
Minx – Intersezioni tra femminismo ed erotica
«Look I’ve got a lot of readers. Men. And they write to me all the time and they say, “Doug, shit’s changing”. You know, “Chicks are changing”. So I got figure it out what to do with that, what’s next. And then I started thinking, maybe I got to stop talking to the men. Maybe—maybe I should be talking to the women». È quanto sostenuto dal publisher di riviste pornografiche Doug Renetti (lo straordinario Jake Johnson) nel primo episodio di Minx – l’interessante serie creata e scritta da Ellen Rapoport targata HBO Max ma ora migrata presso Starz – mentre cerca di convincere Joyce Prigger (Ophelia Lovibond) a concedergli di pubblicare la sua rivista “The Matriarchy Awakens” sotto una nuova veste. «You wanna talk to women? » replicherà la donna scettica; «Well, there’s a lot of you out there, and I’d like a piece of the pie» sarà la risposta fornita dall’uomo.

Siamo nella Los Angeles degli anni Settanta e Joyce è un’intraprendente giornalista femminista dalle powerful pantsuit e dalle inarrestabili aspirazioni che sogna da sempre di pubblicare un magazine che possa ispirare le donne e mostrare loro come combattere in un Paese in cui sono «overlooked, underpaid and overwhelmed». L’ambizioso progetto fatica però a trovare un editore fin quando la donna non incontra il publisher della “Bottom Dollar Publications” – Doug appunto – che le propone di pubblicare i primi tre numeri della sua rivista a condizione che vengano apportati alcuni cambiamenti: al poco accessibile “The Matriarchy Awakens” subentrerà un titolo semplice e accattivante come “Minx” e agli articoli femministi verranno affiancate delle fotografie di uomini nudi. Attraverso le piccole grandi sfide legate alla nascita, allo sviluppo e alla gestione di un magazine in una società restia alle trasformazioni e ossessionata dal profitto, dunque, Joyce, Doug e la loro strampalata e unica squadra cercheranno nel corso dello show di utilizzare ciò in cui credono (o in cui stanno iniziando a credere) per ottenere ciò di cui hanno bisogno, nel tentativo di cambiare il mondo che li circonda una rivista alla volta.

È da questa singolare quanto feconda intersezione tra femminismo ed erotica che nasce allora Minx: sullo schermo come sulle pagine del magazine, infatti, ad essere raccontate fin da subito in maniera contemporanea sono due rivoluzioni intimamente legate quali quella femminista e quella sessuale. D’altronde, in linea con i principi che si propone di mettere in scena, la lezione principale della serie di Rapoport consiste nel dimostrare l’importanza della complessità e dell’intersezionalità, tanto nello scambio reciproco di punti di vista quanto nel percorso vitale di ogni persona. Ciò è evidente sia nel rapporto che intercorre tra i personaggi sia in relazione a ciascuno di essi: le conoscenze teoriche di Joyce si rivelano infatti insufficienti senza l’attitudine al compromesso di Doug, l’unicità di prospettiva di Bambi (una modella di nudo interpretata da Jessica Lowe e tutt’altro che definita solamente dalla sua bellezza), la spassosa e pratica saggezza di Shelly (la sorella di Joyce interpretata dalla strepitosa Lennon Parham), la veritiera e a tratti un po’ scomoda onestà di Tina (il braccio destro di Doug e sua segretaria interpretata da Idara Victor) e il talento visivo del fotografo Richie (Oscar Montoya).
Inoltre, come è d’obbligo in un prodotto audiovisivo del genere – a maggior ragione perché dedicato ad un magazine – l’ordine patriarcale prestabilito può e deve essere sovvertito anche attraverso lo statuto visivo, grazie ad una female gaze di cui Minx è fiera di essere intrisa: in un evidente rovesciamento di ciò che il pubblico è abituato a vedere su grande e piccolo schermo, infatti, il corpo nudo maschile è più volte rappresentato nella serie. L’empowerment femminile, d’altronde, passa inevitabilmente anche attraverso l’atto di guardare e il potere ad esso connesso, come noterà Joyce osservando la curiosità delle donne nel vedere l’iconica fotografia osé di Burt Reynolds apparsa su “Cosmopolitan”: «[…] a magazine has—it’s got to make you feel something, and seeing a naked guy does that to women, whether they are curious or turned on or just want to laugh at him, it’s the ability to look that makes a woman feel powerful. That’s what our magazine is all about» sarà la riflessione intelligente di Joyce con cui la donna sancirà la nascita definitiva di “Minx”.

«You got to hide the medicine» aveva detto infatti significativamente Doug a Joyce presentandogli i suoi rinnovati progetti per “The Matriarchy Awakens” nel tentativo di convincerla della necessità di raggiungere una grande porzione di pubblico per poter incidere realmente sulla società. Attraverso divertenti e refreshing dinamiche fra i personaggi e una strepitosa commistione tra cultura alta e bassa, Minx riesce a fare proprio questo perché – nascondendo la medicina in una leggera e deliziosa farcitura – si (e ci) spinge continuamente aldilà di stereotipi, pregiudizi e preconcetti. La serie non lascia certo dubbi sull’efficacia salvifica di cui spettatori e spettatrici beneficeranno quando la medicina inizierà finalmente a fare effetto.
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