
15 anni di Mamma Mia! — Perché amiamo così tanto i musical?
È un weekend di luglio. Al cinema stanno per uscire due film dalle estetiche opposte, annunciati già da molto tempo, che con ogni probabilità risulteranno campioni di incassi e definiranno il proprio genere. Uno è oscuro, tenebroso, contiene una forte critica alla società ed è diretto da Christopher Nolan; l’altro è un musical sfarzoso, colorato, allegro, con una protagonista bionda diretta da una prestigiosa regista.
La situazione potrebbe essere quella di un qualunque cinema americano odierno, con l’hype alle stelle per l’imminente uscita di Oppenheimer (Christopher Nolan, 2023) e Barbie (Greta Gerwig, 2023). Invece, quasi 15 anni prima, nel 2008, la stessa situazione prende corpo con l’uscita de Il Cavaliere Oscuro (The Dark Knight, Christopher Nolan, 2008) e Mamma Mia! (Phyllida Lloyd, 2008): le coincidenze sono troppe per non considerare questo caso interessante.

Sul Cavaliere Oscuro è stata ormai scritta e detta qualsiasi cosa, perciò è più giusto concentrarsi su Mamma Mia!, un jukebox musical che è rimasto nella memoria collettiva dalla sua rappresentazione nel West End alla sua trasposizione cinematografica, complici le canzoni degli ABBA e gli incassi che al cinema l’hanno portato nei libri dei record (infatti, Mamma Mia! risulta essere il musical che ha incassato di più nella storia del cinema al momento della sua uscita).
Ma cos’è un jukebox musical? Con quest’espressione si intende quel tipo di musical (teatrale o filmico) in cui la colonna sonora è composta da un repertorio di canzoni popolari o scritte in un primo tempo, piuttosto che da brani originali composti nello specifico; è una delle tante ramificazioni del genere che rende un po’ più labili i confini del musical hollywoodiano (e precedentemente broadwayano). Il primo “musical” che può essere associato a questa definizione è L’opera del mendicante (The Beggar’s Opera) di John Gay, spettacolo satirico del 1728 che usa ballate popolari al suo interno e che per questo motivo viene classificato come ballad opera, raggiungendo la sua vera popolarità con la riscrittura che ne fa Bertolt Brecht ne L’opera da tre soldi, esattamente duecento anni dopo, nel 1928.

Nel cinema, alcuni tra i musical più amati per le più svariate ragioni rientrano nella definizione di jukebox musical: basti pensare ai due capolavori che hanno portato Gene Kelly sull’Olimpo dei divi di Hollywood, Un americano a Parigi (An American in Paris, Vincente Minnelli, 1951) e Cantando sotto la pioggia (Singin’ in the Rain, Stanley Donen e Gene Kelly, 1952), il cui repertorio musicale viene recuperato rispettivamente da George Gershwin e dalla collaborazione di Arthur Freed e Nacio Herb Brown.
Con l’evoluzione della musica popolare in ciò che oggi possiamo definire genere pop, i musical hanno integrato al loro interno canzoni moderne, dando loro non solo un’ulteriore popolarità, ma anche una vera e propria funzione narrativa: le canzoni sono incastrate talmente bene nella struttura del musical di cui fanno parte, che si potrebbe dire che siano state scritte apposta anche se appartengono a ere o contesti diversi, come nel caso di Moulin Rouge! (Baz Luhrmann, 2001), o Rock of Ages (Adam Shankman, 2012).
La popolarità delle canzoni, quindi, contribuisce in gran parte alla popolarità del musical stesso, ma Mamma Mia! ha avuto un impatto diverso sul grande pubblico. La trama vede Sophie (Amanda Seyfried), la protagonista, alla ricerca dell’uomo che l’ha concepita tanti anni prima con Donna (Meryl Streep in stato di grazia), sua madre: alla fine, non vengono generati conflitti enormi all’interno della narrazione e si arriva a un inevitabile happy ending in cui alla protagonista non importa più di sapere chi sia il suo vero padre, ma che la madre rimanga al suo fianco qualunque cosa accada (specialmente come si vede nella scena di Slipping Through My Fingers, dove viene effettivamente a galla il rimpianto di Donna, che vede Sophie crescere troppo in fretta).

La semplicità della storia, che non lascia spazio a tensioni, viene quindi accompagnata da una regia che permette agli stessi attori di non prendersi troppo sul serio: Donna è un’icona di intraprendenza indipendentemente dai suoi flirt, le sue due amiche Tanya e Rosie vivono per supportarla pur mantenendo le loro individualità e i suoi tre pretendenti Bill, Sam e Harry si rivelano essere solo tre personaggi secondari, tre uomini che vengono a contatto con una realtà a cui non appartengono e che finiscono per accettare per il bene della loro (probabile) figlia.
L’elefante (glitterato) nella stanza, tuttavia, è la componente sonora: le canzoni degli ABBA hanno segnato i favolosi anni ’70, pieni di eccessi e lustrini. È ancora impossibile resistere a brani come Gimme Gimme Gimme (A Man After Midnight) o The Winner Takes It All, sia per ballare o per riflettere drammaticamente sulla propria vita. Gli ABBA hanno una canzone per ogni umore, per ogni sensazione o situazione della quotidianità, dal bisogno di soldi (come quando Donna parla delle condizioni del suo hotel sulle note di Money, Money, Money) ai ricordi passati di un’estate d’amore (come quando Bill, Sam e Harry ricordano a loro modo con Sophie la storia che hanno avuto con sua madre in Our Last Summer): il loro repertorio musicale racchiude quindi una componente di versatilità che li rende così apprezzati dal grande pubblico ancora oggi.

Quest’elemento di adattabilità si estende inoltre alla fanbase appartenente alla comunità LGBTQ+: secondo un articolo del Los Angeles Times infatti, il pubblico queer ha contribuito in gran parte al successo della band, complici le discoteche (luogo di ritrovo per una minoranza che aveva appena iniziato a far sentire la propria voce, non è passato molto tempo dai moti di Stonewall del 1969) e i remix (accidentali) di Lay All Your Love on Me, su cui si può ballare senza sentire la pressione dei pregiudizi. La ciliegina sulla torta di questo fenomeno può essere trovata proprio nello stesso musical: Harry, il personaggio interpretato da Colin Firth, alla fine fa coming out come omosessuale, rendendosi motivo di orgoglio e rappresentazione per tutto il pubblico queer.
Dopotutto, lo stesso articolo conferma che «[…] ABBA is to many gay fans what the Rolling Stones are to straights — archetypes whose appeal transcends time, place and age». È per questa ragione che, anche dopo 15 anni, Mamma Mia! si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di culto, un evento festoso che a ogni visione non può trasmettere altro che spensieratezza.
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