
“Negri senza memoria” all’Auditorium di San Tommaso. Alessandro Berti performa la storia
Gli italiani sono “negri senza memoria”? Questa è la domanda che Alessandro Berti pone al giovane pubblico dell’Auditorium di San Tommaso nel corso del suo spettacolo Negri senza memoria (2020), secondo capitolo della trilogia Bugie Bianche – Black Dick (2018) e Blind love (2022) – andato in scena il 27 febbraio.
Lo spettacolo di Berti chiude la programmazione mensile del neonato Auditorium, inaugurato lo scorso 30 gennaio, presso il Palazzo San Tommaso dell’Università di Pavia. L’Auditorium è una struttura integrata nel Dipartimento di Studi Umanistici che si pone l’obiettivo di intercettare un pubblico variegato che abbraccia la comunità accademica e la città di Pavia, in modo da porsi come luogo fisico di incontro e condivisione tra l’Ateneo e la cittadinanza: si configura come luogo ibrido che unisce la ricerca alla produzione artistica e culturale, integrando saperi, formazione e partecipazione attiva del pubblico interessato alle arti visive e performative (disponibile qui la programmazione di marzo).

L’Auditorium, dedicato alla memoria di Vincenzo Buccheri, studioso di cinema prematuramente scomparso e docente presso l’Ateneo pavese, rende tributo a uno sguardo attento ai confini, capace di porsi sulle soglie come punto di vista sconfinante che non separa ma comprende.
Così come l’Auditorium aspira a rendere presente e vivo questo sguardo sconfinante e comprensivo, così anche la performance di Berti si pone sui confini. La drammaturgia si sostanzia di un canto accompagnato dalla chitarra e di una recitazione basata su micro gesti appena accennati, non enfatici, per questo diretti e potenti; mentre il parlato si amalgama al suono dietetico in modo fluido e spontaneo, anche il performer passa da un’azione all’altra con scioltezza e semplicità. Immaginatevi di partecipare a una lezione di Storia e di vederne le storie prendere vita, letteralmente, incarnandosi nella figura e nelle azioni di Berti. Non a caso la trilogia dell’attore, regista e drammaturgo è pensata come una riflessione sulla storia della percezione del colore della pelle e sulla sue conseguenze per la società contemporanea.

Nel corso della lezione/performance Berti sa essere preciso e didattico professore, insieme a coinvolgente e appassionato performer: le note di una tradizione musicale melting pot (da Kunta Kinte di Silvestri, ai canti popolari degli immigrati italiani del Novecento, fino all’emblematica The House I Live In, scritta dall’ebreo comunista Abel Meeropol e cantata da Frank Sinatra) dialogano con i fatti storici evidenziando come agli inizi dell’immigrazione italiana negli USA i nostri connazionali fossero considerati alla stregua degli afroamericani. Infatti, in questo secondo capitolo viene raccontato il momento storico dell’immigrazione italiana negli USA dei primi del Novecento, periodo in cui gli italiani venivano considerati alla pari degli afroamericani: «Italians are niggaz with short memory» («Gli italiani sono dei negri dalla memoria corta») diceva Chuck Nice, dj afroamericano di New York. Anche loro discriminati, disprezzati, respinti dal sogno americano.

Berti si assicura che l’attenzione dei suoi alunni sia sempre desta, interrogandoli su brani, film ed eventi citati, perché il suo intento è stimolare la riflessione intorno a due filoni: la distorsione del concetto di integrazione, che di fatto diventa assimilazione per contrastare le minacce esterne, e la memoria storica, anche di un passato oscuro. Questo è il caso della «razza» italiana (cioè gli italiani emigrati negli Stati Uniti) che, una volta «sbiancata» e avendo ottenuto l’assimilazione per mezzo del privilegio del bianco, si schiera contro i «neri», secondo il sempre attuale principio della schadenfreude, la perversione gioiosa per chi sta peggio di noi (gli afroamericani che avevano condiviso il destino di emigrazione). In realtà, entrambi i gruppi rimarranno «negri» nel senso di emarginati. Questo aspetto scomodo del passato viene recuperato da Berti che, sul finale e con le luci accese sulla platea, procede con il pubblico alla traduzione simultanea di The House I Live In: con ricostruzione filologica, svelta che il brano ha in sé una parte di testo eliminata, quella che si immaginava un’unione tra persone dal diverso colore della pelle contro l’oppressore americano.
Si conclude così lezione/performance per gli alunni/spettatori che si sciolgono in un applauso, perché i fatti e le teorie sono stati resi con la voce e con la carne, per offrire uno sguardo critico e vigile sulla realtà.
Uno spettacolo di e con Alessandro Berti
Disegno luci Théo Longuemare
Cura Gaia Raffiotta
Produzione Casavuota – ERT / Teatro Nazionale
Con il sostegno di Sciaranuova Festival
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista