
Bob Dylan – Retrospectrum | Una veduta dell’America
Ha lasciato sorpresi i più la scoperta che Bob Dylan – icona di (più di) una rivoluzione culturale e sociale attraverso la musica e le parole – sia anche un pittore dalla mano e dal gusto decisamente non trascurabili. La sorpresa deriva sostanzialmente dall’idea tutta contemporanea che chi eccelle in qualcosa (e Dylan è decisamente tra i più titolati a questo termine) difficilmente ha tempo, interesse o anche solo capacità per altro, ma come tanti luoghi comuni del nostro tempo, anche questo sta decisamente stretto a Bob, che nella sua lunghissima e sfaccettata carriera ha sostanzialmente toccato tutte le arti oltre a musica e letteratura, passando dal teatro al cinema, senza trascurare disegno, pittura e scultura, realizzando opere variegate quanto lo è il suo repertorio di autore e musicista, con però una costante: l’America.

La mostra Retrospectrum – arrivata anche al Maxxi di Roma – vuole restituire al massimo l’ampiezza di sguardo di Bob Dylan sull’arte visiva, organizzando un percorso espositivo suddiviso in tappe organiche e ben strutturate che trasportano il visitatore attraverso differenti periodi e progetti artistici del menestrello di Duluth, dai piccoli disegni a penna degli anni ’70 fino a vedute mozzafiato di paesaggi americani dall’inafferrabile vastità. Passeggiando per i corridoi del Maxxi appare evidente una caratteristica di Dylan che spesso si dimentica, ma che Retrospectrum mostra chiaramente: lui non si ferma mai, porta avanti dal 1989 una tournée che tocca il centinaio di date l’anno in tutto il mondo, di cui un buon terzo negli USA, cosicché pochi altri possono dire di aver visitato il mondo e specialmente l’America come lo continua a fare Bob. Il suo è uno sguardo unico tanto quanto lo è la sua voce: «Some people they tell me/I got the blood of the land in my voice», canta in I Feel a Change Comin’ On e lo stesso possiamo dire delle sue pennellate: decise, ruvide, eppure capaci di illuminare squarci immensi sul paesaggio urbano e umano degli Stati Uniti.

Le otto sezioni di Retrospectrum – che non puntano a restituire un percorso cronologico, ma una totalità in vivo dialogo – se sorprendono lo spettatore meno esperto per il semplice fatto di confermare il gusto e la capacità pittorica di Dylan, regalano sorprese anche al dylaniano più accanito, che vi trova oggetti leggendari come i mitici cancelli che Bob realizza e rende immagine della sua linea di whiskey o i testi trascritti a mano dal poeta per l’iniziativa Mondo Scripto, che presentano alcune variazioni rispetto alle versioni più conosciute e sono corredate da un’illustrazione spesso in grado di tirar fuori l’anima oscura della canzone. Mentre saranno più familiari le opache e mistiche finestre su New Orleans o gli ormai classici lavori tratti dalla Drawn Blank Series, la raccolta di dipinti più volte ripresa da Dylan negli anni.

E se si rimane senza fiato di fronte alle sconfinate grandi tele della serie The Beaten Path, il massimo di raffinatezza della mostra viene raggiunto dai dipinti Deep Focus, realizzati pensando all’omonima tecnica cinematografica, con inquadrature che sono perfetti fotogrammi, frammenti di racconti con tutti i punti a fuoco, esattamente come alcune delle più affascinanti canzoni di Dylan. In perfetto accordo con il suo radicarsi nell’immaginario americano, infatti, lo sguardo di Bob è fortemente filmico e non lo nasconde nemmeno in opere più azzardate e densissimamente narrative come la scultura Gangster Doors, un esperimento estremo di discorsività mitologica strettamente fondata nel vissuto narrativo e filmico tanto di Dylan quanto di chi vi si trova davanti. E il tributo all’audiovisivo si trova pienamente ripagato dall’esposizione dei magnifici cartelli che sono al centro del videoclip (primo della Storia) di Subterranean Homesick Blues ridisegnati e autografati dall’autore.


Visitare Retrospectrum è scoprire un lato di Bob Dylan sconosciuto ai più ed evidentemente capace di sorprendere ogni pubblico – la mostra è stata l’antologica con più biglietti staccati per il Maxxi – ed è anche assistere a uno sguardo sull’America autenticamente inimitabile: nessuno come Dylan conosce quei luoghi, quei linguaggi, quell’immaginario, nessuno come lui ha saputo diventarne parte, radicarsi nel terreno di chi l’America l’ha plasmata. Grazie a Retrospectrum – mostra finemente e consapevolmente curata – la poetica di Dylan acquisisce un ulteriore gradino di completezza, attraverso immagini che rifrangono la forza del fiume di canzoni che da oltre sessant’anni Bob continua a scrivere, riscrivere, trasformare e far vivere: «Someday, everything is gonna be diff’rent/When I paint my masterpiece».

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