
The Last of Us – Il Posto delle Fragole
The last of us ha incantato e convinto (quasi) tutti, cogliendo la pesante eredità dell’omonimo videogioco di culto sviluppato da Naughty Dog, entrato nella storia già a un mese dalla sua uscita nel 2013. Con più di 256 premi portati a casa, il videogioco The last of us si è immediatamente distinto per la minuziosa cura dei dettagli narrativi e la qualità del charachter design, alzando inequivocabilmente il livello per ogni gioco a venire. L’adattamento televisivo del capolavoro videoludico, curato da Craig Mazin (sceneggiatore di Chernobyl) e Neil Druckmann (co-presidente della Naughty Dog, ideatore del gioco, produttore esecutivo dell’adattamento televisivo) si è assicurato 4.7 milioni di spettatori per il primo episodio della serie, Quando sei perso nell’oscurità.
Il terzo episodio, Molto, molto tempo, – sceneggiato da Craig Mazin e diretto da Peter Hoar – non è stato risparmiato da review bombing omofobo, mascherato da disappunto per la mancata fedeltà verso il gioco. In attesa del secondo capitolo della serie, possiamo soffermarci ad apprezzare questo gioiello di rara bellezza, che non potrebbe essere più lontano dalla solita storia post-apocalittica di zombie.

Gli appassionati del gioco sanno bene quanto la serie si differenzi nella narrazione del personaggio di Bill e della sua storia d’amore con Frank, originariamente solo implicata e non particolarmente impattante per il giocatore, lasciato libero di trovare o meno gli indizi messi a sua disposizione. Il Bill del gioco è un uomo burbero e fortemente paranoico che ha già trovato e perso l’amore, Frank, il suo partner, l’ha lasciato per fuggire altrove. Ellie, Joel e Bill sono assaliti dagli infetti, fino al ritrovamento del corpo di Frank, impiccatosi dopo essere stato morso durante la fuga. Una linea narrativa così nera e cinica è funzionale al gameplay ed offre al giocatore la possibilità di esplorare la città di Bill uccidendo infetti, rifornendosi di risorse e prendendo la macchina per cercare le Luci.
La rischiosa operazione di Mazin, Druckmann e Hoar è stata quella di concentrarsi sulla relazione tra due personaggi marginali di cui uno conosciuto solo da morto. I creatori hanno scelto di esplorare le possibilità di una connessione speciale, realmente esistita nell’universo del gioco (se c’è stata una rottura c’è stata anche una relazione da rompere) e di provare a rispondere a una domanda: Cosa sarebbe successo se Bill e Frank fossero rimasti insieme?

Prima dell’arrivo di Frank (Murray Bartlett, folgorante protagonista della prima stagione di The White Lotus), Bill (Nick Offerman) vive un’esistenza ultra protetta. Il suo mondo interiore si riflette all’esterno, nelle trappole disseminate per la città di Lincoln, ingegnosamente fabbricate per tenere lontani infetti e ospiti indesiderati. Il Bill della serie tv può sembrare superficialmente felice e soddisfatto, ha tutto ciò di cui ha bisogno per sopravvivere e pare perfettamente a suo agio nella solitudine. Da cosa si nasconde? Che cosa vuole evitare? Oltre alle paranoie ipocondriache (più che giustificate) date dalla paura di abbracciare un destino miserabile da infetto, Bill nutre un vero odio per le persone. Vuole tenere tutti lontano, come per celare qualcosa che non vuole mostrare a nessuno, nemmeno a sé stesso.
L’entrata in scena di Frank crea un cortocircuito nella sua bolla sicura e mette in moto un meccanismo del tutto inaspettato per Bill, che sulle note di Long, long time di Linda Ronstadt si apre alla possibilità del nuovo. Il risultato è un brillante ed emozionante flashback che ci mostra la rinascita di un uomo di mezza età che impara ad amare, ad essere vulnerabile, a provare speranza. Bill trova un motivo per vivere grazie al suo rapporto con Frank.

La vera sfida per i creatori dell’adattamento televisivo di The Last of Us stava proprio nella necessità di rendere omaggio a un’opera di culto senza cadere nella trappola del remake, sfruttando al massimo il formato seriale ed i suoi codici. Come dichiarato dallo stesso Peter Hoar, realizzare la copia esatta del gioco non avrebbe fatto altro che frustrare gli spettatori, sottolineando il limite della visione passiva derivata dall’ovvia impossibilità di giocare: «If we’d done an exact replication, it would have been boring! You would’ve been going, “I want to fight! Why can’t I fight!”. Plus – the game already exists! It’s even been remastered!» L’apertura al cambiamento ha invece lasciato spazio a nuove opportunità, valorizzando la linea narrativa già esistente e suggerita dal gioco, espandendola e modellandola come plastilina. Questa rilettura ha permesso ad ogni tipo di spettatore di avvicinarsi a Bill e Frank offrendo la rappresentazione – ad oggi ancora rara e necessaria – della storia d’amore lunga decenni di due uomini maturi che invecchiano insieme alla fine del mondo, fino al commovente epilogo che ha lasciato tutti in lacrime.

La sceneggiatura di Mazin e la recitazione di Offermann e Bartlett celebrano con grazia e un efficace sentimentalismo il legame autentico tra due persone apparentemente molto diverse, che probabilmente non si sarebbero mai incontrate prima della pandemia. Lontano da stereotipi di ogni sorta, il terzo episodio di The Last of Us dimostra come a volte un cambiamento drastico possa arricchire un prodotto già collaudato e venerato dai suoi fan, i critici più spietati.
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