
Silent Land – Storia di una vacanza | Biografilm 2023
Nel contesto bolognese di Biografilm 2023, festival dedicato alla docufiction e alle storie di vita viene concesso molto spazio alle tematiche del lavoro e del post-lavoro (vedi After Work di Erik Gandini, uno dei titoli di punta del festival). D’altra parte, non è un caso che un gran numero di film in programma porti i colori dei paesi scandinavi, noti per avere da sempre un’invidiabile attenzione alle condizioni dei lavoratori. E da questo punto di vista ha perfettamente senso la presenza di Silent Land, opera prima della regista polacca Aga Woszczynska, presentato al Biografilm nella sezione degli Eventi Speciali.

Silent Land racconta, infatti, la storia di una ormai-non-più-così-tanto giovane coppia polacca che si trova in vacanza su un’isola del sud Italia. Essendo alla ricerca di pace e relax, hanno prenotato una grande villa silenziosa e immersa nel verde, ma al loro arrivo notano che la piscina è rotta e senz’acqua. Il proprietario del posto fa notare che sull’isola c’è un grosso problema di siccità, ma i due insistono a tal punto che è costretto a risolvere immediatamente il problema. Manda così, il giorno dopo, un operaio immigrato e irregolare ad aggiustare la piscina. I lavori proseguono, ma l’operaio cade e muore in un’incidente: i dubbi riguardo a una tragedia che si poteva sventare, e la nevrosi di una coppia in crisi, porteranno la vacanza a trasformarsi pian piano in un incubo.

Silent Land si apre subito mostrando le evidenti contraddizioni dei suoi protagonisti: il silenzio è palpabile, perché il becero razzismo represso della coppia e del contesto italiano, dove il tema dell’immigrazione permane costantemente, risuona in tutto il film quasi come se fosse il sintomo di una malattia sociale diffusa. Il film è freddo e caldo allo stesso tempo. Da una parte, come la tradizione di un certo cinema nordeuropeo vuole, la regia fredda, apatica e diretta, dall’altra il clima caldo e accogliente della macchia mediterranea. Un clima che invade l’isola, con il risultato di renderla, oltre che assolata, torbida, quasi come un miraggio confuso di una realtà avulsa. Dalla vacanza si arriva così all’incubo, dal ventilato panorama costiero all’afosa gabbia mentale della coppia, incarnata nell’enorme scheletro blu della piscina vuota.
La mano della regista polacca, d’altra parte, poco esperta ma interessante, è fondamentale per risvegliare epifanicamente la coscienza dello spettatore, soprattutto nei punti nevralgici. La morte del clandestino è una sequenza più che esemplare: la scena è improvvisa, scoordinata con il resto del film, è come un salto atemporale verso un risveglio coscienzioso (di un popolo o solo di una coppia?). È tutta questione di ritmo dopotutto, e quello di Silent Land è segnato da frammenti, tagli aperti, che rompono il muro del silenzio.
Attraverso queste scene clou, Woszczynska cattura l’attenzione, obbliga a indignarsi, soprattutto rivolgendosi a quella maggioranza silenziosa portatrice di uno sguardo generalista e liquido di chi ormai è abituato a perdersi ogni sorta di dettaglio. Insomma, non rimane spazio all’indefinito: Silent Land è una terra dormiente e placida in cui la verità viene prima di tutto mostrata nella crudezza dei suoi istanti (la morte dell’operaio, l’indifferenza sui volti della coppia), non nascosta o filtrata da premesse ideologiche. La regista polacca dirige in fondo un film che è drammatico, ma anche d’azione, comico, grottesco. Un pulp minimalista con tratti neorealisti.

Solo applausi fin qui, tuttavia è nella sua veemenza politicheggiante che Silent Land fallisce. Da un Ken Loach impegnato (gli sguardi giudicanti della coppia nei confronti dell’immigrato, il menefreghismo di un proprietario arrivista, la morte sul lavoro) si passa a una spompata ostentazione di tutto quello su cui il film si basa, ovvero il silenzio.
Dal silenzio della complicità sistemica contro l’accoglienza dei migranti, si passa al mutismo selettivo dei personaggi, dove la loro psicosi mette in risalto un vuoto che prima di tutto è nella sceneggiatura piuttosto che nella realtà narrata. È vero che i toni caldi e accesi della fotografia (a opera di Bartosz Swiniarski), stonando con la pelle opaca e chiarissima dei turisti polacchi, mettono in risalto tutto il disagio che stanno vivendo. Un po’ come se Woszczynska, consapevole del proprio mezzo, abbia capito le potenzialità del termine esposizione, ma la dinamicità del racconto è disunita (grazie, Sorrentino), letargica, vigliacca addirittura.
Da un voler mostrare tutto e subito, si è passati a rapide conclusioni distorte che tagliano con l’accetta il racconto. Per non fraintendere: il film è coraggioso e deciso a mostrare una realtà tutt’altro che sotto i riflettori (soprattutto qui in Italia). Tuttavia, convince poco il fatto che una storia così universale e in grado di narrare la scomoda verità si trasformi nell’ennesima fiction psicologica introiettiva. Tanto rumore per nulla.
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