
Da Lynchville a Oz – Un viaggio cinefilo e teorico
Fra gli autori più amati del cinema contemporaneo, David Lynch è senza dubbio uno di quelli (forse quello) ancora capaci di produrre discorsività interessanti. Le sue opere, da quelle ormai già ampiamente storicizzate sino alle più recenti (si pensi in particolare a Twin Peaks: The Return), sono dei veri e propri dispositivi ermeneutici, con i quali si sono confrontati negli anni sostanzialmente tutti gli approcci di analisi al testo cinematografico (dalla filmologia alla feminist film theory). La grandezza di Lynch sta insomma nell’aver dato vita a un vero e proprio universo, un mondo di personaggi iconici, topoi che si rincorrono in continuazione senza mai risolversi, problemi interpretativi destinati a rimanere insoluti.

Parlare di mondo non è fuori luogo per un autore come Lynch, che – pur mantenendo ben salda l’autonomia dei singoli testi – è stato capace di costruire una vera e propria cartografia dell’immaginario americano. Da questo punto di vista è già assolutamente esemplare l’incipit di Velluto blu, dove le immagini da cartolina di una suburbia idealizzata rivelano immediatamente il lato oscuro di una provincia che si scopre (attraverso il viaggio iniziatico del protagonista Jeffrey) notturna e abitata dal male. Quella stessa provincia tornerà, delocalizzata in un altrove al contempo maniacalmente definito ed assolutamente vago, nella cittadina di Twin Peaks, dove ancora una volta sarà il lato oscuro del sogno americano ad emergere con prepotenza (ma questa, come sappiamo, è
solo una metà – forse un quarto – della storia). E ugualmente non si possono dimenticare i lavori più recenti come Strade perdute, Inland Empire e soprattutto Mulholland Drive, dove Lynch porta al parossismo la confusione dei registri e raggiunge una complessità tale da diventare spesso inestricabile.
Sembra di trovarsi ad anni luce di distanza dai meccanismi tutto sommato semplici e prevedibili (ma non per questo non raffinati) del cinema hollywoodiano classico, di quella grande stagione fondativa del medium che è stato (per citare un testo che ha fatto scuola) “l’occhio del Novecento”. Non c’è film meno lynchiano de Il mago di Oz, musical (ma è davvero solo un musical?) di Victor Fleming del 1939. Eppure, questa è la sfida dell’intrigante Lynch/Oz (Alexandre O. Philippe, 2022), forse le cose non stanno esattamente così.

Guardare questo strano film al confine con il videosaggio è un po’ come trovarsi ad essere uno dei protagonisti de La lettera rubata: tutto era chiaro, tutti gli elementi erano davanti ai nostri occhi, eppure non ce ne siamo accorti. Attraverso una struttura a capitoli e procedendo per nuclei tematici e affiancamenti di immagini lynchane e non, Lynch/Oz ha la pretesa (e l’ambizione di riuscire a soddisfarla) di mostrarci quanto importante sia stato il film di Fleming per l’opera di Lynch nel suo complesso. Non si tratta soltanto di censire le presenze di Oz nel mondo di Lynch (impresa che sarebbe già di per sé interessante e forse sufficientemente meritoria), ma più in generale di mostrare come il film di Fleming abbia agito come una matrice latente, in grado di influenzare (a volte in modo evidente, altre volte seguendo traiettorie carsiche e imprevedibili) gli abitanti di questa immaginaria Lynchville.
Quello che Philippe imposta nel suo film-saggio è insomma un confronto a due tempi. Da una parte, riattraversare Lynch attraverso il prisma di Fleming ci permette di vedere sotto una nuova luce alcuni fra i passaggi più misteriosi e interessanti della sua filmografia, che in effetti ci appare colma di momenti illusivi, magici, disturbanti. Dall’altra, tornare a Il mago di Oz dopo essersi smarriti nelle strade della provincia americana con Lynch significa guardare sotto la superficie delle cose, scorgere – sotto la superficie liscia e zuccherosa delle immagini e compiendo un movimento assolutamente lynchano – il resto osceno di un mondo che si sforza di purgarlo.

Lo sguardo del regista di Lynch/Oz è senza dubbio cinefilo (sono infatti numerose le associazioni sorprendenti che Philippe propone, rovesciando gerarchie e mettendo in comunicazione cose lontanissime fra loro), ma ancor prima teorico. La messa in comunicazione delle immagini è la precondizione per l’elaborazione di un pensiero che non solo si applica ad esse ma soprattutto sorge dalla loro reciproca contiguità. Formalmente si tratta di un esempio felice di come la forma del video-saggio possa essere ulteriormente elaborata sino a farsi lungometraggio e diventare veicolo di un pensiero per immagini. Spazio emergente della critica cinematografica contemporanea già ampiamente elaborato in sede teorica da una letteratura sempre più consistente, il video-saggio
manifesta l’ambizione – nel caso di Lynch/Oz – di farsi spazio teorico.
Philippe è dunque riuscito nel compito non facile di rendere non solo interessante ma assolutamente fruibile un formato a cui è spesso difficile approcciarsi per il pubblico generalista; la scelta di dedicarsi a Lynch sotto una nuova luce è da questo punto di vista assolutamente fortunata, perché sfrutta il fascino misterioso di un’opera al contempo complessa, estremamente produttiva in termini di discorsività e mai riducibile a spiegazioni semplici.
Lynch/Oz sarà al cinema come evento speciale dal 15 al 17 maggio 2023, qui la locandina ufficiale

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