
Monica Vitti: 5 film che l’hanno resa grande
«Attrici come lei non esistono più, era bravissima e particolare, un pezzo unico», ha detto di recente Giancarlo Giannini su Monica Vitti. Formatasi in accademia e sul palcoscenico, attiva nel cinema prima drammatico e poi brillante, trasformista, Monica Vitti è probabilmente la migliore attrice che abbiamo avuto in Italia. Ha recitato con tutti: da Giannini a Mastroianni, da Sordi a Tognazzi, da Belmondo a Trintignant. Da circa vent’anni la malattia la tiene lontana dalla vita pubblica, ma addetti ai lavori e spettatori non si sono dimenticati di lei e ancora amano celebrarla con documentari, mostre e rassegne. La bellezza spigolosa, il corpo cangiante, quella voce un po’ roca. Sapeva essere algida e sensuale, grottesca e tragica. La sua filmografia andrebbe rivista in forza di ciò che ci ha mostrato sulla schizofrenia della modernità vista da occhi femminili. In occasione del suo novantesimo compleanno, consigliamo cinque film che l’hanno imposta all’immaginario collettivo.
Il deserto rosso (1964) di Michelangelo Antonioni
Dopo la trilogia della incomunicabilità, Antonioni regala alla compagna Monica Vitti un ruolo da protagonista assoluto in questo dramma della solitudine. Il cappottino verde sotto la chioma rossa, il panino mangiato di nascosto, l’incomprensione degli uomini. Non c’è solamente una donna rotta in questo film, ma un paese traumatizzato. Un’Italia dall’anima contadina che nell’industrializzazione ha perso la purezza del suo spirito. Ma in quel periodo la Vitti partecipa anche al satirico Il disco volante (1964) di Tinto Brass e presto scoprirà il vantaggio creativo di non prendersi sul serio.

Ti ho sposato per allegria (1967) di Luciano Salce
Come già nell’episodio Fata Sabina del collettivo Le fate (1967), Salce intuisce il lato clownesco di Monica Vitti e ne fa un anarchico (s)oggetto di scena. Avanspettacolo e prosa, danza e duetti vocali con l’altrettanto straordinario Giorgio Albertazzi, fanno di questa commedia colta – basata sull’omonima pièce di Natalia Ginzburg – una fotografia sprezzante della nuova borghesia italiana. Monica è Giuliana, come ne Il deserto rosso, e forse si tratta della stessa donna ma con un’altra vita. Da rivedere insieme all’altra prova salciana, stavolta con Tognazzi, in L’anatra all’arancia (1975).

La ragazza con la pistola (1968) di Mario Monicelli
Da un soggetto di Luigi Magni e Rodolfo Sonego, finalmente una commedia pensata e realizzata solo per Monica Vitti. Siamo a un passo dalla rivoluzione sessuale e Monicelli gioca sugli stereotipi della mascolinità siciliana solamente per rovesciare quelli sulla femminilità passiva. Fotografia di Carlo Di Palma, da poco illuminatore esclusivo dell’attrice. Il partner Carlo Giuffrè col mestiere tiene il passo ma ormai siamo su un altro pianeta. Qualche anno dopo Dino Risi andrà persino oltre e in Noi donne siamo fatte così (1971) le darà la possibilità di interpretare ben dodici diversi ruoli.

Amore mio aiutami (1969) di Alberto Sordi
Quarto film da regista di Sordi, scritto con Sonego e Tullio Pinelli, regala a Monica Vitti l’occasione per lavorare sui sentimenti in un contesto estremo ma realistico. La sua Raffaella è una donna indecisa, succube della madre e profondamente infantile. La sua rappresentazione è probabilmente fin troppo orientata da uno sguardo patriarcale, però l’attrice riesce a risaltarne la componente tragicomica. Monica tornerà a farsi dirigere da Albertone per Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982), in due momenti molto diversi delle carriere di entrambi, dando sempre il meglio di sé.

Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (1970) di Ettore Scola
Monica Vitti detta i ritmi a Giannini e Mastroianni per questo ménage à trois calato nel mondo proletario. La fioraia, il pizzaiolo e l’operaio, tre anime perdute che vivono d’istinti, passano il tempo imitando il melodramma che recepiscono da rotocalchi e televisione. Con l’unica differenza che gli incontri non avvengono in palazzi ma in squallide stanze e i pic nic hanno luogo lontano dai giardini borghesi, su montagne di spazzatura. Scola prende le misure per i suoi brutti, sporchi e cattivi e si alimenta dell’autoironia vittiana per costruire grottesche scenette di (stra)ordinaria povertà umana.

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[…] delle masse e insieme la vertigine angosciosa che si cela nell’individualità dei singoli. Monica Vitti è la musa perfetta, un’attrice in grado di celare l’intenzione all’interno, di monologare […]