
Cow – O la vacca specchio, su MUBI
Guardare una vacca da latte per 93 minuti, questa la sfida lanciata da Cow (2021) un documentario di Andrea Arnold disponibile su MUBI. Ma a ben vedere, questo lungometraggio non si limita ad osservare per un’ora e mezza Luma (la protagonista).
Grazie alla scelta registica di filmare in soggettiva imitando lo sguardo di una vacca da latte, nel documentario lo spettatore diventa a tutti gli effetti un bovino della Park Farm, un allevamento situato nel Kent. E a favorire questa immedesimazione è la colonna sonora del film: non sono i voice over esplicativi tipici delle forme classiche del documentario o i dialoghi degli allevatori ad animare l’universo sonoro di Cow, bensì i suoni non-umani dei muggiti, degli sferragliamenti, dei rumori dei macchinari per la mungitura e dei brandelli di brani pop della stazione Radio 1.
Trasformando lo spettatore in vacca, Arnold lo fa sprofondare realisticamente nel mondo animale arrivando a svelare i lati più oscuri dello sfruttamento capitalistico. Questo punto di vista straniato denuncia la meccanizzazione della vita di questi bovini spingendoci continuamente nel labirinto di cunicoli che portano alla sala mungitura, alla limatura degli zoccoli e alle cicliche visite ginecologiche.

Ma nonostante lo spettatore assuma uno sguardo animale, i temi sviluppati in Cow sono quelli profondamente umani che Arnold aveva già affrontato nel suo primo cortometraggio Milk: la maternità ostacolata, il sesso e il latte materno. Non a caso, le riflessioni che nascono dopo la visione di questo documentario non riguardano solamente le condizioni di vita degli animali, ma soprattutto le nostre emozioni. La cinepresa, infatti, rende possibile avvicinarci emotivamente a un animale fino a intravedere nei suoi sguardi, nei suoi movimenti e nei suoi muggiti i bagliori di un’anima che si staccano dallo sfondo scuro della stalla.
Arnold arriva a creare questa risonanza emotiva con lo spettatore sfruttando al meglio il montaggio attraverso il quale, ad esempio, instaura un dialogo a distanza tra i muggiti disperati di Luma e quelli del suo vitellino appena nato e già separato dalla madre. Ma se questo esperimento di immedesimazione nell’animale riesce, anche se non per tutti, a protrarsi per un’ora e mezza è grazie alla potenza estetica delle immagini che inquadrano la vacca le concedono uno spazio e un tempo potenzialmente eterno sulla pellicola.
In questo universo virtuale entra in gioco l’uomo: di fronte ai movimenti lenti di questa bestia docile e al suo sguardo fisso sapientemente messo in quadro, l’essere umano riconosce sé stesso. O meglio, riconosce tutti coloro che, imprigionati in un sistema di sfruttamento, abbassano la testa e continuano a vivere cercando di “fare i buoni” e di accontentarsi dei pochi momenti di libertà trascorsi nel verde dei campi. Così il legame che lo spettatore crea con questi esseri docili e remissivi rende il finale quasi tarantiniano del film ancora più crudele.

Ma, bisogna ricordarlo, questo è ciò che legge l’uomo, non ciò che pensa Luma. La vacca è lì, e non ci può che parlare di noi stessi e dei nostri sentimenti. Luma è uno specchio che si inserisce nel gioco di riverberi e fantasmi del cinema. Allo spettatore non resta che guardare e guardarsi, con la speranza che osservare Luma possa dare un significato all’esistenza di una vacca qualunque e la possa staccare dallo sfondo scuro in cui si muovono tutte le altre bestie. E se Luma non è che uno specchio, allora Cow diventa un percorso di auto-osservazione nel quale lo spettatore tenta di trovare un significato alla sua esistenza dedicando il suo tempo alla storia di una qualunque vacca-feticcio.
Manovrando gli specchi del cinema, Arnold riesce nel suo obiettivo di accompagnare lo spettatore più risoluto in un’esperienza attraverso cui scorgere e interrogare gli spazi di intersezione tra il nostro mondo e quello di una vacca. Attraverso un documentario debole narrativamente, ma esteticamente prezioso, la regista ci mostra che in fondo l’uomo che si rispecchia in Luma è ancora un po’ animale.
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