
I 3 dell’Operazione Drago – Come ti costruisco una leggenda
Ci voleva il centenario dei Warner Bros. Studios per riportare al cinema, a cinquant’anni dalla sua uscita e, soprattutto, a poche settimane dall’anniversario della morte del suo interprete principale, un film a suo modo emblematico come I 3 dell’Operazione Drago (Enter the Dragon). Un evento che conferma lo status di cult di un titolo entrato oramai prepotentemente nell’immaginario collettivo, esaltando, allo stesso tempo, la portata di un’opera capace di fotografare un momento di passaggio cruciale. Quello in cui Bruce Lee, da artista marziale e attore in ascesa, diventa definitivamente mito.
Uscita in America appena un mese dopo l’improvvisa morte del suo protagonista, la pellicola diretta da Robert Clouse porta con sé infatti un’inevitabile aura da film testamentario. Ultimo lascito di un artista instancabile e imprendibile senza il quale il cinema di genere e il mondo delle arti marziali non sarebbero stati gli stessi.

Non che I 3 dell’Operazione Drago sia un film eccezionale, sia chiaro. Forse addirittura nemmeno il migliore tra la manciata di titoli interpretati dalla star hongkonghese. Ma è a ogni modo indubbio che sia il film che ha definitivamente lanciato in occidente il culto di Bruce Lee. Facendosi, tra le altre cose, fonte di ispirazione per un intero immaginario a venire.
Prima produzione hollywoodiana (se si esclude un piccolo ruolo ne L’investigatore Marlowe di Paul Bogart) per l’attore dopo tre film girati in patria, la pellicola di Rober Clouse, prodotta dalla Warner assieme alla Concord Production di Raymond Chow e dello stesso Lee, ha infatti la felice intuizione di fondere assieme i film di James Bond con quelli di arti marziali. Da qui l’idea di un’isola-fortezza abitata da un criminale senza scrupoli (Shih Kien) e del torneo da questi organizzato per reclutare nuovi scagnozzi.

Una trovata semplice ma efficace, capace di dar vita a un film che, nel tentativo di rendere più appetibile il cinema di kung fu al pubblico occidentale, sarà di ispirazione per tanti prodotti a venire, compresi, ovviamente, i videogiochi. In un’escalation fatta di sfide e nemici sempre più potenti, scontri all’arma bianca e boss finali – un meccanismo che sarebbe diventato esplicito nell’incompiuto Game of Death – è infatti chiaro come I 3 dell’Operazione Drago sarà il punto di partenza non solo per i film di arti marziali in occidente del decennio successivo (quelli di Van Damme in primis) ma per l’intera ondata dei così detti “picchiaduro” (da Mortal Kombat a Tekken).
Non male come eredità per un’opera derivativa e lungi dall’essere perfetta. Un film che cavalca senza remore il filone dell’exploitation (ponendo persino le basi per la blaxploitation, con la figura del karateka nero di Jim Kelly) senza andare mai per il sottile, tra momenti grossolani e ritmo discontinuo.
Eppure, al di là di pecche strutturali evidenti – come uno scontro finale sottotono, lontano anni luce da quello con Chuck Norris nel precedente L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente – I 3 dell’Operazione Drago sa anche sorprendere con sequenze memorabili (il combattimento contro decine di scagnozzi nei sotterranei) e ben gestite (l’uso del ralenti, della figura intera e del piano sequenza per esaltare il gesto). Fino a dare vita a immagini destinate a diventare immediatamente iconiche, come quella di Lee graffiato e a torso nudo nel labirinto di specchi.

Inutile dire come siano proprio le scene con protagonista Lee quelle maggiormente riuscite. Nonostante la produzione gli affianchi Kelly e John Saxon, è proprio il Piccolo Drago a spiccare infatti sopra tutto e tutti. Del resto, il film è anche la continuazione del lavoro di “autopromozione” compiuto da Lee nel corso di tutta la sua vita. Un’opera in cui potersi ritagliare lo spazio necessario per parlare al pubblico del proprio approccio innovativo alle arti marziali. Anche a costo di minare l’economia stessa del racconto. Pur senza firmare la regia, Lee riesce infatti nell’impresa di mantenere una certa autonomia decisionale, curando le coreografie di tutti i combattimenti e contribuendo attivamente alla scrittura e ai dialoghi del suo personaggio.
Per tutte queste ragioni, I 3 dell’Operazione Drago resta forse il film più significativo di un genere che tocca qui il suo apice, prima di essere relegato nel territorio dei b movies e dei film di cassetta. Un’opera spartiacque sotto diversi punti di vista (primo film di Hollywood con un asiatico come protagonista, prima produzione occidentale di un film di kung fu). Apripista di un filone più che prolifico, nonché banco di prova per future stelle del genere (da Sammo Hung a Jackie Chan). Il film simbolo della fine di una stagione irripetibile e dell’inizio di una leggenda che il cinema non poteva più contenere.
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