
After Work – Ripensare l’etica del lavoro per assicurarsi la pienezza dell’esistenza | Biografilm 2023
Diretti sempre più verso una società postindustriale, in cui si prevede che l’automazione e l’intelligenza artificiale renderanno obsoleti milioni di posti di lavoro, nei prossimi decenni dovremo riconsiderare il ruolo del lavoro nelle nostre vite. Eppure, se l’idea di lavoro è legata a doppio filo all’idea di identità, rimane poco spazio per immaginare un’alternativa. Pur supponendo l’esistenza di un reddito di base che slegherebbe l’individuo dalla necessità di lavorare, finché restiamo nella convinzione che il lavoro faccia di noi ciò che siamo, avremo paura di sentirci irrilevanti. Dovremmo allora ridefinire il concetto di lavoro, immaginare e discutere alternative al paradigma attuale per aprire la strada a nuove prospettive sul significato del lavoro e del tempo libero, verso la costruzione di una società più equilibrata e soddisfacente per tuttə. È qui che si inserisce la riflessione di After Work, diretto dal regista italo-svedese Erik Gandini.
Il documentario si muove nel tempo e nello spazio, esplorando da una prospettiva umana ed esistenziale il presente e il futuro del lavoro. Indagando il lavoro in quanto idea, è funzionale la scelta di mostrare, con uno sguardo globale che fa la spola tra Corea del Sud, Stati Uniti, Kuwait e Italia, etiche del lavoro polarizzate, le quali fotografano il presente o offrono spunti di riflessione sulle possibilità di un mondo post-lavoro.

La prima inquadratura di After Work ci mostra la Statua del Tempo nel giardino monumentale di Valsanzibio, sotto la direzione della fotografia di Fredrik Wenzel. Essa raffigura Kronos, titano del Tempo: alato (perché “il tempo vola”), appoggiato alla clessidra e curvo sotto il peso degli anni, rappresentati da un macigno con dodici facce come i dodici mesi dell’anno. Questa immagine ci invita a godere di ogni singolo momento e a decidere del nostro tempo. Già in apertura – con la figura del giardiniere che, avendone la possibilità economica, lavora alla cura del giardino per scelta e non per necessità – Gandini sembra indicarci una strada alternativa al workaholism. Tuttavia, il suo obiettivo nel corso del documentario non è tanto prendere una posizione, quanto piuttosto esplorare il divenire del concetto di lavoro e invitare il pubblico a riflettere sul significato e sul peso che ciascuno di noi attribuisce ad esso nella propria vita. La ricerca di un più sano equilibrio tra vita privata e lavoro è d’altronde una tendenza già in corso, come registra ad esempio il fenomeno delle Grandi dimissioni.
La prima parte del documentario si concentra sul presente, mostrando gli aspetti più disfunzionali della cosiddetta “etica del lavoro”. Se la moderna etica del lavoro viene fatta risalire al calvinismo, non c’è Paese più adatto degli Stati Uniti per rappresentare lo stacanovismo performativo e le sue contraddizioni. Accompagnati dalla ripetizione ossessiva di “I’m so busy, I’m so busy, I’m so busy”, apprendiamo che i lavoratori statunitensi hanno rinunciato in un anno a 578 milioni di ore di ferie. In Corea del Sud il troppo lavoro è diventato una preoccupazione persino per il governo, che ha deciso di introdurre l’orario “PC off” così che i computer degli uffici si spengano automaticamente alle 18.00: a causa del rapporto di subordinazione e di timore verso i propri superiori, i dipendenti esiterebbero altrimenti a lasciare l’ufficio di propria iniziativa. Le autorità hanno inoltre realizzato degli spot allo scopo di incoraggiare i lavoratori a dedicare del tempo alla propria famiglia e a godersi momenti di svago. Può sembrare distopico dover ricorrere a immagini di questo tipo, eppure è difficile immaginare un’alternativa se mancano gli strumenti per farlo.

Con il progresso dell’automazione e delle intelligenze artificiali dovremo fare i conti con l’inevitabile senso di irrilevanza, dice lo storico Yuval Harari, secondo cui è “peggio essere irrilevanti che sfruttati”. Per Noam Chomsky la tecnologia, liberandoci da lavori alienanti e ripetitivi, potrebbe invece darci l’opportunità di utilizzare pienamente la nostra creatività. Perché questo sia possibile, tuttavia, dobbiamo affrancarci dall’idea che il lavoro sia il centro della vita. Da qui, Gandini va alla ricerca di alternative all’etica del lavoro.
In Kuwait, Paese molto ricco per via della presenza del petrolio, la costituzione garantisce il diritto al lavoro. Il settore pubblico si trova ad avere un’esuberanza di personale, al punto che le persone ricevono uno stipendio per andare in ufficio a fare… assolutamente niente. Laddove la ricchezza avrebbe potuto aprire alla possibilità di sperimentare una diversa gestione del tempo, il Kuwait diventa invece il simulacro del lavoro, come se non si potesse immaginare niente di diverso. E l’Italia? After Work lancia una provocazione nei confronti del fenomeno dei NEET (Not in Employment, Education or Training), di cui l’Italia ha il più alto tasso in Europa. I giovani che non lavorano e non studiano fungono in qualche modo da contraltare in quanto a gestione del tempo libero rispetto agli abitanti del Kuwait, costretti invece a interpretare una pantomima. Forse la soluzione sta nel riscoprire lo spazio dello svago? Allo stesso modo, la vita piena di un’ereditiera italiana suggerisce la possibilità di dedicarsi attivamente alle proprie passioni, senza provare noia o sentirsi irrilevanti, in un’esistenza fatta esclusivamente di tempo libero dal lavoro. La vita dei “super ricchi” di After Work apre alla prospettiva che un reddito di base universale non ci renderebbe necessariamente pigri, ma potrebbe invece darci la libertà di scegliere chi essere e cosa fare del nostro tempo. Gandini delinea quindi un percorso di possibili scenari nel mondo del post-lavoro, ma lascia la questione aperta allo spettatore: e tu, cosa faresti se potessi non lavorare?
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