
Il letto è una rosa – Monica Vitti tra memoria e flusso di coscienza
Poche attrici hanno avuto, nel cinema italiano, la gamma interpretativa di Monica Vitti. Nata nel 1931 e morta lo scorso 2 febbraio 2022, Monica Vitti si consacrò a livello internazionale nei primi anni sessanta con la partecipazione, come co-protagonista se non come protagonista assoluta, alla tetralogia dell’incomunicabilità di Michelangelo Antonioni: le sue interpretazioni sofferte ed enigmatiche, a tratti seducenti, a tratti nevrotiche, tra L’Avventura, La Notte, L’Eclisse e l’epocale Deserto Rosso la portarono in breve tempo ad essere una delle più apprezzate attrici drammatiche a livello mondiale, tanto che la Vitti nel 1966 venne chiamata dal grande regista anglo-americano Joseph Losey in Modesty Blaise – La bellissima che uccide, al fianco di due conclamate star hollywoodiane del calibro di Terence Stamp e Dirk Bogarde. La sua partecipazione prima a Il disco volante di Tinto Brass, datato 1964, e poi al cult sessantottino La ragazza con la pistola di Mario Monicelli fece scoprire il talento della Vitti anche come attrice comica, e di lì in avanti continuò ad alternare ruoli drammatici a interpretazioni più leggere venendo diretta da registi diversissimi tra loro come Nanni Loy, Luciano Salce, Carlo Di Palma, Alberto Sordi, Luigi Zampa, Steno, Dino Risi e Luis Buñuel.

Dopo un’ultima collaborazione con Antonioni nel 1980, per il film sperimentale Il mistero di Oberwald, la Vitti diradò il suo impegno come attrice, e i suoi ultimi titoli per il grande schermo – Flirt, Francesca è mia, Scandalo Segreto – furono tutti diretta dal marito Roberto Russo o da lei stessa, nel caso dell’ultimo titolo, che segnò il suo esordio alla regia a quasi sessant’anni. Come ha scritto il critico Gianni Canova all’annuncio della sua morte, Monica Vitti fu, lungo tutta la sua carriera, una “creattrice”: le attrici e gli attori, generalmente, interpretano su parte; “quelle come lei (ma sono poche) ispirano ruoli che nessun altro potrebbe fare”. Come solo gradualmente si rese chiaro, negli anni novanta la Vitti smise, di fatto, di recitare e diradò sempre di più le apparizioni pubbliche e mondane perché colpita da una malattia neurodegenerativa simile all’Alzheimer: gli ultimi decenni di vita li ha trascorsi in un clima di riservatezza assoluta, protetta dal marito Roberto Russo, conosciuto sul set di Teresa la ladra, esordio alla regia del direttore della fotografia Carlo Di Palma dove Russo faceva da ciakista.
Pubblicato per la prima volta nel 1995, e recentemente ridato alle stampe dalla Mondadori in occasione del primo anniversario dalla morte dell’attrice, il libro Il letto è una rosa è la migliore approssimazione che Monica Vitti potesse tentare di un’autobiografia – tanto più se letto in dittico con Sette sottane, il primo libro della Vitti di pochi anni precedenti. Questa nuova edizione è prefata da Russo, vedovo ed erede della grande attrice, e i proventi dei diritti d’autore saranno devoluti all’unità di ricerca sulle cefalee e neurosonologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, dove la Vitti a lungo era stata in cura. Ad arricchire il volume ci sono inoltre molti disegni della Vitti, che illustrano e accompagnano efficacemente lo stile leggero e volutamente spaesante della scrittura.

