Raimi e il resto come si suol dire è storia.
Rivedere oggi Blade serve a ricordarci su cosa poggia il successo della Marvel al cinema, ovvero sul rischio. Blade ha infatti in comune con Guardiani della Galassia il fattore di alto rischio per dei cinecomic. Entrambi i film sono basati su albi e personaggi pressoché sconosciuti al grande pubblico e talvolta persino ai lettori dei fumetti ed entrambi sono stati fondamentali per consolidare il successo della Marvel sul grande schermo. Quel fattore di rischio è oggi obiettivamente meno presente nelle ultime produzioni Marvel Studios (in questo senso Secret Invasion rappresenta una sonora battuta d’arresto), perciò ci sentiamo di sperare che la Marvel, come avvenuto venticinque anni fa, possa ripartire proprio da Blade. Il reboot con Mahershala Ali, al momento in fase di indefinito stallo causa continue riscritture prima e sciopero di scrittori e attori poi, ha già ricevuto la benedizione del primo Blade e la maledizione di Deacon Frost. Sono entrambi segnali positivi, perché dimostrano che l’attenzione e le aspettative sul film sono alte e giustamente esigenti.

Cosa rimane oggi di quel Blade del 1998? Due sequel, uno ottimo l’altro dimenticabile, una serie TV discreta con Kirk Jones nel ruolo protagonista, due videogame per console rispettivamente del primo e del secondo capitolo ma più importantemente un personaggio che nei fumetti è ora senza dubbio debitore del suo successo in live-action. Non male per un comprimario di una testata horror di nicchia degli anni ‘70, scomparso negli anni ‘80 e rinato nei proibiti anni ‘90. In questi anni ‘20, ancora più di trent’anni fa le molteplici crisi che ci circondano sono potenzialmente un terreno di coltura perfetto per un nuovo Blade che non abbia paura di marchiare a sangue il castello fatato e poco sindacalizzato di casa Disney.
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