
Tell Me Iggy – Sull’impossibilità del mito | Biografilm 2023
Talmente libero da sfuggire sempre da qualsiasi tentativo di mitizzazione, James Ostenberg, in arte Iggy Pop, rimane tuttora oggetto di ammirazione e di mistero. Jim Jarmush aveva capito che la rock star di Detroit vive e vivrà sempre in una dimensione a parte, fuori da ogni canone prestabilito del divo. Al contrario, il nuovo documentario di Sophie Blondy, Tell me Iggy, compie l’errore di seguire la strada opposta.
In meno di 60 minuti si cerca di raccontare l’influenza che Iggy ha avuto su un ristretto gruppo di amici e conoscenti (tra cui Denis Levant, Johnny Depp, Debbie Harry), per mostrare le diverse sfaccettature della figura dell’iguana del rock. Nelle intenzioni, si può intuire il disegno di restituire un ritratto intimo e sincero, che forse esiste, ma che rimane coperto da una profonda superficialità. Ogni intervento cerca di restituire una prospettiva unica su Iggy Pop, d’illuminare la sua figura da un angolo diverso. Si parla del lato selvaggio delle sue performance, della sua integrità, della sua fragilità inconfessabile. Eppure, pochi sono i commenti che vanno oltre il classico commento celebrativo della rock star.

Lo stesso Iggy, infatti, sembra parlare di se stesso meglio di chiunque altro, come un oracolo del suo stesso destino. Addirittura, troviamo un quadro di Gesù nella sua casa a Miami. Egli è il primo a comprendere che la sua carriera è stata grande proprio perché mai alla ricerca della grandezza. La sua parabola è stata segnata, al contrario, dal bisogno profondamente febbrile di vivere, con la conseguenza di uscire sempre fuori da ogni schema. Tuttavia, e in questo Iggy è capace di riconoscere la propria grandezza, la voglia di uscire dagli schemi non è mai stata programmatica, o autoreferenziale. Essa è una naturale conseguenza del suo vitalismo: furioso ma mai annichilente. Iggy Pop è punk anche quando guida una Rolls-Royce sulle strade di Miami.
Il problema del film, appunto, è limitare la sua figura a quella di un semplice anticonformista, di rinchiuderlo nei canoni della rockstar maledetta. La varietà dei filmati di repertorio, che spaziano dalla pellicola al digitale, dalle panoramiche con i droni alle live su Youtube, per lo più mostrano lo stesso tipo di esibizioni, le stesse mosse sul palco, che sembrano non essere mai cambiate in 50 anni di carriera. Se l’intenzione è quella di mostrare l’energia quasi mistica (Iggy viene definito un dio greco in uno degli interventi) che mai ha abbandonato il cantante, il risultato è invece un pericoloso schematismo. Le interviste, che mano a mano diventano sempre più una variazione sul medesimo insieme di complimenti, aumentano ulteriormente questo pericolo.

Forse è proprio l’amicizia che lega Iggy Pop alla regista a rendere Tell Me Iggy comunque interessante in certi aspetti. Se la riflessione sulla sua carriera non è particolarmente originale, un appassionato può comunque scoprire come diversi artisti e amici abbiano reintegrato e reinterpretato la figura di Iggy. In particolare, Denis Levant, che recita con lui in alcune sequenze oniriche, riesce a creare una grande connessione tra la sua arte recitativa e quella del cantante. L’universalità e la malleabilità di Iggy Pop come attore, come performance artist in generale, rimane probabilmente l’aspetto meglio affrontato in questo documentario.
Tell Me Iggy rimane quindi un piccolo, forse troppo, tassello che compone il mistero di Iggy Pop. Tuttavia, nell’incapacità di scavare a fondo nella sua figura, il film contiene qualche episodio di sincero intimismo.
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