Letto col senno di poi, sin dalle prime pagine Il letto è una rosa si carica di un’ironia drammatica – nell’incipit la Vitti scrive che “in casa mia c’era sempre molto da ricordare, come un pegno da pagare per continuare a vivere”, e nelle pagine successive ricorda come i suoi famigliari le avessero affibbiato il soprannome di Smemoratella per la sua continua distrazione. Sono essenzialmente due i piani temporali che si intersecano, nella meravigliosa libertà compositiva che caratterizza Il letto è una rosa: l’infanzia della Vitti con qualche frammento di giovinezza, e i primi anni novanta, l’impegno non tanto sul set quanto nella post-produzione a via Margutta del suo primo e unico film da regista Scandalo segreto. “Lo so, vi aspettavate altro da questo libro, magari anche qualche pettegolezzo, sono spiacente, non me ne ricordo nemmeno uno”, scrive verso la fine, ex abrupto, la Vitti, “però potrei parlarvi dello sguardo di Eduardo, e dei suoi appuntamenti con un polpo, su uno scoglio di Ischia. Delle mani di Giorgio Morandi, degli occhi di De Chirico, del modo di ridere di Barbara Streisand. Delle esitazioni e dei sorrisi involontari di Arthur Miller, dell’ironia astratta di Tofano, del talento di Tonino Guerra, della sapienza di Silvio D’Amico, della saggezza di Mario Monicelli, dell’amicizia con Franco Indovina…”.
A parte Scandalo segreto, la cui post-produzione sembra aver fatto da sfondo all’inizio della scrittura dei paragrafi sparsi poi confluiti nel libro, Il letto è una rosa è quantomai parco di ricordi, aneddoti e riflessioni sui film fatti dalla Vitti nei sette lustri della sua carriera. Solo sulla collaborazione con Antonioni c’è qualche riferimento più preciso, ma non nel senso che ci si poteva aspettare. “Negli anni sessanta, con Michelangelo Antonioni, ho ispirato l’‘alienazione’, che è quanto di più lontano ci sia da me. Almeno spero”. Di tutte le frasi e di tutte le confessioni de Il letto è una rosa, questa è una delle più sorprendenti, tanto più che di lì a poche pagine la Vitti aggiunge che Deserto Rosso, “come forse qualche lettore sa”, era stato ispirato da un episodio depressivo realmente attraversato dall’attrice. “Certo, se non ci fosse stato Michelangelo accanto a me”, riconosce la Vitti, “‘Mi fanno male i capelli’ sarebbe stata solo una frase ridicola. Invece l’artista ci inventa sopra Deserto Rosso”.

“Ogni parola è una farfalla”, scrive a un certo punto la Vitti. “Le parole sono state le mie compagne di viaggio, facendo l’attrice bastava che cambiassi un’intonazione e quella data parola, da dolce, diventava veleno. Una pausa, un respiro, può far capire un segreto. Io ne ho già uno, grande come un castello inglese, e intorno c’è tutta erba e sotto l’erba l’acqua e sotto l’acqua conchiglie azzurre”. Se la verità della vita di un individuo, e tanto più di un interprete, è un continuo punto di fuga, con la sua prosa confusionaria e sincera Il letto è una rosa è una delle testimonianze più autentiche che un attore di alto calibro abbia voluto lasciare al suo pubblico – l’esatto contrario delle Memorie del sottoscala di Vittorio Gassman, per intenderci. A un anno dalla morte e a più di vent’anni dal suo ritiro dalle scene, Il letto è una rosa rappresenta anche la restituzione più sincero di una personalità di attrice e diva che è sempre rimasta “irriducibile” rispetto ai suoi ruoli, plasmati senza dubbio dalla sua presenza scenica, come ricordava anche Canova, eppure tutti egualmente impossibilitati a restituire la figura della Vitti nella sua completezza e integrità – il che spiega il moltiplicarsi di generi, di registi, di interpretazioni. “Non voglio più storie complicate, non voglio il passato, voglio solo dei giorni chiari, semplici, senza costrizioni, senza cose da fare, da capire, da accettare”, scrive ancora la Vitti nel volume. “Preferisco uno sgarbo, alla memoria. Ma allora come mai facevo l’attrice? Niente di più naturale per me, quando recito ho una memoria di ferro. È la realtà che mi risulta nebulosa, non Shakespeare”.
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